Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 34/2023, pubblicata il 6/10/2023, ha confermato la sentenza del Tribunale di Asti del marzo 2023 che aveva respinto la domanda di A.M. di adozione del sig. E.F., nato in Alba (CN), il 28.11.1985, residente in Alba, e di posposizione del cognome dell’adottante rispetto al cognome dell’adottando maggiorenne.
La ricorrente aveva rappresentato di essere di età superiore ai 90 anni e di superare di oltre 18 anni l’età dell’adottando, di essere orfana dei suoi genitori, deceduti ormai da tempo, di non avere discendenti legittimi o legittimati, di avere, con il coniuge L.C. (prima della sua morte) adottato la nipote ex fratre del coniuge stesso (C.C.), con la quale, però, i rapporti si erano totalmente esauriti già da molti anni prima della morte del marito, di essere vedova del C. e di essere di stato libero, nonché evidenziando i legami affettivi da sempre intercorsi tra la sua famiglia e la famiglia dell’adottando ed in particolare – dopo la sua vedovanza – con l’adottando stesso, considerato alla stregua di un nipote.
In particolare, i giudici di appello, confermando la decisione del Tribunale di Asti, hanno ritenuto che non emergeva «una storia personale» o «un contesto familiare tra adottante ed adottando», nel tempo e fin dal passato, nel senso che « al di là di un legame di amicizia, seppur protratto nel tempo, tra il nucleo genitoriale dell’adottando e il nucleo composto dalla signora A.M. e dal coniuge ( ora defunto) avv. L.C., non risultano provati momenti di vita di apprezzabile durata trascorsi insieme tra la signora A.M. e il dott. E.F.»; semmai emergeva, ad avviso della Corte di merito, «un ruolo attuale di assistenza e di sostegno che il dott. E.F. fornisce alla signora A.M. andandola a trovare cinque o sei volte a settimana e fungendo da persona di riferimento per la badante assunta per l’assistenza personale della signora A.M. e per il medico curante della medesima», il che descriveva un ruolo diverso da quello che la giurisprudenza di legittimità esige nell’ottica solidaristica assunta dall’istituto dell’adozione di maggiorenne, laddove si richiede che l’adottato maggiorenne sia inserito di fatto in un contesto familiare o parafamiliare dell’adottante.
Avverso la suddetta pronuncia, A.M. ed E.F. propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Il PG ha depositato memoria, chiedendo l’accoglimento del ricorso.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1.I ricorrenti lamentano: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 dell’art. 291 c.c. in considerazione della funzione patrimoniale dell’adozione del maggiorenne, che permane nel nostro ordinamento, avendo invece la sentenza impugnata «sposato» una funzione esclusivamente solidaristica dell’adozione di maggiorenne, ritenuta in concreto non dimostrata, sulla base di una lettura erronea di un precedente di legittimità (Cass. 7667/2020); b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 291, 296, 297, 311 e 312 c.c., in quanto, in ogni caso, assunte le opportune informazioni, la Corte di merito avrebbe dovuto e potuto verificare che tutte le condizioni della legge erano state adempiute (la mancanza per l’adottante di discendenti legittimi e la sussistenza della differenza di età di almeno diciotto anni tra adottante ed adottato, consenso di adottante, pienamente capace, e adottando, assenso all’adozione dei genitori dell’adottando, mentre il coniuge dell’adottante era deceduto) e che comunque anche nell’ottica solidaristica ricorrevano sia lo stretto legame personale tra adottante e adottando (con un autentico e continuativo, ultratrentennale, rapporto affettivo ed accuditivo) sia l’inserimento del F. nel contesto familiare o parafamiliare della A.M.; c) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 dell’art. 7 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali e dell’art. 8 CEDU, avendo la Corte d’appello violato il diritto dei signori A.M. e E.F. al rispetto della propria vita privata e familiare, senza alcuna giustificazione necessitata da esigenze di tutela della sicurezza nazionale, della pubblica sicurezza, del benessere economico del paese, della difesa dell’ordine e della prevenzione dei reati, della protezione della salute o della morale, o della protezione dei diritti e delle libertà altrui; d) con il quarto motivo, la violazione, da parte del Tribunale di Asti (essendo la questione rimasta assorbita in appello), dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.299 c.c. in punto di richiesta di posposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottato, in deroga all’art.299 c.c., riservandosi di riproporre, per l’auspicato caso di cassazione della sentenza impugnata con rinvio, le questioni relative alla richiesta di posposizione del cognome della prima al cognome del secondo al Giudice del rinvio.
2. Preliminarmente, avendo il PG depositato memoria con le conclusioni si deve ritenere che il ricorso sia stato allo stesso regolarmente notificato, pur non essendo stata prodotta in atti la relativa notifica.
3. Le prime tre censure, da trattare insieme in quanto connesse, sono fondate.
Per procedere all'adozione di maggiorenne occorre, oltre al consenso dell'adottante e dell'adottando (art.296 c.c.), soggetti tra i quali si costituisce il rapporto adottivo, l'assenso dei genitori dell'adottando, del coniuge dell'adottante e di quello dell'adottando non separati legalmente (art.297 c.c.), nonché dei figli maggiorenni dell'adottante (Corte Costituzionale n. 937/1988 e n. 345/1992 quali soggetti che subiscono rilevanti ripercussioni di status, proprio in seguito all'adozione; il Tribunale può ugualmente pronunciare l'adozione, se ritiene ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando il rifiuto dell'assenso da parte dei genitori o dei discendenti dell'adottante, Corte Cost. n. 345/1992).
L'adozione in esame è «essenzialmente determinata dal consenso dell'adottante e dell'adottando, giacché il controllo del Tribunale verte sui requisiti che legittimano l'adozione, essendo rimesso al giudice il ristretto potere di valutare se l'adozione "conviene" all'adottando (art. 312 del codice civile)» (Corte Costituzionale sentenza n. 89 del 1993, punto 3 del Considerato in diritto).
Nell'adozione di persone maggiori di età, al giudice non è attribuito alcun discrezionale apprezzamento dell'interesse della persona dell'adottando, né possono essere effettuati quegli incisivi controlli previsti per l'adozione di minori, che significativamente rispecchiano la diversità di presupposti e di finalità dei due istituti (Corte Costituzionale n. 89/1993; Cass. 3766/2024). L'art. 298, comma 2 , c.c. stabilisce poi che, «finché il decreto non è emanato, tanto l'adottante quanto l'adottando possono revocare il consenso»; e questa Corte (Cass. 1133/1988) ha affermato che, «nel procedimento di adozione di persona maggiorenne disciplinato dagli articoli 291 e seguenti (nuovo testo) del codice civile, la revoca del consenso dell'adottante o dell'adottato deve essere espressa prima della pronuncia del tribunale e non anche prima della pronuncia della Corte d'appello in sede di reclamo, essendo questa ultima meramente eventuale e non potendosi consentire che un atto dispositivo della parte ponga nel nulla il provvedimento del tribunale».
Effettivamente, l'istituto dell'adozione di maggiorenne ha assunto nel tempo una funzione anche sociale di riconoscimento giuridico di una relazione sociale, affettiva ed identitaria nonché di una storia personale, tra adottante ed adottato, in quanto legati, sulla base di una frequentazione quotidiana, da saldi vincoli personali, morali e civili (cfr. Cass. 7667/2020, con la quale si è affermato che, in una interpretazione costituzionalmente orientata, anche alla luce dell'ar.8 della CEDU, può essere operata una ragionevole riduzione del divario di età fissato dall'art.291 c.c. tra adottante ed adottato, «al fine di tutelare situazioni familiari consolidatesi da lungo tempo e fondate su di una comprovata affectio familiaris»; Cass. 3577/2024).
La Corte Costituzionale, da ultimo, si è nuovamente occupata dell'istituto con la recentissima sentenza n. 5/2024, del 18/1/2024 (di declaratoria dell'illegittimità costituzionale dell'art. 291, primo comma, del codice civile nella parte in cui, per l'adozione del maggiorenne, non consente al giudice di ridurre, nei casi di esigua differenza e sempre che sussistano motivi meritevoli, l'intervallo di età di diciotto anni fra adottante e adottando), nella quale si è ribadita la linea evolutiva della stessa giurisprudenza costituzionale e di quella di legittimità in relazione anche alla mutata configurazione sociologica dell'adozione del maggiorenne, secondo la quale l'istituto si è aperto a funzioni diverse da quella primaria di procurare un figlio a chi non l'ha avuto in natura e nel matrimonio (adoptio in hereditatem): «L'adozione di persone maggiori di età non persegue più, e soltanto, per come vive attualmente nell'ordinamento, la funzione tradizionale di trasmissione del cognome e del patrimonio, con conseguenze destinate a riverberarsi sul mero piano di disciplina relativa agli alimenti e alle successioni, ma è divenuto uno strumento duttile e sensibile alle sollecitazioni della società, in cui assumono crescente rilevanza i profili personalistici, accanto a quelli patrimoniali. L'istituto - suggellando sovente l'effettiva e definitiva coincidenza tra situazione di fatto e status - formalizza legami affettivo-solidaristici che, consolidatisi nel tempo e preesistenti al riconoscimento giuridico, sono rappresentativi dell'identità dell'individuo. Il perimetro di riferimento è innanzitutto segnato dal fenomeno delle così dette famiglie ricomposte - in cui alle preesistenti relazioni di parentela si aggiungono nuovi legami, che trovano fondamento e consistenza in quella misura di affetti e solidarietà che è propria della comunità familiare - per poi spingersi ad assecondare altre istanze, in cui l'esigenza solidaristica resta variamente declinata». La Corte Costituzionale ha evidenziato come «le abitudini di vita acquisite e le relazioni affettive instaurate tra persone maggiori di età, stabilizzate nel tempo, ricevono riconoscimento giuridico in quanto descrivono storie personali di crescita e integrazione» e «la valorizzazione di una storia affettiva, per la parte in cui ha già trovato solida espressione sociale, riflette l'esistenza di un maturato percorso di identità personale, che non può essere privato del dovuto riconoscimento giuridico, pena la violazione dell'art. 2 Cost.».
I principi si trovano già ribaditi nella sentenza della Corte Costituzionale n. 135 del 2023.
Quindi, oltre alla funzione tradizionale ereditaria (per assicurare una discendenza), si accompagna oggi una funzione solidaristica dell’istituto, divenuto uno strumento duttile e sensibile alle sollecitazioni della società (cfr. Cass. 3577/2024), ma restando comunque ferme le condizioni previste ai fini dell’autorizzazione all’adozione.
Deve dunque escludersi la possibilità di ricorrere all'istituto dell'adozione civile soltanto per ragioni che ne distorcano il fondamento.
Nella specie, tuttavia tutti i requisiti di legge risultano soddisfatti (artt.291, comma 1, c.c., 296 e 311 c.c., 297 c.c.) e comunque sussiste un autentico rapporto, ultratrentennale e quindi consolidatosi nel tempo, affettivo ed accuditivo, con una storia quotidiana di frequentazione (entrambi vivono in Alba) esistono profondi legami affettivi intercorsi tra la famiglia dell’adottante e quella dell’adottando, come confermato dalle parti e dai genitori dell’adottando, il quale, pur non convivendo, si reca a casa della M. almeno cinque volte a settimana e ad ogni occorrenza è presente, provvedendo a curare i rapporti con il medico curante.
3. L’ultimo motivo sarebbe assorbito ma risulta necessario richiamare quanto di recente affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 135 del 2023: «È costituzionalmente illegittimo l’art. 299, comma 1, c.c., nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell'adottante a quello dell'adottato maggiore d'età, se entrambi nel manifestare il consenso all'adozione si sono espressi a favore di tale effetto».
L'ordine dei cognomi non è marginale, in quanto la ratio dell'art. 299 c.c.( «[l]'adottato assume il cognome dell'adottante e lo antepone al proprio» ) «risiede … nell'esigenza di dare visibilità al legame giuridico che si viene a instaurare con l'adottante, preservando, al contempo, il cognome originario dell'adottato, che reca oramai un tratto non obliterabile della sua identità personale» (Corte cost. 04 luglio 2023, n. 135), ma la Corte Costituzionale si è interrogata sulla opportunità di mantenere il rigido automatismo nell’anteposizione del cognome dell’adottante a fronte del sacrificio del diritto all’identità personale.
E si è ritenuta lesiva dell’identità personale e irragionevole una regola priva di un margine di flessibilità, in contrasto con gli artt.2 e 3 Cost., così da non consentire al giudice - con la sentenza che fa luogo all'adozione - di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell'adottante a quello dell'adottato maggiore d'età, se entrambi nel manifestare il consenso all'adozione si sono espressi a favore di tale effetto.
L’istituto dell’adozione di maggiorenne si basa sul consenso di entrambi i soggetti (art. 296 c.c.), onde se l'adottato «ha esigenza di veder tutelato il suo diritto all'identità personale attraverso l'aggiunta, in luogo della anteposizione, del cognome dell'adottante al proprio e se anche l'adottante è favorevole a tale ordine, che non incide sul suo consenso all'adozione, è irragionevole non consentire che la sentenza di adozione possa disporre il citato effetto». E anche nel campo della adozione di persone maggiori di età, è presente il legame tra diritto al nome ed identità personale, art.2 Cost., (che tutela l'interesse del soggetto a non vedere alterato il proprio patrimonio etico, professionale, religioso).
Inoltre, la Corte Costituzionale ha anche evidenziato come la necessità di invertire l'ordine dei cognomi è collegata all'evoluzione dell'istituto dell'adozione nell'ordinamento, il quale era inizialmente concepito in una prospettiva patrimonialistica, tesa a conservare i beni dell'adottante e a trasmetterli «al soggetto ritenuto degno», intendendosi assicurare a persone in età avanzata e prive di figli legittimi la facoltà di trasmettere ad altri il proprio nome e patrimonio, ma l’istituto ormai, nell’evoluzione dei costumi sociali, può rispondere anche al soddisfacimento di esigenze diverse, quali la domanda di solidarietà. Invero, osserva la Corte: «Dentro il suo ampio perimetro, l'adozione del maggiore d'età può accogliere: il caso dell'adottando maggiorenne, che già viveva nel nucleo familiare di chi lo adotta, in ragione di un affidamento non temporaneo deciso nel momento in cui era minorenne, o ancora quello del figlio maggiorenne del coniuge (o del convivente) dell'adottante che vive in quel nucleo familiare. Parimenti, può ricomprendere situazioni in cui persone, spesso anziane, confidano in un rafforzamento - grazie all'adozione - del vincolo solidaristico che si è di fatto già instaurato con l'adottando, oppure che vogliono semplicemente dare continuità al proprio cognome e al proprio patrimonio, creando un legame giuridico con l'adottando, con cui, di norma, hanno consolidato un rapporto affettivo».
L’istituto abbraccia, oggi, quindi una eterogena casistica, il che rende «ulteriormente palese l'irragionevolezza di una regola priva di un margine di flessibilità».
La Corte Costituzionale ha osservato che la rigidità di una previsione insensibile alle esigenze di tutela del diritto alla identità personale dell'adottando rischia di frapporre irragionevoli ostacoli a talune delle funzioni che l'istituto svolge a livello sociale, oltre chiaramente a ledere la stessa identità personale. L'adottando maggiore d'età può essere una persona per la quale è importante l'anteposizione del proprio cognome, rispetto a quello dell'adottante, nei casi in cui la sua identità sia fortemente correlata al cognome originario. Quest'ultimo potrebbe avere una particolare incidenza sulla sua identificabilità nel mondo professionale, oltre che nei rapporti sociali; così come il cognome potrebbe essere stato trasmesso ai propri figli. E non si deve trascurare che, anche nel caso del maggiorenne, che era stato affidato da minorenne all'adottante o che sia figlio del coniuge (o del convivente) dell'adottante, potrebbero emergere ragioni tali da giustificare l'anteposizione del cognome che, sino a quel momento, ha connotato l'identità del maggiore d'età.
Ne consegue che la domanda di posposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottando, domanda respinta in primo grado e ritenuta assorbita dalla Corte d’appello, che, riproposta anche in questa sede di legittimità, va rimessa al giudice del rinvio, risulta comunque fondata in diritto, alla luce del recente intervento della Corte Costituzionale.
4. Per quanto sopra esposto, va accolto il ricorso e cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.