Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Verbania, in funzione di giudice del riesame, con ordinanza del 18/5/2023 annullava il decreto di sequestro preventivo del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verbania del 2/5/2023 nei confronti della SBS s.p.a., ritenendo operante la clausola di riparazione prevista dall'art. 241 del D. lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, in quanto i cinturini in sequestro costituirebbero componente di un prodotto complesso, utilizzato allo scopo di consentirne la riparazione al fine di ripristinarne l'aspetto originario. Richiamando la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea sulla liberazione estensiva del mercato dei pezzi di ricambio (sentenza del 20/12/2017 nn. C- 397/16 e C-435/16), il Tribunale ha affermato che, a norma dell'art. 110, par. 1, del regolamento n. 6/2002 del Consiglio dell'Unione Europea del 12 dicembre 2001 su disegni e modelli comunitari, non esiste protezione, in quanto disegno o modello comunitario, nei confronti di un disegno o di un modello che costituisca una componente di un prodotto complesso, utilizzata allo scopo di consentirne la riparazione al fine di ripristinarne l'aspetto originario, precisando che la portata di tale disposizione non è limitata alle componenti di un prodotto complesso dall'aspetto del quale dipenda il disegno o modello protetto; ha, dunque, concluso nel senso che il cinturino dell'Apple Watch, così come il cinturino P., con tale smartwatch compatibile, soddisfa una innegabile finalità di ripristino dell'aspetto e della funzionalità originaria del prodotto, a fronte del danneggiamento o dello smarrimento del cinturino originale; ha, infine, rilevato che l'eventuale finalità estetica, perseguita dal consumatore mediante l'acquisto di nuovi cinturini, sarebbe comunque ultronea rispetto a quella propria della componente in discorso, rappresentando un aspetto soggettivo dell'acquirente, come tale non indagabile né valutabile ex ante dal produttore o da chi commercializza il prodotto, né tanto meno in sede di interpretazione della clausola di riparazione.
2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verbania ha interposto ricorso per cassazione, eccependo con il primo motivo l'inosservanza o l'erronea applicazione dell'art. 241 del D. lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, in relazione al disposto di cui agli artt. 473 e 474 cod. pen. Osserva che correttamente il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto l'art. 241 d. lgs. n. 30/2005 norma speciale e, dunque, di stretta interpretazione; che il testo della norma indica i requisiti oggettivi in presenza dei quali il titolare del marchio registrato a livello nazionale ed internazionale non può far valere i diritti esclusivi sui componenti di un prodotto complesso, vale a dire la finalità di riparazione del prodotto complesso, perseguita attraverso l'impiego del componente di volta in volta considerato e, dunque, il ripristino dell'aspetto originario di questo; che il ripristino, pertanto, è solo l'effetto conseguente alla preliminare, necessaria esigenza di riparazione del prodotto di cui il componente è parte, riparazione che non può e non deve essere riferita al componente medesimo, ma alla funzione che questo eventualmente assolve rispetto al prodotto complesso e, più nello specifico, al suo funzionamento; che, nel caso di specie, il cinturino assolve ad una funzione che, pur inerendo al dispositivo multifunzionale Appie Watch, presenta, tuttavia, rispetto ad esso una propria autonomia strutturale che è prevalentemente estetica e soprattutto non assolve mai ad una funzione riparatoria dell'orologio Appie; che il corretto funzionamento del dispositivo orologio non può dipendere dalla foggia, dalla consistenza, dalle linee o dal cromatismo del cinturino, presentandosi quest'ultimo come un bene distinto ed autonomo rispetto all'orologio, con proprie caratteristiche e peculiarità di visibilità e di estetica, tenuto conto che ne esistono ben dieci diversi modelli, il cui marchio è regolarmente registrato in ambito europeo.
Evidenzia, altresì, che il Tribunale del riesame ha malamente interpretato la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 20/12/2017 (nelle cause riunite nn. C-397/16 e C-435/16), secondo la quale "la limitazione della creazione di mercati vincolato per i pezzi di ricambio" vale soltanto allorquando ci si riferisca ad "un disegno o modello comunitario", per cui il principio non può trovare applicazione nel caso di specie, nel quale i cinturini-componenti provengono da due società cinesi; che, invero, la 585 s.p.a. non è la produttrice europea dei beni, né è autorizzata dalla Appie ad operare nell'ambito dell'assemblaggio di questi, ma è soltanto colei che acquista, riceve ed importa quei beni da soggetti internazionali extra-UE per poi distribuirli all'interno del mercato nazionale, sfruttando illecitamente un marchio notorio e pluriregistrato; che, dunque, i giudici del riesame hanno confuso due diverse situazioni: quella di chi produce, mette in circolazione ed esporta, senza autorizzazione o licenza e fuori del contesto del mercato dell'Unione Europea, i prodotti imitanti quelli registrati in tale mercato, da chi - importando illecitamente sul territorio dello Stato beni privi di tutela giuridico-economica - li mette in circolazione, destinandoli, tramite intermediari, alla vendita al dettaglio; che in ogni caso la maggiore estensione interpretativo-applicativa della cosiddetta clausola di riparazione, secondo la sentenza della CGUE, dovrebbe passare attraverso una modifica delle norme del singolo ordinamento nazionale, rivelatrice dell'obbiettivo "di liberalizzare il mercato di tali componenti"; che, invece, l'ordinamento italiano è uno di quelli che all'opposto, attraverso le proprie norme, continua ad assicurare un'ampia, effettiva e penetrante tutela (sia in ambito civile che in ambito penale) ai prodotti industriali associati a marchi e segni distintivi nazionali o esteri di privativa; che "il mercato dei pezzi di ricambio" di cui alla sentenza dei giudici europei non è il mercato intercontinentale, ma quello europeo, o meglio, quello circoscritto ai territori dei soli Stati aderenti all'U. E., come del resto si evince chiaramente dai punti 5), 6), 7) e 8) del Regolamento (CE) n. 6/2002 del Consiglio dell'Unione Europea del 12 dicembre 2001 su disegni e modelli comunitari.
Sotto diverso profilo, osserva il ricorrente che la normativa di riferimento non è solo quella europea, come indicato nel provvedimento impugnato, atteso che molteplici sono le fonti da tenere in considerazione; che di fondamentale importanza è l'Accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale concernenti il commercio (l'Accordo TRIPS, di cui alla legge 29 dicembre 1994, n. 747), tuttora in vigore, che all'art. 16 dell'Ali. lC, senza operare alcuna distinzione tra prodotti-componenti e prodotti-complessi, definisce come presunto il "rischio di confusione" tra i marchi, quando questi siano tra loro identici.
2.1 Con il secondo motivo deduce la nullità dell'ordinanza impugnata per violazione dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen., per non aver tenuto conto delle ulteriori ipotesi di reato espressamente fondati l'adozione del sequestro preventivo da parte del Giudice per le indagini preliminari. Evidenzia in proposito che alcun cenno si rinviene con riferimento all'altra ipotesi di reato contestata, vale a dire la ricettazione; che, dunque, il vincolo cautelare di indisponibilità è venuto meno per effetto di un provvedimento basato su un percorso giustificativo palesemente incompleto, avendo il Tribunale del riesame valorizzato la portata scriminante dell'art. 241 d.lgs. n. 30/2005, che non ha alcuna attinenza con il delitto di ricettazione. Ed invero, quand'anche si volesse sostenere che la clausola di riparazione valga a scriminare qualsiasi contraffazione di prodotti dal disegno-modello registrato in ambito europeo, resterebbe penalmente rilevante la condotta di cui all'art. 648 cod. pen., tenuto conto che i beni di cui si discute sono stati importati dalla Cina nella loro condizione di beni contraffatti, in quanto illecitamente riproducenti disegni, modelli, forme e linee tutelati in ambito europeo e nazionale, ricevuti in Italia e poi distribuiti.
3. In data 10/11/2023 è pervenuta articolata memoria nell'interesse dell'indagato, con relativi allegati, nella quale il difensore - dopo aver ripercorso l'iter cautelare che ha interessato i beni in sequestro, prima oggetto di sequestro probatorio, poi di sequestro preventivo, nonchè le decisioni del Tribunale del riesame, tutte favorevoli all'indagato - ha confutato analiticamente i motivi di ricorso del Pubblico ministero.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
1.1 L'art. 241 del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale) stabilisce che: "Fino a che la direttiva 98/71/CE del parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 1998, sulla protezione giuridica dei disegni e modelli non sarà modificata su proposta della commissione a norma dell'articolo 18 della direttiva medesima, i diritti esclusivi sui componenti di un prodotto complesso non possono essere fatti valere per impedire la fabbricazione e la vendita dei componenti stessi per la riparazione del prodotto complesso, al fine di ripristinarne l'aspetto originario".
Tale disposizione, che disciplina la cosiddetta clausola di riparazione, trova applicazione ogni qual volta un disegno o un modello comunitario, costituente una componente di un prodotto complesso, venga utilizzato per consentire la riparazione di tale prodotto complesso al fine di ripristinarne l'aspetto originario, non anche per motivi di abbellimento o di semplice convenienza (ad esempio, per motivi estetici o di personalizzazione del prodotto). Per "prodotto complesso" - ai sensi dell'art. 3 lett. c) del Regolamento UE n. 6/2002 - si intende un «prodotto costituito da più componenti che possono essere sostituite consentendo lo smontaggio ed un nuovo montaggio del prodotto»; per "componenti di un prodotto complesso", ai sensi dell'art. 110, par. 1, dello stesso Regolamento UE, devono intendersi quelle componenti destinate ad essere assemblate per formare un oggetto industriale o artigianale complesso. Dunque, l'utilizzo della componente deve essere dettato dalla necessità di consentire una normale utilizzazione del prodotto complesso, ciò che si verifica quando lo stato difettoso o la mancanza della componente siano idonei ad impedire una normale utilizzazione. In tali ipotesi, il titolare del disegno o modello del componente del prodotto complesso non può vietare a terzi di produrre e commercializzare tale componente.
Orbene, il cinturino dell'Apple Watch, così come i cinturini compatibili con tale smartwatch, soddisfa certamente anche una finalità di ripristino dell'aspetto e della funzionalità originaria del prodotto, laddove venga sostituito per danneggiamento, usura o smarrimento del cinturino originale. Invero, l'Apple Watch non è solo un orologio da polso, ma ha molteplici funzioni, che presuppongono che l'apparecchio sia a contatto con l'epidermide di chi lo utilizza, di talchè la rottura o il danneggiamento dell'originario cinturino ne impone la sostituzione, al fine di ristabilire la funzionalità dello smartwatch.
1.2 Va, poi, poi precisato che dalla lettura della parte introduttiva del Regolamento n. 6/2002 citato non emerge la volontà di limitare l'applicazione della disciplina di cui all'art. 241 CPI alle ditte produttrici operanti all'interno della Unione Europea. Invero, il riferimento all'ambito territoriale degli Stati membri dell'Unione riguarda l'applicabilità della disciplina al territorio dell'Unione, non ai soggetti che stabilmente vi operano. Altrimenti nemmeno si spiegherebbe perché si dovrebbe tutelare un soggetto extracomunitario, quale Appie.
Del resto, la ratio della norma è quella di evitare situazioni di monopolio del mercato secondario delle riparazioni da parte del produttore di un prodotto complesso, il quale potrebbe fissare condizioni capestro (ad es., determinare arbitrariamente i prezzi, dismettere la produzione di un componente, imporre l'acquisto di una serie di componenti anziché solo di quelli strettamente necessari alla riparazione, ecc.).
1.3 Tanto premesso e venendo più specificamente al caso oggetto di scrutinio, osserva il Collegio come dagli atti sembri emergere che i cinturini in sequestro in un caso recano nome analogo (Milanese) e come tale confondibile con il nome dato a tale modello dalla Appie Inc. (M.M.) e che presentano forma (compresi caratteristiche della maglia, attacchi, borchie del gancio di chiusura), materiali (silicone, acciaio inossidabile) e dimensioni (lunghezza e larghezza dei cinturini, forma e spaziatura tra buci, ecc.) pressoché simili a quelli dei prodotti originali commercializzati da Appie Inc. In altri termini, si tratta di verificare se i cinturini in sequestro rappresentino la riproduzione servile dei cinturini protetti dalla privativa industriale di cui è titolare Appie Inc., cioè se si tratti di pezzi di ricambio per così dire illeciti, in quanto riproducenti in modo servile due modelli registrati.
Va a questo punto ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare che il fumus del delitto di cui all'art. 473, comma 2, cod. pen., sussiste nel caso di condotta di contraffazione o alterazione dei c.d. modelli ornamentali, consistente nel riprodurre gli elementi emblematici e di maggior risalto del modello brevettato, in modo tale da causare la confondibilità dell'oggetto contraffatto con il prodotto originario, o comunque da ingenerare una falsa rappresentazione della provenienza del prodotto, anche laddove - come nel caso di specie - vi siano eventuali indicazioni di marchi validi e legittimi con i quali venga contrassegnato (Sezione 5, n. 16709 del 5/2/2016, Zilio, Rv. 266698 - 01).
Detto altrimenti, «il reato di falso punito dall'articolo 473 cod. pen. è applicabile anche alla contraffazione o alterazione dei c.d. modelli ornamentali disciplinati dall'articolo 2593 cod. civ., che sono indicativi della provenienza del prodotto dall'impresa che l'ha brevettato. In tal caso la contraffazione consiste nel dare al prodotto quella forma e quei colori particolari che possono indurre il pubblico ad identificarlo come proveniente da una certa impresa, anche prescindendo dalle eventuali indicazioni dei marchi con i quali venga contrassegnato» (Sezione 3, n. 31868 del 17/3/2016, Cippitelli, in motivazione).
1.4 Il Tribunale, in sede di rinvio, dovrà dunque verificare se i cinturini già oggetto di sequestro - che certamente sono pezzi di ricambio, in quanto soddisfano una finalità di ripristino dell'aspetto e della funzionalità originaria del prodotto - costituiscono una contraffazione di altrettanti modelli di cinturino Appie oggetto di tutela. Invero, la clausola di riparazione serve a dare legittimità alla produzione di tutti i modelli compatibili che non siano contraffazione di modello registrato.
1.5 Può, in conclusione, affermarsi il seguente principio di diritto: «La clausola di riparazione di cui all'art. 241 D. lgs. 10 febbraio 2005 n. 30 non si applica ai pezzi di ricambio che riproducono in maniera servile modelli registrati».
1.6 Il secondo motivo è assorbito.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Verbania competente ai sensi dell'art. 324, comma 5, cod. proc. pen