Svolgimento del processo
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 15 marzo 2024 dalla Corte di appello di Milano, che ha riformato - riducendo la pena e riconoscendo il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale – la sentenza del Tribunale di Pavia, che aveva condannato S. M., in ordine al reato previsto dall'art. 473 cod. pen.
Secondo l'impostazione accusatoria, il S., nella sua qualità di legale rappresentante della "(omissis) s.r.l." e della "(omissis) s.rl.", avrebbe contraffatto il marchio "(omissis) ", riproducendolo su almeno 323 paia di scarpe, cedute a G.G., titolare dell'omonima ditta individuale.
2. Contro la sentenza della Corte di appello, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di inosservanza di norme processuali, in relazione all'art. 16 cod. proc. pen.
Sostiene che la competenza per territorio spetterebbe al Tribunale di Busto Arsizio, davanti al quale pende il procedimento penale a carico di G.G., per il reato di ricettazione, avente a oggetto quelle stesse scarpe sulle quali l'odierno imputato avrebbe apposto il marchio contraffatto. I due procedimenti sarebbero tra di loro connessi, ex art. 12, lett. c, cod. proc. pen., essendo stati commessi l'uno per eseguire l'altro. La competenza a trattare entrambi i procedimenti, pertanto, spetterebbe, ai sensi dell'art. 16 cod. proc. pen., al Tribunale di Busto Arsizio, competente per il reato più grave.
La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che la connessione teleologica tra reati possa configurarsi nei soli casi in cui i diversi reati per cui si procede siano contestati a un unico imputato o a tutti gli imputati e che sia necessaria l'identità tra gli autori del reato-fine e quelli del reato-mezzo. La giurisprudenza di legittimità, invero, ai fini della configurabilità della connessione teleologica, idonea a determinare uno spostamento della competenza per territorio, non ritiene necessaria l'identità tra gli autori del reato-fine e quello del reato-mezzo.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 473 cod. pen.
Sostiene che, come riconosciuto dalla stessa Corte di appello di Milano, all'imputato dovrebbe essere ricondotta la realizzazione solo di 119 paia di scarpe (e non le 323 indicate nell'imputazione), ossia solo di quelle che erano state oggetto degli accordi tra la "(omissis) s.r.l." e la ditta del Garbin, essendo emerso che quest'ultima aveva acquistato le restanti paia di scarpe attraverso altri canali di approvvigionamento.
Il ricorrente evidenzia che: le 119 paia di scarpe in questione erano state realizzate nell'ambito di un rapporto contrattuale tra la "(omissis) s.r.l." e la "(omissis) ", che prevedeva la produzione da parte della società dell'imputato di calzature ordinate dal titolare del marchio, alle quali apporre il marchio originale; le 119 paia di scarpe in questione erano risultate all'esito del processo produttivo difettose; il contratto nulla prevedeva in ordine alla destinazione da dare ai prodotti risultati difettosi.
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che l'imputato avrebbe legittimamente apposto il marchio sulle calzature in questione, in forza di un regolare contratto con la società titolare del marchio stesso.
La Corte di appello avrebbe completamente errato nel ritenere "non originali" le calzature in questione per il solo fatto che, dalla consulenza tecnica espletata, era emerso che le calzature in questione presentavano caratteristiche (quali la finitura della suola e della punta del tacco) non conformi agli standard qualitativi imposti dal proprietario del marchio.
L'argomento utilizzato dalla Corte di appello sarebbe completamente privo di fondamento, atteso che le calzature erano originali, poiché realizzate in esecuzione di un contratto che ne autorizzava la produzione. I difetti nella finitura delle calzature non erano suscettibili di modificare lo status di originalità dei prodotti e dell'originalità del marchio apposto su di essi. Nel caso in esame, mancherebbe completamente l'elemento materiale del reato di cui all'art. 473 cod. pen., atteso che non ci si troverebbe di fronte a un marchio contraffatto, ma a un marchio originale, legittimamente apposto sulle calzature, in forza di un contratto concluso con il titolare del marchio stesso.
Il ricorrente sostiene che non sarebbe configurabile neppure la fattispecie di cui all'art. 517-ter cod. pen., che presuppone una condotta di usurpazione del titolo o di violazione dello stesso, che, nel caso di specie, non si sarebbe verificata, atteso che vi era un contratto che autorizzava l'uso del marchio e che nulla diceva in merito alla destinazione da dare agli esemplari difettosi.
2.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 473 cod. pen.
Sostiene che i giudici di merito avrebbero ritenuto che «lo status difettoso della calzatura la renderebbe contraffatta>>.
Tale ricostruzione, secondo il ricorrente, sarebbe viziata perché farebbe discendere la contraffazione delle calzature dall'esito del controllo di qualità effettuato dal titolare del marchio, finendo così per far dipendere la consumazione del reato «dall'azione di un terzo».
2.4. Con un quarto motivo, deduce il vizio di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 56-quater legge n. 689 del 1981 e 545-bis cod. proc. pen.
Rappresenta che la Corte di appello ha rigettato la richiesta di applicazione di una sanzione pecuniaria sostitutiva della pena detentiva, in quanto il difensore non sarebbe stato legittimato ad avanzare tale richiesta, perché sprovvisto di procura speciale.
Tanto premesso, contesta tale decisione, sostenendo che il giudice di merito avrebbe dovuto attivare la procedura prevista dall'art. 545-bis cod. pen.
Il ricorrente precisa che il motivo di impugnazione si è reso necessario in quanto la Corte di appello non si sarebbe pronunciata sulla sospensione condizionale della pena, riconosciuta dal giudice di primo grado, limitandosi a un generico «conferma nel resto l'impugnata sentenza».
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere parzialmente accolto, essendo fondato il secondo motivo.
1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, <<ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall'art. 12, lett. c), cod. proc. pen. e della sua idoneità a determinare uno spostamento della competenza per territorio, non è richiesto che vi sia identità fra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo, ferma restando la necessità di accertare che l'autore di quest'ultimo abbia avuto presente l'oggettiva finalizzazione della sua condotta alla commissione o all'occultamento di un altro reato» (Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017, G., Rv. 271223).
Ebbene, nel caso in esame, il ricorrente non ha dedotto, né tantomeno dimostrato, che l'autore del reato-mezzo (il S.) avesse avuto presente la finalizzazione della sua condotta alla commissione dell'altro reato (la ricettazione).
1.2. Il secondo motivo e il terzo motivo - che possono essere trattati congiuntamente, essendo strettamente correlati - sono parzialmente fondati.
Va premesso che, «ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 473 cod. pen., posto a tutela del bene giuridico della fede pubblica, è necessaria la materiale contraffazione o alterazione dell'altrui marchio o segno distintivo che siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento, a differenza del reato previsto dall'art. 517-ter cod. pen., che tutela esclusivamente il patrimonio del titolare della proprietà industriale e che ricorre sia nell'ipotesi di prodotti realizzati ad imitazione di quelli con marchio altrui, sia nell'ipotesi di fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti "originali" da parte di chi non ne è titolare» (Sez. 5, n. 23709 del 18/05/2021, Asperti, Rv. 281378; Sez. 1, n. 30774 del 09/09/2015, Baccalaro, Rv. 267509).
Tanto premesso, va rilevato che, nel caso in esame, secondo la stessa ricostruzione della Corte di appello (cfr. pagina 6 della sentenza impugnata), l'imputato non aveva materialmente contraffatto il marchio, ma avrebbe commercializzato prodotti che, presentando caratteristiche (quali la finitura della suola e della punta del tacco) non conformi agli standard qualitativi imposti dal proprietario del marchio, non potevano essere immessi sul mercato.
In mancanza della materiale contraffazione o dell'alterazione dell'altrui marchio o segno distintivo, in conformità alla giurisprudenza di legittimità, deve essere, però, esclusa la commissione del reato previsto dall'art. 473 cod. pen., potendosi, semmai, valutare la configurabilità della diversa fattispecie prevista dall'art. 517-ter cod. pen., che, come detto, tutela esclusivamente il patrimonio del titolare della proprietà industriale e che ricorre anche nell'ipotesi di fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti "originali" da parte di chi non era autorizzato a farlo.
Possibile riqualificazione che presuppone anche valutazioni di merito, in ordine agli accordi tra le parti circa la destinazione da dare ai prodotti difettosi. Valutazioni che, essendo di merito, non possono essere fatte in questa sede, come sollecitato dal ricorrente nel secondo motivo di ricorso, nella parte in cui chiede di escludere anche la possibile configurabilità del reato previsto dall'art. 517-ter cod. pen.
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per un nuovo esame alla luce dei principi sopra richiamati.
1.3. Il quarto motivo, essendo relativo al trattamento sanzionatorio, risulta assorbito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.