
Svolgimento del processo
1. CF, commercialista, ha proposto opposizione dinanzi al Tribunale di Alessandria avverso l'ordinanza-ingiunzione n. X emessa in data 22/11/2013 dal direttore generale del ministero dell'economia e delle finanze (d'ora in poi, "MEF") che gli infliggeva la sanzione pecuniaria di euro 602.900,00 per violazione delle disposizioni di cui all'art. 3, legge n. 197 del 1991, e di cui all'art. 41, d.lgs. n. 231 del 2007, per avere omesso di segnalare alla UIF (Unità di Informazione Finanziaria per l'Italia) operazioni sospette poste in essere dalla X Srl, nel periodo dal 28 aprile 2006 al 12 giugno 2008, (si tratta di prelevamenti in contante su sei conti correnti bancari intestati alla società), cliente del professionista, depositario della contabilità dell'azienda, con sede in X operante nel settore del commercio all'ingrosso di rottami ferrosi.
Nello specifico, le operazioni sospette sono consistite in 132 prelievi di contante (per euro 8.843.600) compiuti fino al 31/12/2007 (quando era applicabile la disciplina del 1991) e in 54 prelievi di contante (per euro '3.214.000) compiuti fino a giugno 2008 (nel vigore della nuova disciplina), per un ammontare complessivo di euro 12.0 7.600.
2. Il Tribunale di Alessandria ha declinato la competenza per territorio a favore del Tribunale di Roma, dinanzi al quale il professionista ha riassunto il giudizio, che è concluso, in primo grado, con sentenza (n. 10075/2018) che, in parziale accoglimento dell'opposizione, ha ridotto la sanzione a euro 300.000.
3. La decisione del Tribunale è stata impugnata dalla parte privata e la Corte d'appello di Roma, accogliendo il gravame, ha annullato l'ordinanza-ingiunzione del MEF.
4. La Corte territoriale ha esposto le ragioni della decisione nei seguenti termini:
(i) la Guardia di finanza (in seguito, "GdF"), che ha eseguito le indagini prodromiche alla contestazione dell'illecito amministrativo, non ha fornito la prova delle operazioni cd. sospette in quanto, se è pur vero che la documentazione concernente l'acquisto della merce da parte di X Sri non consentiva l'individuazione dei soggetti rivenditori, i quali ricevevano il pagamento in contante, è altresì vero che l'impresa sottoposta all'attività di controllo ( X Sri), a sua volta, cedeva il materiale ferroso ad un'unica società acquirente, la quale pagava con assegni bancari, "assolutamente tracciabili";
(ii) considerati i parametri normativi (art. 3, ci.I. n. 143 del 1991, art. 41, d.lgs. n. 231 del 2007) e gli insegnamenti della giurisprudenza, secondo cui l'obbligo di segnalazione dell'intermediario (nella specie, del commercialista) presuppone il sospetto che il denaro provenga da delitti di riciclaggio (in conformità della prima fattispecie normativa) o da operazioni di riciclaggio (in conformità della disposizione novellata), testualmente (cfr. pag. 5 della sentenza)<<pur preso atto della ampiezza contenuta dei tempi delle operazioni e delle modalità oggettive con cui esse sono state p0ste in essere», l'ulteriore circostanza della rivendita della merce ferrosa mediante regolare fattura e il pagamento della compratrice mediante assegni bancari dimostra l'assenza concreta di elementi che p0tessero anche minimamente fare sospettare la provenienza illecita del denaro e, quindi, imporre al commercialista una particolare attenzione ed un sospetto meritevole di segnalazione anche per gli elevati importi delle cessioni».
5. Il MEF ricorre, con due motivi, per la cassazione della sentenza d'appello; CF resiste con controricorso.
6. Con ordinanza interlocutoria n. 23304/21 della sezione VI-2 di questa Corte, in mancanza di evidenza decisoria, il ricorso è stato rimesso in pubblica udienza.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo - (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione dell'art. 3, d.l. n. 143 del 1991, conv. dalla legge n. 197 del 1991, e dell'art. 41 del d.lgs. n. 231 del 2007 (nella versione anteriore alla riforma del 2017) - denuncia l'errore di diritto della Corte di Roma che non ha compreso che i prelevamenti bancari in contante, per oltre 12 milioni di euro, in poco più di due anni, in assenza di qualsiasi giustificazione, potevano essere finalizzare a non rendere tracciabile il contapte prelevato, ciò che integra la tipica operazione di reinvestimento dei proventi illeciti in attività legali (cd. "ripulitura del denaro sporco").
2. Il secondo motivo - (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le Parti lamenta che la Corte d'appello: per un verso non ha valorizzato il tatto storico rappresentato da 186 operazioni di prelievo di denaro contante, compiute dalla società in un tempo ravvicinato (poco più di due anni), per un totale di oltre 12 milioni di euro; per altro verso non ha valutato i chiari elementi di anomalia della fatti1pecie concreta, riconducibili all'impiego sistematico di denaro contante da parte della società, impiego che lo stesso commercialista aveva sconsigliato (come da quest'ultimo riferito alla GdF), il che attestava la consapevolezza, da parte del sig. F , della opacità delle operazioni poste in essere dalla X Sri, le quali (la circostanza è riconosciuta anche dalla Corte romana) venivano registrate in modo lacunoso e carente. Infatti, i rivenditori non venivano generalizzati sui documenti di acquisto, come prescrive la normativa di settore, e gli stessi documenti, privi della firma per quietanza, non indicavano la targa del veicolo che effettuava il trasporto e il relativo orario.
3. Il primo e il secondo motivo, suscettibili di esame congiunto per connessione, sono fondati.
3.1. Va delineata la cornice normativo e giurisprudenziale di riferimento:
(a) secondo la disciplina del d.l. 3 maggio 1991.1 n. 143, art 3, commi 1 e 2, ("Provvedimenti urgenti per (... ] prevenire l'utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio"), come conv., con modificazioni, dalla legge n. 197 ciel 1991, e del d.lgs. n. 153 del 1997 ("Integrazione dell'attuazione della dir. n. 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita") e, ancora, del d.lgs. 20 febbraio 2004, n. 56 del 2004, gli "intermediari" (ossia gli operatori e i professionisti indicati dalle disposizioni in esame) hanno l'obbligo di segnalare alla c0mpetente autorità di controllo [Ufficio Italiano Cambi] ogni operazione che, per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell'attività del soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il denaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possa provenire da taluno dei reati indicati negli artt. 648-bis e 648-ter, cod. pen.;
(b) nella prospettiva di "ridurre i margini di incertezza connessi con valutazioni soggettive o con comportamenti discrezionali" e al fine di "evitare forme di arbitraggio normativo dirette a eludere gli obblighi di legge" e assicurare la "omogeneità di comportamento del personale degli intermediari" (cfr. la premessa delle "istruzioni operative"), la X , in applicazione del d.l. n. 143 del 1991, art. 4, comma 3, lett. c), ha emanato, nel febbraio 1993, le "Istruzioni operative per l'individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio" (cd. decalogo), aggiornate nel novembre 1994 e rinnovate il 12 gennaio 2001, ai sensi del d.l. n. 143 del 1991, art. 3-bis, comma 4, (aggiunto dal d.lgs. 26 maggio 1997, n. 153), dirette a superare la genericità della disciplina applicativa della dir. n. 91/208/CEE. Con tali istruzioni l'Istituto di vigilanza ha introdotto, tra l'altro, una casistica esemplificativa delle anomalie attinenti alla forma oggettiva delle operazioni bancarie.
Per quanto rileva nel presente giudizio, nella seconda parte del "decalogo" (intitolata "Indici di anomalia") (punto 1.2.) si stabilisce che sono sospette di riciclaggio "frequenti operazioni per importi di poco inferiori al limite di registrazione, soprattutto se effettuate in contante" e, ancora, il "prelevamento di ingenti somme";
(c) l'Ufficio Italiano Cambi, nel provvedimento del 24 febbraio 2006, in tema di istruzioni applicative "in materia di obblighi di [ ...] segnalazione delle operazioni sospette per finalità di prevenzione e contrasto del riciclaggio sul piano finanziario a carico di [...] commercialisti, revisori contabili [ ...]", afferma (parte IV, art. 4, lett. g) che nell'individua ione delle operazioni sospette deve aversi riguardo (tra gli altri) al seguente criterio generale: "ingiustificato impiego di denaro contante o di mezzi di pagamento non appropriati rispetto alla prassi comune ed in considerazione della natura dell'operazione";
(d) analoga disciplina (nella specie rilevante quanto alle operazioni poste in essere dal 1°/01/2008), è dettata dall'art. 41, del d.lgs. n. 231 del 2007, recante la riforma della normativa anti riciclaggio;
(e) costituisce principio di diritto consolidato (Sez. 2, Sentenza n. 8699 del 10/04/2007, Rv. 596040 - 01; in termini, Sez. 2, Sentenza n. 20647 del 08/08/2018, Rv. 650003 - 02), quello secondo cui «[i]n materia di sanzioni amministrative per violazioni della disciplina antiriciclaggio, l'obbligo di segnalazione a carico del responsabile della dipendenza, dell'ufficio o di altro punto operativo di operazioni che a suo avviso, sulla base dei parametri indicati dalla legge, potrebbero provenire da taluno dei reati indicati nell'articolo 648-bis del codice penale, stabilita dall'art. 3, primo e secondo comma, del ci.I. 3 maggio 1991, n. 143 (convertito in legge n. 197 del 1991) non è subordinata all'evidenziazione dalle indagini preliminari dell'operatore e degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio, e neppure all'esclusione, in base al loro personale convincimento, dell'estraneità delle operazioni ad una attività delittuosa, ma ad un giudizio obiettivo sulla idoneità di esse, valutati gli elementi oggettivi e soggettivi che la caratterizzano, ad essere strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire l'attività di riciclaggio».
4. Passando dalla cornice dogmatica della fattispecie concreta all'esame dei due motivi dii ricorso, la sentenza impugnata si è discostata dal dato normativo, non si è attenuta all'insegnamento di questa Corte e ha 0messo di esaminare alcuni fatti storici rilevanti per la decisione, là dove, in adesione alla prospettazione difensiva della persona sanzionata, ha escluso l'esistenza dell'obbligo di segnalazione attribuendo rilievo alla asserita regolare fatturazione della merce venduta e al pagamento (da parte dell'unica compratrice) mediante assegni bancari che venivano accreditati sui conti correnti di X Sri. L.:e decisione della Corte territoriale trascura alcuni nitidi indici di anomalia (puntualmente descritti nel decalogo di X e nelle istruzioni dell' X ), desumibili dagli atti del giudizio, e così sintetizzabili: stando alle risultanze obiettive, si assume che la X Sri acquistasse la merce (materiale ferroso) da privati, senza fatturazione, e quindi in maniera "non tracciabile", e che i residui ferrosi apparentemente acquistati venissero ceduti (la venditrice emetteva fatture di vendita) a una società acquirente, che probabilmente svolgeva il ruolo della cd. "cartiera", se è vero che, come afferma la difesa del commercialista piemontese (cfr. pag. 11 del controricorso), "[essa] ha commesso il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l'utilizzo di documenti per operazioni inesistenti"; la stessa X Sri, in un arco di tempo ridotto (poco più di due anni), mediante 186 operazioni di prelevamento dai propri conti bancari, ha avuto la disponibilità di flussi considerevoli di denaro contante (per oltre 12 milioni di euro), la cui destinazione non è stata documentata e pertanto è rimasta ignota.
È chiaro che, in presenza di tali evidenti sintomi di abnormità nel modus operandi della società (che, si ripete, trovano riscontro negli "indici di anomalia" del decalogo del a X e nelle istruzioni applicative dell' X ), al contrario di quanto afferma la sentenza impugnata, il consulente di X Sri era obbligato a segnalare le operazioni formalmente anorlilale all'autorità amministrativa a ciò preposta, per consentirle di verificare se il ricorso frequente e ingiustificato al contante fosse o meno finalizzato ad eludere le disposizioni dirette a prevenire e punire l'attività di riciclaggio e (dal 2008) l'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attivi(a criminose-e difinanziamento del terrorismo.
5. In conclusione, accolti il primo e il secondo motivo di ricorso, la sentenza è cassata, con rinvio al giudice a quo anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.