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24 gennaio 2024
Ignorata la riserva mentale all’atto della celebrazione del matrimonio? Non è possibile delibare la sentenza ecclesiastica di nullità
La breve durata della convivenza e un atteggiamento denigratorio non rivelano un comportamento psichico non portato a conoscenza dell'altro coniuge.
La Redazione
Tizio chiedeva alla Corte d'Appello di dichiarare efficacie in Italia la sentenza di nullità del matrimonio contratto con Caia, pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Etrusco.
Il Tribunale Ecclesiastico dichiarava la nullità del vincolo matrimoniale per esclusione, da parte del marito, della indissolubilità del vincolo matrimoniale, ritenendo accertata la riserva mentale dell'uomo all'atto della celebrazione del matrimonio.
 
La Corte territoriale rigettava la richiesta di Tizio, in quanto riteneva che la sentenza ecclesiastica era in contrasto con i principi dell'ordine pubblico italiano e negava la delibazione, rilevando che dagli atti del giudizio ecclesiastico non era emersa la prova che il difetto di consenso unilaterale, ossia la riserva mentale del marito fosse stato manifestato alla moglie o fosse stato da lei effettivamente conosciuto o comunque che la donna l'avesse ignorato per propria negligenza.
Avverso tale decisone Tizio propone ricorso per cassazione.
 
Il ricorrente lamenta:
  • il fatto che la Corte di merito, nel valutare la contrarietà all'ordine pubblico, ha omesso di considerare il rapporto tra quest'ultimo e la coscienza sociale, nonché la specificità del diritto canonico;
  • la Corte d'Appello ha erroneamente valutato le risultanze probatorie che emergevano dalle sentenze ecclesiastiche, in base alle quali sussistevano diversi riscontri, quali la brevità del fidanzamento, religiosità, che si assume non dimostrata, della moglie, il mancato trasferimento della residenza della moglie nella casa coniugale, del fatto che la moglie, rimasta contumace nel giudizio ecclesiastico d'appello, fosse stata negligente sulla conoscibilità della riserva mentale del marito, consistente nella volontà di un matrimonio di “prova”, perché egli era contrario ad instaurare un rapporto stabile e continuo.
La Suprema Corte, con l'ordinanza n. 2247 del 23 gennaio 2024, nel rigettare il ricorso di Tizio, rileva che non si pone la questione di convivenza ultra-triennale perché la convivenza matrimoniale è durata solo 10 mesi.
La Corte territoriale si è attenuta ai consolidati principi affermati da questa Corte, secondo cui:

precisazione

«deve ritenersi contrastante con l'ordine pubblico italiano la sentenza ecclesiastica che dichiari la nullità del matrimonio concordatario per esclusione di uno dei bona matrimonii da parte di uno degli sposi, ove tale esclusione si sia risolta in un atteggiamento psichico non portato a conoscenza dell'altro coniuge - costituendo riserva mentale, in quanto priva del requisito della riconoscibilità - stante la fondamentale esigenza di tutelare i soggetti che sono entrati in rapporto con l'autore della riserva; al contrario, non sussiste violazione del su indicato principio di tutela e, quindi, non sono ravvisabili ostacoli di ordine pubblico, quando l'esclusione del bonum sia stata previamente manifestata all'altro coniuge - ovvero condivisa da entrambi - tanto se questi si sia limitato a prenderne atto quanto se abbia acconsentito a tale difformità tra volontà e dichiarazione».
È necessario precisare che è irrilevante la breve durata della convivenza successiva alla celebrazione del matrimonio, riconducibile, secondo quanto dichiarato dalla donna e riportato nella sentenza ecclesiastica di nullità, ad un atteggiamento denigratorio del marito assunto in epoca successiva alla celebrazione del matrimonio ed alla decisione da parte di questo di non coinvolgerla più nella propria attività lavorativa.
La Corte d'Appello ha ritenuto correttamente che nessuna negligenza potesse attribuirsi alla moglie per non essersi accorta della riserva mentale del marito, che, peraltro, neppure aveva dichiarato di averla condivisa con la donna, mentre quest'ultima aveva manifestato ripetutamente la propria credenza nei valori cristiani del matrimonio 
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