TAR Lazio, sez. IV, sentenza (ud. 17 gennaio 2024) 22 gennaio 2023, n. 1223
Svolgimento del processo
La società Assoprovider - Associazione Provider Indipendenti, ha impugnato e chiesto l’annullamento della Delibera di AGCOM n. 490/18/CONS, avente ad oggetto “Modifiche al Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, di cui alla delibera n. 680/13/CONS”, pubblicata sul sito dell’Autorità in data 18.10.2018, nonché degli allegati A e B; della Delibera n. 8/18/CONS del 18.1.2018, avente ad oggetto “Consultazione pubblica sullo schema di proposte di modifica al Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, di cui alla Delibera n. 680/13/CONS”.
A fondamento del ricorso ha dedotto i seguenti motivi:
1°) violazione e falsa applicazione del decreto legislativo n. 70/03 in relazione alla legge n. 633/41.
2°) Violazione e falsa applicazione della disciplina dettata dal decreto legislativo 70/03. Inesistenza e/o nullità dell’atto per usurpazione del potere giudiziario. Violazione dell’art 23, della Costituzione. Violazione degli artt. 2, 21, 41, della Costituzione.
3°) Illegittimità del regolamento per violazione comunitaria derivata. Violazione di legge indiretta del Regolamento di cui alla Delibera 490/2018, per contrarietà della legge 20 novembre 2017, n. 167, recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2017” e, in particolare, dell’art. 2, rubricato “Disposizioni in materia di diritto d’autore. Completo adeguamento alle direttive 2001/29/CE e 2004/48/CE”, oltre a quanto previsto dalle direttive 2001/29/CE e 2004/48/CE”.
La ricorrente ha, inoltre, chiesto al Tribunale di disporre il rinvio pregiudiziale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art 267 TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
4°) Violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa e dei principi di effettività della tutela giurisdizionale e di certezza del diritto in relazione all’art. 9 bis dell’allegato A alla delibera. Illogicità della motivazione per contrarietà dell’art. 9 bis con l’art. 9 del regolamento 680/2013 coordinato, eccesso di poter per mancanza di idonei parametri di riferimento che consentano di assicurare ad ogni cittadino eguale trattamento. Ingiustizia manifesta. Sviamento di potere. Incompetenza relativa della “direzione” ad emettere provvedimenti di competenza dell’Autorità stessa. Violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa e dei principi di effettività della tutela giurisdizionale e di certezza del diritto in relazione agli art. 7, comma 1 e 2, e art. 15 allegato a alla delibera 680/2013, coordinata con la delibera 490/2018. Violazione dei principi di cui agli artt. 2 e 24, II comma, della Costituzione. Istanza di rinvio pregiudiziale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 267 TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
5°) Eccesso di potere dell’AGCOM e difetto di proporzionalità: violazione del principio di imparzialità nel porre a carico solo degli operatori di comunicazione elettronica l’onere economico degli ordini di AGCOM. Mancata comparazione degli interessi coinvolti, sviamento. Ingiustizia manifesta.
Si è costituita in giudizio l’AGCOM (8.1.2019).
Con motivi aggiunti depositati in data 16.10.2023 la ricorrente ha, inoltre, impugnato la Delibera n. 189/23/Cons, avente ad oggetto le “Modifiche al regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 di cui alla delibera 680/13/Cons”, pubblicata in data 31.7.2023, nonché gli allegati A e B.
A fondamento dei motivi aggiunti sono state proposte le seguenti censure:
1° motivo aggiunto) illegittimità derivata per i motivi oggetto del ricorso principale.
2° motivo aggiunto) Violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa e dei principi di effettività della tutela giurisdizionale e di certezza del diritto in relazione all’art 9 bis regolamento 680/2013, come modificato da AGCOM a seguito della legge 14 luglio 2023, n. 93 Disposizioni per la prevenzione e la repressione della diffusione illecita di contenuti tutelati dal diritto d'autore mediante le reti di comunicazione: in vigore dall’8.8.2023. Illogicità della motivazione per contrarietà dell’art. 9 bis con l’art. 9 del regolamento 680/2013. Eccesso di potere per mancanza di idonei parametri di riferimento che consentano di assicurare ad ogni cittadino eguale trattamento. Ingiustizia manifesta. Sviamento di potere; Incompetenza relativa della “direzione” ad emettere provvedimenti di competenza dell’Autorità stessa. Violazione dei principi di cui all’art 2 e 24, II comma, della Costituzione. Violazione dei principi dell’effettività del ricorso giurisdizionale, previsti dall’art 19 Carta di Nizza e 47, Trattato dell’Unione Europea. Violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa e dei principi di effettività della tutela giurisdizionale e di certezza del diritto in relazione agli art 7, comma 1 e 2, e art 15 allegato B, nel testo coordinato al Regolamento 680/2013. Violazione dei principi di cui all’art 2 e 24, II comma, della Costituzione. Violazione dei principi dell’effettività del ricorso giurisdizionale, previsti dall’art 19 della Carta di Nizza e 47 del Trattato dell’Unione Europea. Istanza di rinvio pregiudiziale, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 19, paragrafo 3, lettera b), del Trattato sull'Unione europea e art 267 TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
3° motivo aggiunto) Violazione di legge in relazione alle disposizioni di cui all’art 14, 15 e 16, del decreto legislativo 70/2003, di recepimento del Regolamento 680/2013, come modificato dalla delibera 490/2018 e dalla delibera 189/2023, in particolare dell’art 9 bis, commi quater e quinquies. Illegittimità comunitaria di quanto previsto dall’art 2 e 6, della legge 14 luglio 2023, n 93, Disposizioni per la prevenzione e la repressione della diffusione illecita di contenuti tutelati dal diritto d'autore mediante le reti di comunicazione.
La ricorrente, nei motivi aggiunti, ha proposto un’istanza istruttoria finalizzata ad ottenere l’acquisizione di “qualsiasi documento presupposto, preparatorio, connesso e consequenziale alla Delibera n. 189/2023/CONS, emessa dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ed in particolare le richieste di chiarimenti della Commissione europea pervenute per il tramite della Unità centrale di notifica presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy in data 19 aprile 2023 (prot. n. 0106318), come citate a pag 10 della Delibera 189/2023”; nonché l’esibizione della “notifica di regola tecnica effettuata ai sensi della citata direttiva 2015/1535/UE e le richieste di chiarimenti della Commissione europea pervenute per il tramite della Unità centrale di notifica presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy in data 19 aprile 2023 (prot. n. 0106318), come citate a pag 10 della Delibera 189/2023”.
Con ordinanza presidenziale n. 6796 del 17 ottobre 2023 tale istanza è stata accolta “nella parte in cui vengono specificati gli elementi documentali ritenuti a tale finalità utili (non quindi, pertanto, relativamente alla generica indicazione di “qualsiasi documento presupposto, preparatorio, connesso e consequenziale alla Delibera n. 189/2023/CONS, emessa dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni”)”; si è, pertanto, ordinato ad AGCOM di provvedere al deposito di tale documentazione.
In conseguenza degli elementi enucleati dalla disposta istruttoria, adempiuta da AGCOM in data 13.12.2023, la società ricorrente ha depositato un ulteriore ricorso per motivi aggiunti, in data 6.1.2024, impugnando la Delibera n. 190/23/CONS del 26.7.2023, avente ad oggetto la “Autorizzazione all’accettazione dell’atto pubblico di donazione avente ad oggetto il software di gestione della piattaforma machine to machine denominato Piracy Shield”; la Delibera n. 321/23/CONS, avente ad oggetto la “Definizione dei requisiti tecnici e operativi della piattaforma tecnologica unica con funzionamento automatizzato per l’esecuzione della delibera n. 189/23/cons attuativa della legge 14 luglio 2023, n. 93”, pubblicata in data 8.12.2023; i manuali d’uso della piattaforma tecnologica unica con funzionamento automatizzato per l’esecuzione della delibera n. 189/23/cons attuativa della legge 14 luglio 2023, n. 93, ed i relativi addendum; l’atto di donazione, non pubblicato né conosciuto e non conoscibile, mediante il quale la lega Calcio serie A avrebbe donato all’AGCOM la piattaforma tecnologica sviluppata dalla start-up dello studio legale Previti.
La ricorrente ha proposto i seguenti motivi:
1° motivo aggiunto bis) illegittimità derivata per i motivi oggetto del ricorso principale e dei motivi aggiunti del 16.10.2023.
2° motivo aggiunto bis) Violazione dell’art 9 bis della delibera 189/2023 e degli art 2, 5 e 6 della legge 14 luglio 2023, n 93, come modificato dal D.L. 15 settembre 2023, n. 123, con L. 13 novembre 2023, n. 159 (G.U. n. 266 del 14 novembre 2023), delle disposizioni di cui all’art 1, comma 1-bis del decreto legislativo 15 dicembre 2017, n. 223 Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1025/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, sulla normazione europea e della direttiva (UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che prevede una procedura d'informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione.
3° motivo aggiunto bis) Violazione di legge per contrarietà della Delibera n. 321/23/CONS Definizione dei requisiti tecnici e operativi della piattaforma tecnologica unica con funzionamento automatizzato per l’esecuzione della delibera n. 189/23/cons attuativa della legge 14 luglio 2023, n. 93, pubblicato sul sito dell’Autorità in data 8 dicembre 2023 e non notificato, e dei Manuali tecnici mai pubblicati, rispetto agli art 32 legge 69/2009 e art 12 d.lgs. n. 33/2013.
4° motivo aggiunto bis) Sviamento di potere. Contrarietà ai principi dell’evidenza pubblica e della necessaria esclusione di interesse economico del donante in relazione alla donazione della piattaforma tecnologica e di cui alla Delibera n. 321/23/CONS Definizione dei requisiti tecnici e operativi della piattaforma tecnologica unica con funzionamento automatizzato per l’esecuzione della delibera n. 189/23/cons attuativa della legge 14 luglio 2023, n. 93, pubblicato sul sito dell’Autorità in data 8 dicembre 2023.
5° motivo aggiunto bis) Violazione della Delibera 321/2023, dell’atto di donazione della piattaforma e dei relativi manuali esplicativi, a quanto previsto dall’art 68 e 69 del codice dell’Amministrazione digitale, nonché a quanto previsto dalla Determinazione AGID n. 115/2019 del 9 maggio 2019 - Adozione delle Linee Guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni, pubblicate in Gazzetta ufficiale, serie generale n.119 del 23 maggio 2019.
6° motivo aggiunto bis) Violazione del principio di proporzionalità e di uguaglianza di cui all’art 3 Cost, dell’art 2, comma 7, e 5 della legge 14 luglio 2023, n. 93, come modificato dal D.L. 15 settembre 2023, n.123, con legge 13 novembre 2023, n. 159 (G.U. n. 266 del 14 novembre 2023), rispetto alla sanzione amministrativa prevista.
Si è costituita in giudizio, con intervento ad opponendum (10.1.2024), la FAPAV – Federazione per la Tutela delle Industrie dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali; sempre con intervento ad opponendum, si è costituita in giudizio la Lega nazionale professionisti serie B (15.1.2024) e, ancora con intervento ad opponendum, la Lega nazionale professionisti serie A.
In vista dell’udienza in Camera di Consiglio del 17 gennaio 2024 la ricorrente ha depositato una memoria conclusiva (15.1.2024), così come l’interveniente FAPAV; a tale udienza, fissata per la trattazione della domanda cautelare, il Collegio ha avvisato le parti della possibile definizione della controversia ai sensi dell’art. 60 c.p.a. e la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione
Il ricorso principale è infondato e, pertanto, va respinto.
Con il primo e il secondo motivo la ricorrente ha confutato la sussistenza del potere regolamentare di AGCOM in materia di diritto d’autore.
In particolare, nel primo motivo si è sostenuto che il d.lgs. 70/2003, che “contiene norme a presidio della affidabilità delle transazioni a distanza e del commercio elettronico”, e di cui la deliberazione impugnata costituirebbe attuazione, non “affronta in alcun modo il problema di una possibile attuazione delle disposizioni in esso contenute, ed è logico che sia cosi dal momento che le norme sul diritto d’autore on line sono invece specificate da due Direttive recepite dal nostro legislatore”, ossia le Direttive IPRED e INFOSOC (cfr. pagg. 8 – 9); nel secondo motivo si è contestato che “il nostro ordinamento però, prevede che in caso di provvedimenti capaci di incidere su posizioni soggettive costituzionalmente garantite, la individuazione del fondamento alla base del potere esercitato deve per forza rispondere a regole rigorose, tali da garantire i principi di legalità e di tipicità previsti dalla Costituzione”, con la conseguenza che, nella specie, opererebbe la riserva di legge ai sensi dell’art. 23 della Costituzione, “da cui discende nel settore provvedimentale sanzionatorio un principio di legalità forte, declinato nel corollario della tipicità dei provvedimenti e della tassatività delle fattispecie sanzionate”.
Tali censure sono inammissibili per acquiescenza e, comunque, risultano infondate nel merito.
Il Collegio rileva, infatti, che nel regolamento approvato con delibera n. 680 del 12.12.2013, non impugnata nel presente giudizio (neppure) quale atto presupposto, sono state disciplinate, all’art. 1, “le attività dell’Autorità in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica. In particolare, il regolamento mira a promuovere lo sviluppo dell’offerta legale di opere digitali e l’educazione alla corretta fruizione delle stesse e reca le procedure volte all’accertamento e alla cessazione delle violazioni del diritto d’autore e dei diritti connessi, comunque realizzate, poste in essere sulle reti di comunicazione elettronica” (comma 1), soggiungendosi che a tal fine “l’Autorità opera nel rispetto dei diritti e delle libertà di comunicazione, di manifestazione del pensiero, di cronaca, di commento, critica e discussione, nonché delle eccezioni e delle limitazioni di cui alla Legge sul diritto d’autore. In particolare, l’Autorità tutela i diritti di libertà nell’uso dei mezzi di comunicazione elettronica, nonché il diritto di iniziativa economica e il suo esercizio in regime di concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche, nel rispetto delle garanzie di cui alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” (comma 2): il che pienamente sostanzia il potere di provvedere in materia di diritto d’autore.
Senza contare che l’art. 8 del predetto regolamento ha introdotto e disciplinato – sin dal 2013 – sia il potere di rimozione selettiva delle opere digitali (comma 3), che il potere di disabilitazione dell’accesso al sito (comma 4), censurati dalla ricorrente nell’atto introduttivo del presente giudizio (nonché per illegittimità derivata nei motivi aggiunti depositati il 16.10.2023 ed il 6.1.2024).
Con il terzo motivo, poi, la ricorrente ha contestato che la deliberazione impugnata disciplinerebbe illegittimamente il potere cautelare, espressamente regolato all’art. 9 bis, stigmatizzandosi che “l’intera direttiva 2004/48”, avente ad oggetto le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, “prevede che sia solo l’autorità giurisdizionale a poter emettere misure cautelari inibitorie e ante causam” (cfr. pag. 16), e “non un organo amministrativo a poter accertare la violazione e a poter disporre misure in grado di inibire tale reiterazione” (cfr. pag. 17).
Censure riproposte, sotto diversa luce, nel quarto motivo, con cui la ricorrente ha contestato che la disposizione di cui all’art. 9 bis sarebbe “palesemente illogica poiché riproduce una disposizione già prevista dal Regolamento 680/2013, tutt’ora esistente, ma con un organo di emissione diverso”, evidenziando in chiave critica la competenza di una direzione in merito “all’emanazione dell’ordine cautelare qualora la violazione risulti manifesta sulla base di un sommario apprezzamento dei fatti e sussista la minaccia di un pregiudizio imminente, grave e irreparabile per i titolari dei diritti”, ulteriormente lamentando che, a tutto concedere, “il soggetto deputato ad emettere il provvedimento deve essere l’Autorità, non un ufficio anche perché la norma stessa prevede che la richiesta sia fatta all’autorità” (cfr. pag. 20).
Il predetta art. 9 bis, inoltre, avrebbe riformato in modo illogico la previgente disposizione di cui all’art. 9 della deliberazione n. 680/2013, nel senso che “la procedura introdotta dall’Autorità, vede come parti necessarie del procedimento solo il titolare dei diritti (che avvia il procedimento con una istanza - l’Agcom non può procedere d’ufficio-) e il provider, ovvero colui che materialmente fornisce la strada per giungere ad un determinato sito, gli altri soggetti (gestore della pagina internet e uploader) sono soltanto parti eventuali” (cfr. pag. 23).
Con il quinto motivo, infine, è stato dedotto che “gli ordini emanati nei confronti degli internet service providers, comportano un pesante vulnus alla libertà d’impresa delle stesse aziende in assenza di una tipizzazione espressa di tali poteri” (cfr. pag. 25).
Si tratta di censure che, in ragione della stretta affinità tematica, possono essere esaminate in modo congiunto, e che vanno parimenti respinte, dovendosi, a tal riguardo, rilevare:
1) che non è ravvisabile la violazione della riserva del potere giurisdizionale, considerato che la giurisprudenza si è pronunciata, su analoga censura, osservando (cfr. TAR Lazio – Roma, 30 marzo 2017, n. 4100, non appellata):
a) che “il procedimento amministrativo promosso dall'Agcom e regolamentato con il provvedimento impugnato e il procedimento innanzi all'a.g.o. si svolgono su (e riguardano) piani distinti e separati, ferma restando la disciplina giuridica sul “commercio elettronico”, di cui anche alla direttiva 2000/31/CE, che individua la vigilanza dell’Autorità di settore sugli intermediari anche (evidentemente) a tutela del diritto d'autore “online”;
b) che “non risulta alcuna incompetenza dell’Autorità intimata né alcuna sottrazione al giudice naturale in materia di tutela diretta del diritto d’autore, così come non si rinviene alcun trasferimento dalla sede giudiziaria ordinaria a quello amministrativa della stessa materia, in quanto le competenze restano divise in base al criterio già individuato dalla predetta normativa primaria”, ossia l’art. 5 (comma 1), e gli artt. 14 (comma 3), 15 (comma 2) e 16 (comma 3) del d.lgs. 70/2003, nonché l’art. 32 bis (comma 3) del d.lgs. 177/2005, come introdotto dall’art. 6 del d.lgs. 44/2010;
c) che il regolamento approvato con delibera n. 680/2013, le cui modifiche sono oggetto del presente giudizio, “riconosce valore specifico all'adeguamento spontaneo del soggetto destinatario della comunicazione di avvio del procedimento specifico – con la conseguente archiviazione del procedimento – prevedendo che, in caso contrario, l'Autorità possa ordinarne la rimozione dei contenuti ovvero la disabilitazione dell'accesso alle opere digitali, ai prestatori di servizi (“hosting”), i quali potranno essere sanzionati non già per una violazione del diritto d'autore, ma per 1'eventuale inottemperanza al predetto ordine dell'AgCom, per la cui delibazione è individuabile, come giudice “naturale”, quello amministrativo”;
d) e che “il raccordo tra il procedimento amministrativo e quello giudiziario operato dal Regolamento impugnato, ritenuto anche per questo aspetto illegittimo dalle parti ricorrenti, risulta viceversa conforme, e comunque, non in contrasto rispetto alle predette norme di legge”.
Peraltro, il Consiglio di Stato, proprio con riferimento al regolamento in questione, vale a dire alla base di diritto positivo che la ricorrente non ha contestato (avendo, invece, censurato la legittimità delle sole modifiche a tale disciplina) ha statuito che “non si può ignorare la nota e riconosciuta elaborazione in materia di c.d. poteri impliciti (anche) delle autorità quali quella di cui qui si tratta, grazie alla quale si è pervenuti a condividere il fatto che sono configurabili funzioni normative in capo a tali soggetti giuridici. (…) Se ne deve allora trarre la conclusione che nel caso in discorso il censurato provvedimento dell’Autorità è stato adottato in legittimo e corretto esercizio di attribuzioni proprie dell’Autorità medesima” (sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4993).
Pure evanescenti sono da ritenersi i profili di illegittimità costituzionale adombrati dalla ricorrente, trattandosi di questioni già delibate dal Giudice delle Leggi nella sentenza n. 247 del 3 dicembre 2015, con cui la Corte ha dichiarato inammissibili “le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 1, 14, comma 3, 15, comma 2, e 16, comma 3, del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 (Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico) e dell’art. 32-bis, comma 3, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici), sollevate, con le ordinanze indicate in epigrafe, in riferimento agli artt. 2, 21, 24, 25, primo comma, e 41 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio”.
Unico profilo di (pregresso) annullamento in sede giurisdizionale del regolamento originario, statuito dal giudice di seconde cure nella richiamata sentenza n. 4993/2019, è che non è stato ritenuto “lineare ed automatico (proprio per rispetto del principio di legalità) ammettere che, a fronte dell’inosservanza di tali misure amministrative, colui che non vi ottemperi per ciò solo debba scontare l’onere di una sanzione pecuniaria in mancanza di una norma primaria che tanto espressamente e preventivamente preveda. La teoria dei c.d. poteri impliciti neppure sopperisce, a tal riguardo, sia perché figlia di una fonte di sua produzione non legislativa sia perché di per se stessa inidonea a giustificare una espansione applicativa di tali poteri fino al segno di poter addirittura configurare la produzione di norme (all’evidenza subprimarie) idonee a produrre (sotto le spoglie di sanzioni amministrativa pecuniarie) conseguenze sul fronte patrimoniale del privato. E non può dirsi sufficiente la base normativa primaria che, in via generale ed astratta, configura sanzioni amministrative pecuniarie per il mancato rispetto di ordini legittimi dell’Autorità” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4993).
Ma tali censure non sono state prospettate dalla ricorrente nell’odierno giudizio.
Cosicché restano irretrattabili le statuizioni con cui il Consiglio di Stato ha confermato che “il procedimento abbreviato previsto dall'articolo 9 del Regolamento risponde all'esigenza di rapidità dell'azione a tutela del diritto d'autore online, considerato anche che, in accoglimento delle osservazioni della Commissione europea, oltre che sulla spinta delle istanze presentate nel corso della consultazione pubblica, tutti i termini previsti nell’iniziale schema di regolamento approvato il 25 luglio 2013 sono stati estesi nella versione finale”; il che depone per la legittimità del procedimento introdotto dalla deliberazione impugnata (allegato B) all’art. 9 bis, che ha introdotto una tutela urgente finalizzata “all’emanazione dell’ordine cautelare qualora la violazione risulti manifesta sulla base di un sommario apprezzamento dei fatti e sussista la minaccia di un pregiudizio imminente, grave e irreparabile per i titolari dei diritti”.
Si può, a questo punto, passare all’esame del ricorso per motivi aggiunti del 16.10.2023, con cui è stato chiesto, per quanto più interessa, l’annullamento della deliberazione n. 189 del 31.7.2023.
Premessa – alla luce di quanto sopra rilevato – l’infondatezza delle censure finalizzate a dedurre l’illegittimità in via derivata per i motivi oggetto del ricorso principale, la ricorrente ha contestato, con il secondo e terzo motivo, dedotti in via (asseritamente) autonoma, che “il nuovo articolo 9 bis, come modificato dall’art 1, punto f, della Delibera 189/2023, prevede una procedura cautelare sommaria, non vigilata in alcun modo dall’autorità giudiziaria, che impone ai provider entro 30 minuti, secondo quanto previsto dall’art 2, comma 3, 4, 5 e 6 della legge 93/2023, a seguito del quale l’Autorità ha emendato il Regolamento 680/2013, di inibire l’accesso a determinati siti internet oggetto di una semplice comunicazione da parte di chi ritiene avere un diritto violato” (cfr. pag. 19); ed ha chiesto, inoltre, “di voler dichiarare parimenti illegittime e/o disapplicare, in quanto non conformi al dettato comunitario, le disposizioni regolamentari citate e gli art 2 e 6 della legge 93/2023 Disposizioni per la prevenzione e la repressione della diffusione illecita di contenuti tutelati dal diritto d'autore mediante le reti di comunicazione, che tale attività sembrano presupporre, o di voler sottoporre le stesse, come si è già rilevato con l’intero art 9 bis della delibera, anche sotto tale specifico profilo, al rinvio pregiudiziale comunitario” (cfr. pag. 21).
I rilievi in questione vanno respinti.
La deliberazione impugnata ha, per un verso, confermato la disciplina oggetto dell’art. 9 bis della deliberazione n. 480/2018 (commi da 1 a 4), prevedendo – questa la novità introdotta – la possibilità di “ordinare in via cautelare ai prestatori di servizi di mere conduit operanti nel territorio italiano di porre fine alla violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi riguardanti opere audiovisive aventi ad oggetto manifestazioni sportive trasmesse in diretta e assimilate, ai sensi dell’art. 8, comma 4”, vale a dire di “di provvedere alla rimozione selettiva delle opere digitali medesime ovvero di adottare le misure eventualmente disponibili volte ad impedirne il caricamento”, ovvero, “in presenza di violazioni gravi o di carattere massivo”, di “ordinare ai prestatori di servizi di provvedere, in luogo della rimozione selettiva, alla disabilitazione dell’accesso alle suddette opere digitali, mediante l’adozione di misure sufficientemente efficaci per garantire una tutela effettiva dei suddetti diritti” (comma 4 bis), il tutto secondo un procedimento ulteriormente strutturato nei successivi commi 4 ter, prevedendosi, altresì, a carico dei destinatari dell’ordine cautelare, l’adozione di una misura di “blocco di ogni altro futuro nome di dominio e sottodominio, o indirizzo IP, comprese le variazioni del nome o della semplice declinazione o estensione, riconducibili ai medesimi contenuti e tramite i quali avvengono le violazioni” (comma 4 quater): un’azione di tutela preventiva che consente al “soggetto legittimato” di dichiarare “sotto la propria responsabilità, fornendo, per ogni indirizzo IP e nome a dominio segnalato, prova documentale certa in ordine all’attualità della condotta illecita, che i nomi a dominio e gli indirizzi IP segnalati sono univocamente destinati alla violazione dei diritti d’autore o connessi delle opere audiovisive aventi ad oggetto manifestazioni sportive trasmesse in diretta e assimilate” (4 quinquies).
A ciò va aggiunto che nel testo definitivo allegato alla delibera n. 189/2023, inviato alla Commissione a conclusione della procedura di notifica, la temporaneità del blocco non è stata confermata, anche alla luce delle previsioni di cui alla legge 93/2023: il che depone per l’infondatezza del rilievo di irreparabilità del pregiudizio, lamentata dalla ricorrente.
Ad avviso del Collegio, non sono persuasive le censure mosse alla disciplina impugnata sia sotto il profilo della conformità al diritto comunitario, sia sotto il profilo della proporzionalità dei rimedi previsti (ed ulteriormente affinati).
L’azione dell’Autorità risulta, infatti, finalizzata a fornire strumenti di rapido intervento nei confronti dei fenomeni massivi di violazioni del diritto d’autore online, ma non in conflitto – né, tantomeno, in regime di alternatività o, addirittura, di sostituzione – con l’esercizio della funzione giurisdizionale, come dimostrano le previsioni afferenti all’archiviazione del procedimento nell’ipotesi in cui l’interessato adisca l’autorità giudiziaria (“qualora nel corso del procedimento adisca l’Autorità giudiziaria per gli stessi diritti relativi alle medesime opere, il soggetto istante ne informa tempestivamente la direzione, che archivia gli atti e li trasmette all’Autorità giudiziaria, anche nel caso in cui gli stessi siano stati già inviati all’organo collegiale ai sensi del comma 6, dandone notizia ai destinatari della comunicazione di avvio del procedimento”, cfr. art. 7, comma 7 dell’allegato B).
Non solo.
Nell’applicazione della disciplina del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica è stato necessario istituire un bilanciamento tra i diversi diritti in gioco, cioè, certo, la libertà di espressione e di manifestazione del pensiero, ma, non secondariamente, il diritto alla privacy e l’accesso dei cittadini alla cultura e ad internet, alla luce di quanto sancito dall’ordinamento dell’Unione europea in materia di comunicazioni elettroniche.
Nel solco, in altri termini, della Direttiva sul commercio elettronico n. 2000/31/CE, nella quale si è espressamente previsto che “le limitazioni alla responsabilità dei prestatori intermedi previste nella presente direttiva lasciano impregiudicata la possibilità di azioni inibitorie di altro tipo. Siffatte azioni inibitorie possono, in particolare, essere ordinanze di organi giurisdizionali o autorità amministrative che obbligano a porre fine a una violazione o impedirla, anche con la rimozione dell'informazione illecita o la disabilitazione dell'accesso alla medesima” (cfr. considerando n. 45); e fermo restando che “per godere di una limitazione della responsabilità, il prestatore di un servizio della società dell'informazione consistente nella memorizzazione di informazioni deve agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitare l'accesso alle medesime non appena sia informato o si renda conto delle attività illecite” (cfr. considerando n. 46).
La naturale ricaduta di tali principi – pur nel contesto di un regolamento che si è prefisso di “promuovere lo sviluppo dell’offerta legale di opere digitali e l’educazione alla corretta fruizione delle stesse e reca le procedure volte all’accertamento e alla cessazione delle violazioni del diritto d’autore e dei diritti connessi, comunque realizzate, poste in essere sulle reti di comunicazione elettronica” (cfr. art. 2) – non poteva che tradursi in misure di concreto contrasto al fenomeno della pirateria online, iscrivendosi, in tale ambito, la scelta di intervenire sul duplice piano della predisposizione di misure dirette, da una parte, ad incentivare lo sviluppo dell’offerta legale di opere digitali e l’educazione del pubblico alla corretta fruizione delle stesse e, dall’altra, alla vigilanza, all’accertamento e alla cessazione delle violazioni del diritto d’autore o dei diritti connessi, comunque realizzate, poste in essere sulle reti di comunicazione elettronica.
Istituti e garanzie che sono pacificamente previsti (perché immutati nella disciplina di base) anche nell’allegato B della deliberazione n. 189/2023 e che hanno trovato conferma nella legge 93/2023 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della diffusione illecita di contenuti tutelati dal diritto d'autore mediante le reti di comunicazione elettronica”: in particolare agli artt. 2 e 4), entrata in vigore in data 8.8.2023 e successivamente emendata con il DL 123/2023.
L’art. 2, in particolare, disciplina il potere dell’Autorità di ordinare “ai prestatori di servizi, compresi i prestatori di accesso alla rete, di disabilitare l'accesso a contenuti diffusi abusivamente mediante il blocco della risoluzione DNS dei nomi di dominio e il blocco dell'instradamento del traffico di rete verso gli indirizzi IP univocamente destinati ad attività illecite” (comma 1), stabilendosi, inoltre, che i soggetti “coinvolti a qualsiasi titolo nell’accessibilità del sito web o dei servizi illegali, eseguono il provvedimento dell'Autorità senza alcun indugio e, comunque, entro il termine massimo di trenta minuti dalla notificazione, disabilitando la risoluzione DNS dei nomi di dominio e l'instradamento del traffico di rete verso gli indirizzi IP indicati nell'elenco di cui al comma 4 o comunque adottando le misure tecnologiche e organizzative necessarie per rendere non fruibili da parte degli utilizzatori finali i contenuti diffusi abusivamente”.
L’esiguità del termine (30 minuti), contestata dalla ricorrente, è da rapportare ai tempi – altrettanto esigui – degli eventi sportivi che possono costituire occasione di condotte illecite e all’esigenza di approntare una tutela concreta e non formalistica per arginare abusi e violazioni.
Non può ritenersi, a giudizio del Collegio, una misura estemporanea e proporzionata, potendo, piuttosto, contare su una solida base normativa e giurisprudenziale.
In particolare, occorre richiamare le previsioni di cui all’art. 8 della delibera n. 189/2023 (che riproduce quanto, in origine previsto dall’analoga disposizione della delibera 680/2013), secondo cui “qualora ritenga sussistente la violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi, l’organo collegiale esige, nel rispetto dei criteri di gradualità, di proporzionalità e di adeguatezza, che i prestatori di servizi destinatari della comunicazione di cui all’articolo 7, comma 1, impediscano la violazione medesima o vi pongano fine, ai sensi degli articoli 14, comma 3, e 16, comma 3, del Decreto. A tale scopo, l’organo collegiale adotta gli ordini di cui ai commi 3, 4 e 5 nei confronti dei prestatori di servizi, i quali devono ottemperarvi entro tre giorni dalla notifica” (comma 2); e che “qualora il sito sul quale sono rese disponibili opere digitali in violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi sia ospitato su un server ubicato fuori dal territorio nazionale, l’organo collegiale può ordinare ai prestatori di servizi che svolgono attività di mere conduit, di cui all’articolo 14 del Decreto, di provvedere alla disabilitazione dell’accesso al sito” (comma 4).
La previsioni regolamentari hanno natura sostanzialmente normativa, considerato che nella legge 249/1997, istitutiva dell’AGCOM, l’art. 1, comma 6, lett. c) espressamente prevede che il Consiglio “garantisce l'applicazione delle norme legislative sull'accesso ai mezzi e alle infrastrutture di comunicazione, anche attraverso la predisposizione di specifici regolamenti”: il regolamento del 2013, però, nella specie non è stato neppure impugnato dalla ricorrente, come si è detto.
Ma indipendentemente da tale, pur decisivo, profilo, il potere di disabilitazione costituisce null’altro che una piana applicazione delle disposizioni e dei principi posti a tutela del diritto d’autore, riaffermati dalla legislazione e dalla giurisprudenza comunitaria.
Proprio la Corte di Giustizia dell’Unione europea, nella sentenza del 22 giugno 2021 (cause riunite C 682/18 e C 683/18) ha delineato il quadro delle disposizioni del diritto unionale rilevanti ai fini del decidere, segnatamente le norme recate dalla direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (c.d. direttiva sul diritto d’autore) e dalla direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (c.d. direttiva sul commercio elettronico).
Il considerando 59 della direttiva sul diritto d’autore stabilisce che “in particolare in ambito digitale, i servizi degli intermediari possono essere sempre più utilizzati da terzi per attività illecite. In molti casi siffatti intermediari sono i più idonei a porre fine a dette attività illecite. Pertanto fatte salve le altre sanzioni e i mezzi di tutela a disposizione, i titolari dei diritti dovrebbero avere la possibilità di chiedere un provvedimento inibitorio contro un intermediario che consenta violazioni in rete da parte di un terzo contro opere o altri materiali protetti. Questa possibilità dovrebbe essere disponibile anche ove gli atti svolti dall’intermediario siano soggetti a eccezione ai sensi dell’articolo 5. Le condizioni e modalità relative a tale provvedimento ingiuntivo dovrebbero essere stabilite dal diritto nazionale degli Stati membri”; l’art. 3 della medesima direttiva prevede che “gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro opere, compresa la messa a disposizione del pubblico delle loro opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”; ed il successivo art. 8 puntualizza che “1. Gli Stati membri prevedono adeguate sanzioni e mezzi di ricorso contro le violazioni dei diritti e degli obblighi contemplati nella presente direttiva e adottano tutte le misure necessarie a garantire l’applicazione delle sanzioni e l’utilizzazione dei mezzi di ricorso. Le sanzioni previste devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive. 2. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie a garantire che i titolari dei diritti i cui interessi siano stati danneggiati da una violazione effettuata sul suo territorio possano intentare un’azione per danni e/o chiedere un provvedimento inibitorio e, se del caso, il sequestro del materiale all’origine della violazione, nonché delle attrezzature, prodotti o componenti di cui all’articolo 6, paragrafo 2. 3. Gli Stati membri si assicurano che i titolari dei diritti possano chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti degli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare un diritto d’autore o diritti connessi”.
Tuttavia, la direttiva sul commercio elettronico, in qualche modo temperando e calibrando le conseguenze derivanti dalle previsioni dei considerando recati dalla direttiva sul diritto d’autore, puntualizza che: a) “La direttiva rappresenta un equilibrio tra i vari interessi in gioco e istituisce principi su cui possono essere basati gli accordi e gli standard delle imprese del settore” (considerando 41); b) “Le deroghe alla responsabilità stabilita nella presente direttiva riguardano esclusivamente il caso in cui l’attività di prestatore di servizi della società dell’informazione si limiti al processo tecnico di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione. Siffatta attività è di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate” (considerando 42); c) “Un prestatore può beneficiare delle deroghe previste per il semplice trasporto (“mere conduit”) e per la memorizzazione temporanea detta “caching” se non è in alcun modo coinvolto nell’informazione trasmessa. A tal fine è, tra l’altro, necessario che egli non modifichi l’informazione che trasmette. Tale requisito non pregiudica le manipolazioni di carattere tecnico effettuate nel corso della trasmissione in quanto esse non alterano l’integrità dell’informazione contenuta nella trasmissione” (considerando 43); d) “Il prestatore che deliberatamente collabori con un destinatario del suo servizio al fine di commettere atti illeciti non si limita alle attività di semplice trasporto (“mere conduit”) e di “caching” e non può pertanto beneficiare delle deroghe in materia di responsabilità previste per tali attività” (considerando 44); e) “Le limitazioni alla responsabilità dei prestatori intermedi previste nella presente direttiva lasciano impregiudicata la possibilità di azioni inibitorie di altro tipo. Siffatte azioni inibitorie possono, in particolare, essere ordinanze di organi giurisdizionali o autorità amministrative che obbligano a porre fine a una violazione o impedirla, anche con la rimozione dell’informazione illecita o la disabilitazione dell’accesso alla medesima” (considerando 45); f) “Per godere di una limitazione della responsabilità, il prestatore di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni deve agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitare l’accesso alle medesime non appena sia informato o si renda conto delle attività illecite. La rimozione delle informazioni o la disabilitazione dell’accesso alle medesime devono essere effettuate nel rispetto del principio della libertà di espressione e delle procedure all’uopo previste a livello nazionale. La presente direttiva non pregiudica la possibilità per gli Stati membri di stabilire obblighi specifici da soddisfare sollecitamente prima della rimozione delle informazioni o della disabilitazione dell’accesso alle medesime”(considerando 46); g) “La presente direttiva non pregiudica la possibilità per gli Stati membri di chiedere ai prestatori di servizi, che detengono informazioni fornite dai destinatari del loro servizio, di adempiere al dovere di diligenza che è ragionevole attendersi da loro ed è previsto dal diritto nazionale, al fine di individuare e prevenire taluni tipi di attività illecite” (considerando 48).
In linea coerente con tali previsioni, l’art. 12 della direttiva sul commercio elettronico, occupandosi partitamente dell’attività di “semplice trasporto ("mere conduit")”, stabilisce che “1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell'informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il prestatore non sia responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che egli: a) non dia origine alla trasmissione; b) non selezioni il destinatario della trasmissione; e c) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse. 2. Le attività di trasmissione e di fornitura di accesso di cui al paragrafo 1 includono la memorizzazione automatica, intermedia e transitoria delle informazioni trasmesse, a condizione che questa serva solo alla trasmissione sulla rete di comunicazione e che la sua durata non ecceda il tempo ragionevolmente necessario a tale scopo. 3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, secondo gli ordinamenti degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un'autorità amministrativa esiga che il prestatore impedisca o ponga fine ad una violazione”.
Le statuizioni ora illustrate depongono, allora, per la legittimità del regolamento oggetto del contendere, anche a seguito delle modifiche ad esso apportate; ne deriva che la rispondenza di tale disciplina all’interesse pubblico prevalente, ossia la tutela del diritto d’autore, non può essere infirmata dalla deliberazione n. 321/2023, impugnata con i motivi aggiunti depositati il 6.1.2024, con cui sono stati (soltanto) “definiti i requisiti tecnici e operativi della piattaforma nei termini di cui in premessa in esecuzione di quanto previsto dall’art. 6, comma 2, della legge 14 luglio 2023, n. 93 e successive modifiche e integrazioni”, nel contempo disponendosi che “gli operatori appartenenti alle categorie individuate dalla legge e che hanno partecipato ai lavori del tavolo tecnico [si tratta del tavolo tecnico convocato da AGCOM, ai sensi dell’art. 6, comma 2 della legge 93/2023, con i titolari del diritto d’autore e i prestatori di servizi fornitori di accesso alla rete internet, le loro associazioni rappresentative e l’Agenzia Nazionale di Cybersecurity (“ACN”)] sono tenuti a porre in essere tutte le attività necessarie per assicurare il pieno funzionamento della piattaforma entro il termine massimo del 31 gennaio 2024 attraverso il definitivo e completo accreditamento alla stessa”; ma, in ogni caso, si è precisato che “l’Autorità si riserva di avviare ogni più idonea iniziativa per l’accreditamento di tutti gli operatori di accesso e, più in generale, per il coinvolgimento di tutte le categorie di operatori individuate dalla legge e che sono a qualsiasi titolo coinvolti nella fruizione illecita di eventi sportivi protetti come specificato in premessa e che devono implementare le misure necessarie per impedire l’accesso degli utenti ai contenuti illeciti” (art. 1).
Previsioni che la ricorrente ha censurato paventando di essere esposta, a partire dal 31.1.2024, “a rilevantissimi rischi di sanzione in grado di determinare la chiusura stessa della propria attività” (cfr. pag. 8), il tutto, però, sulla base di sovrastime della dialettica procedimentale che ha avuto come sfondo i chiarimenti chiesti dalla Commissione europea in data 18.4.2023, riscontrati da AGCOM il successivo 28.4.2023 e ai quali non sono seguiti provvedimenti di carattere inibitorio da parte dell’Unione, ciò dando inevitabilmente giustificazione alla pubblicazione della deliberazione n. 189/2023 con i relativi allegati A e B.
Richiamato quanto sopra rilevato in punto di infondatezza dei profili di illegittimità dedotti in via derivata (primi tre motivi), non possono trovare accoglimento neanche i sei motivi proposti, esaminabili in modo congiunto.
La ricorrente ha genericamente lamentato (secondo motivo) che l’AGCOM, pur avendo adottato le deliberazioni n. 189, 190 e 321, non avrebbe tenuto conto della disciplina di cui alla legge 93/2023, senza dare conto alla Commissione europea “che la legge in questione ha escluso il contraddittorio e le delibere oggi impugnate non abbiano previsto alcun procedimento di riesame o revoca dei precedenti provvedimenti” (cfr. pag. 16): un rilievo che, tuttavia, è da respingere, oltre che per genericità, per la sua infondatezza nel merito.
L’art. 1 della predetta normativa ha, infatti, valorizzato il principio secondo cui “la Repubblica (…) prevede opportune forme di responsabilizzazione nei confronti degli intermediari di rete, al fine di rendere più efficaci le attività di contrasto della diffusione illecita e della contraffazione di contenuti tutelati dal diritto d'autore, e promuove campagne di comunicazione e sensibilizzazione del pubblico valore della proprietà intellettuale, anche al fine di contrastare la diffusione illecita e la contraffazione di contenuti tutelati dal diritto d’autore”; una direttrice che perfettamente collima con la regolamentazione – procedimentale e sostanziale – articolata nella delibera n. 189/2023, che ha riconfermato il potere di archiviazione e, a monte, il procedimento istruttorio innanzi alla Direzione.
La tutela del diritto d’autore, in linea con la previsione di cui all’art. 3 della Direttiva 2001/29 (“gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro opere, compresa la messa a disposizione del pubblico delle loro opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”), costituisce sul piano delle garanzie di effettività dell’ordinamento speciale il caposaldo dell’interesse pubblico che giustifica la previsione di procedure urgenti e l’elaborazione, in itinere, di misure tecniche che possano garantirne l’effettività.
Quest’ultimo obiettivo è esplicitato nell’art., 6, comma 2 della legge 93/2023, in cui si è previsto che l’AGCOM convochi “un tavolo tecnico con la partecipazione dei prestatori di servizi, dei fornitori di accesso alla rete internet, dei detentori di diritti, dei fornitori di contenuti, dei fornitori di servizi di media audiovisivi e delle associazioni maggiormente rappresentative preposte alla tutela del diritto d'autore e dei diritti connessi, al fine di definire i requisiti tecnici e operativi degli strumenti utili a consentire una tempestiva ed efficace disabilitazione dei nomi di dominio o degli indirizzi IP, secondo quanto previsto dall'articolo 2 della presente legge, attraverso la definizione di una piattaforma tecnologica unica con funzionamento automatizzato per tutti i destinatari dei provvedimenti di disabilitazione. La piattaforma è realizzata e resa operativa entro il termine massimo di tre mesi dalla convocazione del tavolo tecnico. Nelle more della piena operativita' della piattaforma sono comunque applicabili tutte le disposizioni della presente legge e resta fermo quanto previsto dalla citata deliberazione dell'Autorita' n. 680/13/CONS del 12 dicembre 2013”.
Si tratta, con tutta evidenza, di un’attività ancora in corso di svolgimento, il che determina l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 34, comma 2 c.p.a. (“in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”) del terzo motivo (con cui si è dedotto che “le specifiche tecniche con le quali teoricamente gli operatori dovrebbero interagire non sono pubbliche e non sono mai state pubblicate in alcun modo”, cfr. pag. 18).
Inammissibili, per difetto d’interesse, sono, poi, il quarto e quinto motivo,
riguardanti la messa in discussione della legittimità della donazione di un software, da parte dell’interveniente Lega di serie A, ad AGCOM, censurata sull’assunto che sarebbe “fatta per un evidente interesse economico, diretto ed indiretto, da parte del donante”; che non si tratterebbe “di una liberalità e la donazione sarebbe solo apparente”; e che sarebbe ravvisabile “la violazione anche delle disposizione sulla clausola di invarianza finanziaria, richiamati anche dalla legge 93/2023” (cfr. pag. 21): contestazioni che sondano profili di rilevanza privatistica e che, però, non individuano la lesione immediata e concreta che avrebbe subito la ricorrente.
Il sesto motivo, infine, profila la violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni previste dal regolamento: ma tale censura è da ritenere inammissibile, posto che la previsione contenuta all’art. 8, comma 7 (“in caso di inottemperanza agli ordini di cui ai commi 2, 3, 4, 4-bis e 5 l’Autorità applica le sanzioni di cui all’art. 1, comma 31, della legge 31 luglio 1997, n. 249, dandone comunicazione agli organi di polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 182-ter della Legge sul diritto d’autore”) è sostanzialmente riproduttiva dell’art. 5 della legge 93/2023 (“in caso di inottemperanza agli obblighi prescritti con i provvedimenti di cui all'articolo 2 della presente legge, l'Autorità applica, per ogni violazione riscontrata, la sanzione di cui all'articolo 1, comma 31, terzo periodo, della legge 31 luglio 1997, n. 249”), risolvendosi, la predetta censura, in una critica alla discrezionalità del legislatore senza neppure che sia stato sollevato un possibile profilo di illegittimità costituzionale.
In conclusione, il ricorso ed i motivi aggiunti depositati in data 16.10.2023 e 6.1.2024 vanno respinti.
La novità delle questioni esaminate giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.