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Motivazione: l'impugnazione era stato proposta senza l'allegazione della dichiarazione o della elezione di domicilio dell'imputato, nonché senza l'allegazione dello specifico mandato ad impugnare rilasciato dallo stesso dopo la pronuncia della sentenza di primo grado. |
- né con il principio costituzionale della inviolabilità del diritto di difesa, di cui all'
art. 24 Cost. ; - né con il principio della presunzione di non colpevolezza operante fino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, di cui all'
art. 27, secondo comma Cost. ; - né con il diritto ad impugnare ogni sentenza, riconosciuto dall'
art. 111, settimo comma, Cost. .
Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza sopra indicata la Corte di appello di Torino dichiarava la inammissibilità dell'atto di appello presentato dall'avv. T. P., difensore di fiducia di S. T., avverso la pronuncia di primo grado del 17 gennaio 2023 con la quale il Tribunale di Torino, all'esito di un giudizio svoltosi in assenza dell'imputato, aveva condannato il prevenuto in relazione al reato di cui all'art. 385 cod. pen.
Rilevava la Corte territoriale come l'atto di appello non superasse il vaglio preliminare di ammissibilità per violazione dell'art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen., in quanto l'atto di impugnazione era stato proposto senza l'allegazione della dichiarazione o della elezione di domicilio dell'imputato, nonché senza l'allegazione dello specifico mandato ad impugnare rilasciato dallo stesso imputato dopo la pronuncia della sentenza di primo grado.
2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il T., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto, con un unico articolato punto, la violazione di legge, in relazione alle disposizioni dei commi 1-ter e 1-quater del citato art. 581 del codice di rito, e la illegittimità costituzionale delle medesime disposizioni per contrasto con gli artt. 24, 27 e 111 Cost.
In particolare, il difensore del T. ha evidenziato che le nuove norme introdotte dall'art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150: a) si pongono in contrasto con i richiamati parametri costituzionali, in quanto limitano l'attività defensionale nei diversi gradi di giudizio e il diritto a far riesaminare la decisione da un giudice superiore; b) determinano una disparità di trattamento rispetto alla pubblica accusa, tenuto conto che anche per l'imputato eventuali menomazioni all'esercizio del potere ad impugnare devono essere sorrette da una "ragionevole giustificazione"; c) determinano una disparità di trattamento rispetto alla parte civile, il cui difensore conserva il diritto ad impugnare sulla base di una procura rilasciatagli prima della emissione della sentenza da impugnare; d) assolvono ad una funzione deflattiva delle impugnazioni, laddove all'imputato assente dovrebbe essere garantito l'esercizio in maniera "ponderata e consapevole" di una facoltà strettamente connessa al diritto di difesa; e) comportano, altresì, una disparità di trattamento tra l'imputato assente e quello presente nel precedente giudizio, la cui posizione sarebbe maggiormente garantita in maniera irragionevole; f) stabiliscono un onore di allegazione, irragionevolmente togliendo efficacia ad altra precedente dichiarazione o elezione di domicilio che l'interessato dovesse aver fatto nel corso del procedimento; g) ingiustificatamente operando, alla luce della disposizione transitoria dettata dall'art. 89, comma 3, d.lgs. n. 150 del 2022, nei soli casi in cui la sentenza sia stata pronunciata dopo la data di entrata in vigore di tale decreto legislativo e non anche, come sarebbe stato più ragionevole, nei casi in cui l'assenza dell'imputato sia stata dichiarata in epoca successiva a quella data.
Motivi della decisione
1. Va premesso che, in base all'indirizzo esegetico che questo Collegio reputa di dover privilegiare, il ricorso presentato nell'interesse di S. T. va considerato ammissibile perché con lo stesso è stata dedotta esclusivamente l'illegittimità costituzionale delle disposizioni applicate dal giudice di merito, dunque una censura di violazione di legge riferita alla sentenza impugnata con riferimento a questioni rilevati, nel senso che dall'accoglimento di esse ben potrebbe, in astratto, conseguire un effetto favorevole per il ricorrente, in termini di annullamento, anche parziale, del provvedimento impugnato (in questo senso, tra le molte, Sez. 6, n. 37796 del 08/04/2020, Romano, Rv. 280961).
2. Il motivo del ricorso è privo di pregio.
A seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 150 del 2022 nell'art. 581 cod. proc. pen. sono stati inseriti i commi 1-ter e 1-quater con cui si è stabilito, per un verso, che «Con l'atto d'impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena d'inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio»; e, per altro verso, che «Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l'atto d'impugnazione del difensore è depositato, a pena d'inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio».
Tali disposizioni, in stretta connessione con quella dettata dal nuovo comma 1- bis dell'art. 585 c.p.p. - che, al fine di consentire al difensore dell'imputato giudicato in assenza di acquisire la considerata documentazione da allegare all'atto di impugnazione, prevede che «I termini previsti dal comma 1 sono aumenti di quindici giorni» - sono applicabili per le sole impugnazioni presentate contro le sentenze pronunciate dopo l'entrata in vigore del citato d.lgs. n. 150 del 2022, dunque a partire dal 30 dicembre 2022, secondo quanto espressamente statuito dall'art. 89, comma 3, dello stesso d.lgs.
La volontà del legislatore della Riforma è stata dichiaratamente quella di ridurre il rischio di nullità della notificazione del decreto contenente la vacatio in iudicium e, nel contempo, di scongiurare la possibilità che, all'esito del giudizio di impugnazione, l'imputato assente possa dolersi di non essere stato messo concretamente a conoscenza della esistenza dello stesso giudizio, e così ottenere la restituzione nel termine per impugnare ovvero la rescissione del giudicato che eventualmente si sia formato: l'avere prescritto che, a pena di inammissibilità, l'atto di impugnazione presentato rispettivamente dalla parte privata (il riferimento dovrebbe riguardate la persona offesa del reato o il querelante, uniche parti private che, ai sensi degli artt. 428, comma 2, e 576, comma 2, cod. proc. pen., possono proporre personalmente l'impugnazione), dal relativo difensore oppure dal difensore dell'imputato giudicato in assenza, debba rispettivamente contenere gli indicati allegati, vale a garantire il diritto dell'interessato a conoscere l'effettivo e valido svolgimento del processo in un grado superiore, evitando che il pericolo della ripetizione di quel giudizio dovuto ad un difetto di notificazione dell'atto introduttivo oppure al fatto che il giudizio di impugnazione si sia svolto ad insaputa dell'imputato già dichiarato assente nel precedente grado.
Tali novità legislative sono state, inoltre, "riequilibrate" dalla modifica contestualmente apportata dalla riforma alla disciplina del computo del termine per impugnare (ai sensi del già citato comma 1-bis dell'art. 585 del codice di rito) e dall'introduzione di una ipotesi, rinnovata nei presupposti, di restituzione nel termine di cui all'art. 175, comma 2, cod. proc. pen. Variazioni, dunque, ispirate dal bisogno di assicurare una maggiore efficienza dei meccanismi impugnatori, mediante un più «razionale e utile impiego delle risorse giudiziarie», nonché dalla necessità di salvaguardare il principio di lealtà processuale e di leale collaborazione delle parti, considerato che i giudizi di impugnazione vengono celebrati a richiesta di un impugnante.
3. La norma di riferimento nel caso di specie è quella dettata dall'art. 571 cod. proc. pen. che, dopo aver riconosciuto all'imputato - o al suo procuratore speciale, anche nominato prima dell'emissione del provvedimento, ovvero, nel caso di imputato incapace di intendere e di volere, al suo tutore o al suo curatore speciale - la facoltà di proporre impugnazione personalmente (ad eccezione del ricorso per cassazione, per il quale l'art. 613, comma 1, cod. proc. pen. prescrive che tale impugnazione possa essere proposta solo da un avvocato iscritto all'albo speciale della Corte di cassazione) stabilisce che «Può inoltre proporre impugnazione il difensore dell'imputato al momento del deposito del provvedimento ovvero il difensore nominato a tal fine».
Tradizionalmente si è sostenuto che il difensore è titolare di un potere di impugnazione concorrente con quello dell'imputato, anche se la sua efficacia è sottoposta ad una sorta di "condizione risolutiva" dato che, in ipotesi di volontà contraria dell'imputato, prevale la determinazione di quest'ultimo: il quale, così come, in generale, «può togliere effetto, con espressa dichiarazione contraria, all'atto compiuto dal difensore prima che, in relazione allo stesso atto, sia intervenuto un provvedimento del giudice» (art. 99, comma 2, cod. proc. pen.), in materia di impugnazione «nei modi previsti per la rinuncia, può togliere effetto all'impugnazione proposta dal suo difensore» (art. 571, comma 4, cod. proc. pen.).
Il "parallelismo" esistente tra la facoltà di impugnazione spettante all'imputato e quella riconosciuta al suo difensore non consente, però, di affermare che si tratti due distinti poteri spettanti ciascuno a differenti "soggetti" del processo. Il potere di impugnazione resta, infatti, personale ed unico, nel senso che dello stesso è titolare il solo imputato in quanto parte necessaria del processo, mentre il legislatore può disciplinare altre possibili forme di manifestazione di quel potere, riconoscendone ad altri soggetti la facoltà di esercizio, come accade appunto per il difensore in ragione di una forma di rappresentanza legale: ricostruzione che appare coerente anche con il principio generale per cui è la legge processuale a stabilire quali sono i casi in cui «al difensore competono le facoltà e i diritti che la (stessa) legge riconosce all'imputato», giusta la disposizione contenuta nel comma 1 dell'art. 99 cod. proc. pen.
La validità di tali considerazioni non è inficiata dalla circostanza che la già richiamata disposizione dettata dall'art. 613, comma 1, cod. proc. pen. (come modificata dall'art. 1, comma 63, legge 23 giugno 2017, n. 103) prevede che il «atto di ricorso» debba essere sottoscritto, "a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione». Sul punto, invero, è stato chiarito che è necessario continuate a tenere distinta la legittimazione a proporre il ricorso dalle modalità di proposizione, attenendo la prima alla titolarità sostanziale del diritto all'impugnazione (che spetta all'imputato) e la seconda al suo concreto esercizio, per il quale si richiede la necessaria rappresentanza tecnica del difensore (in questo senso Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 272010-01).
Seguendo tale impostazione, si è ritenuto di poter desumere dall'articolato codicistico, in via interpretativa, il c.d. principio della unicità del diritto di impugnazione, per cui il valido esercizio del relativo diritto da parte di uno dei soggetti astrattamente legittimati "consuma" il potere degli altri titolari nel momento in cui sull'impugnazione si sia pronunciato il giudice competente: ciò vale, in particolare, per il potere personale dell'imputato in relazione a quello del difensore che lo abbia concretamente esercitato, così come per la facoltà di impugnazione rispettivamente riconosciuta a ciascuno dei due difensori di fiducia dell'imputato.
Tuttavia, l'anzidetto principio opera, nei rapporti tra l'imputato e il suo difensore, a condizione che il primo sia stato a conoscenza della esistenza del provvedimento da impugnare e che, per iniziativa del suo patrocinatore, si sia poi svolto il giudizio di impugnazione. Tale criterio è normato dall'art. 175, comma 2.1, cod. proc. pen., che "codificando" una regola di natura giurisprudenziale (per il quale - sia pur con riferimento ad un peculiare contesto normativo - si veda, tra le altre, Sez. U, n. 28912 del 28/02/2019, Innaro, Rv. 275716), prevede che «L'imputato giudicato in assenza è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato, se, nei casi previsti dall'articolo 420-bis, commi 2 e 3, fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa».
4. Alla luce delle valutazioni innanzi esposte, ritiene il Collegio che le prospettate questioni di legittimità costituzionale sono manifestamente infondate.
Le disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 150 del 2022 nell'art. 581 cod. proc. pen. con i commi 1-ter e 1-quater, non comportando una limitazione all'esercizio del potere di impugnazione spettante personalmente all'imputato, ma regolando le modalità di esercizio della concorrente ed accessoria facoltà spettante al suo difensore, non si pongono direttamente in contrasto né con il principio costituzionale della inviolabilità del diritto di difesa, di cui all'art. 24 Cost., né con il correlato principio della presunzione di non colpevolezza operante fino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, di cui all'art. 27, secondo comma Cost.; né, in quanto tali, toccano il diritto costituzionale ad impugnare (peraltro, solo con il ricorso per cassazione e per violazione di legge) ogni sentenza, riconosciuto dall'art. 111, settimo comma, Cost. Deve, perciò, escludersi, che tali nuove disposizioni producano un ingiustificato ovvero un "non ragionevolmente giustificato" squilibrio nei rapporti tra le parti necessarie del processo penale, cioè l'imputato e il rappresentante della pubblica accusa.
Al riguardo, il difensore dell'odierno ricorrente ha richiamato i principi enunciati dalla Corte costituzionale in una sentenza del 2020 che, tuttavia, concerne gli effetti di una precedente novella legislativa che, modificando le regole sulla appellabilità oggettiva fissate dall'art. 593 cod. proc. pen., ha inciso in maniera significativa sui rapporti tra quei due soggetti processuali, senza però toccare - se non indirettamente - la concorrente e parallela legittimazione ad impugnare del difensore dell'imputato.
In questo senso vanno lette le indicazioni della Consulta che, nel considerare le questioni di legittimità costituzionale del citato art. 593 cod. proc. pen., come sostituito dal d.lgs. n. 11 del 2018 - nella parte in cui prevede che il pubblico ministero può appellare contro le sentenze di condanna «solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato» - ha chiarito che il proprio sindacato aveva ad oggetto il problema del se e in quali termini quella novità legislativa avesse inciso sul principio costituzionale della parità delle parti nel processo penale. Nel rammentare, in generale, che «nel processo penale, il principio di parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l'identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell'imputato», e, più in particolare, che «il potere di impugnazione nel merito della sentenza di primo grado da parte del pubblico ministero presenti "margini di cedevolezza" più ampi, a fronte di esigenze contrapposte, rispetto a quelli che connotano il simmetrico potere dell'imputato», la Corte ha fatto riferimento sempre al «potere di impugnazione dell'imputato», senza mai considerare la connessa ma solo accessoria facoltà ad impugnare spettante al suo difensore (Corte cost., sent. n. 34 del 2020).
5. Quanto, poi, alla doglianza difensiva secondo la quale l'aver stabilito che il difensore dell'imputato assente debba munirsi, in ristretti limiti temporali, di un apposito mandato ad impugnare la sentenza di condanna, avrebbe creato una "asimmetria" rispetto al potere riconosciuto, senza alcuna limitazione, al pubblico ministero rispetto alla sentenza di assoluzione, sarebbe sufficiente osservare che il legislatore della riforma ha opportunamente previsto, con l'art. 585, comma 1- bis, cod. proc. pen., solo per l'impugnazione del difensore dell'imputato giudicato in assenza un ragionevole allungamento di quindici giorni di tutti i termini per proporre impugnazione.
Mentre il riferimento alle difficoltà che un difensore potrebbe incontrare per munirsi di un apposito mandato ad impugnare da parte di un cliente "non facilmente raggiungibile", potrebbe imporre un supplemento di riflessione esclusivamente con riferimento alla figura del patrocinatore designato di ufficio, il quale potrebbe in effetti non riuscire ad instaurare un effettivo e personale rapporto professionale con il proprio cliente. Il tema, però, non è pertinente nel caso di specie, nel quale l'impugnazione era stata presentata, senza allegazione dell'apposito mandato ad impugnare, dal difensore di fiducia dell'imputato giudicato in assenza: il che comporta che, in questo procedimento, la prospettata questione di legittimità costituzionale è irrilevante.
Del pari non rilevante è in questa sede la questione di legittimità costituzionale prospettata con riferimento alla nuova previsione normativa che pone a carico del difensore dell'imputato l'onore di allegazione all'impugnazione di una apposita dichiarazione o elezione di domicilio resa dal proprio assistito: non essendo stata data dimostrazione che, nella fattispecie, l'imputato avesse in una fase precedente del procedimento già dichiarato o eletto domicilio, manifestando una scelta che, in base alla nuova disciplina, dovrebbe aver perso di efficacia ai fini della notifica del decreto di citazione a giudizio.
6. Priva di pregio è, altresì, la censura posta dalla difesa con riferimento ad una asseritamente ingiustificata disparità di trattamento che subirebbe l'imputato assente rispetto alla parte civile (e alle altre parti private), in quanto solamente il difensore della seconda conserverebbe il diritto ad impugnare sulla base di una procura rilasciata anche prima della emissione della sentenza.
Al riguardo è sufficiente ricordare che la parte civile e le altre parti private diverse dall'imputato possono stare in giudizio non sulla base di un mero mandato difensivo, ma in quanto rappresentate dal loro difensore sulla base cui sia stata conferita una apposita procura speciale: difensore e procuratore speciale che, in luogo della parte rappresentata e nell'interesse della stessa, può compiere ogni atto del procedimento che non sia dalla legge espressamente riservato alla medesima parte, giusta la previsione dell'art. 122 cod. proc. pen.: disposizione che, nel regolare gli effetti della procura speciale rilasciata dalla parte civile al proprio difensore, attribuisce al procuratore, a norma dell'art. 76 comma 1, cod. proc. pen., una più ampia "legitimatio ad processum", ossia la capacità di essere soggetto del rapporto processuale (in questo senso Sez. U, n. 44712 del 27/10/2004, Mazzarella, Rv. 229179).
Il difensore della parte civile, dunque, esercita la facoltà di impugnazione non in quanto procuratore speciale della parte assistita, al pari di quanto avverrebbe laddove l'atto di impugnazione dovesse essere presentato da soggetto, sia esso il difensore o altra persona, che abbia ricevuto una apposita procura speciale dall'imputato. Non è corretto, dunque, porre sullo stesso piano la posizione del difensore e procuratore speciale della parte civile, che è titolare di un potere di impugnazione "proprio" esercitato quale procuratore speciale della parte, e quella del difensore dell'imputato, che non è titolare di un potere del tutto autonomo da quello del proprio assistito.
Di tanto vi è riscontro nel consolidato orientamento interpretativo formulato della giurisprudenza di legittimità che, nel sostenere il principio secondo il quale il difensore, di fiducia o d'ufficio, dell'imputato, non munito di procura speciale non può effettuare una valida rinuncia, totale o parziale, all'impugnazione, anche se da lui autonomamente proposta, ha puntualizzato che la rinuncia all'impugnazione non è solo espressione di una attività concernente l'aspetto strettamente tecnico del diritto di difesa, e come tale rientrante nella discrezionalità professionale del difensore, ma costituisce un atto abdicativo di un diritto ormai già automaticamente sorto in capo al soggetto (imputato, indagato o altra parte privata) che ne è l'unico titolare, anche se l'impugnazione venne proposta non da lui personalmente ma, sempre però per suo conto e nel suo esclusivo interesse, dal difensore (Sez. U, n. 12603 del 24/11/2015, dep. 2016, Celso, Rv. 266244).
Non conduce a differenti conclusioni il richiamo, operato dalla difesa, ad un passaggio della motivazione di una ulteriore recente pronuncia della Corte costituzionale del 2022, nella parte in cui si è asserito che il bilanciamento tra due principi sanciti dalla Carta fondamentale, quello alla inviolabilità del diritto di difesa e quello alla ragionevole durata del processo penale, non possa comportare un sacrificio dell'esigenza di assicurare all'imputato "la completezza del sistema delle garanzie" difensive. Tale indicazione esegetica è stata fornita dalla Consulta nel contesto dell'esame di una questione, differente e non assimilabile a quelle oggi in valutazione, che riguardava uno specifico caso in cui si discuteva dell'interesse dell'imputato ad impugnare una sentenza di proscioglimento per prescrizione al fine di conseguire la declaratoria di nullità della pronuncia emessa senza alcuna attivazione del contraddittorio tra le parti (Corte cost., sent. n. 111 del 2022).
7. In tale ottica, può dirsi ispirata ad un criterio tutt'altro che irragionevole, cioè che non trasmoda in mera arbitrarietà, la scelta discrezionale del legislatore della Riforma di limitare l'esercizio della facoltà di impugnazione da parte del difensore dell'imputato assente nel giudizio ai soli casi in cui lo stesso imputato, con una scelta "ponderata e consapevole", abbia legittimato quell'esercizio con il rilascio di un apposito mandato conferito al patrocinatore.
Tale conclusione non è contraddetta dall'affermazione, contenuta in una sentenza della Corte costituzionale, con la quale si è sostenuto che alla "persona giudicata in sua assenza" vanno riconosciuti gli stessi poteri di impugnazione il cui esercizio le sarebbe stato consentito "qualora fosse stata presente" (così in Corte cost., sent. n. 317 del 2009, con la quale era stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 175, comma 2, c.p.p., nella parte in cui - nella previgente formulazione - non consentiva la restituzione dell'imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione fosse stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato.).
Ed infatti, tenuto a mente che il giudizio in assenza (la cui disciplina ha oramai sostituito quella del giudizio contumaciale) è consentito solamente laddove il giudice abbia acquisito la certezza che l'imputato abbia «avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo» a suo carico, sicché «la sua assenza (...) è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole» (art. 420-bis, comma 2, cod. proc. pen.), non comporta la lesione del principio di uguaglianza né si traduce in una soluzione normativa irragionevole la decisione del legislatore della Riforma di negare l'ammissibilità dell'atto di impugnazione presentato dal difensore dell'imputato in assenza del più volte richiamato apposito mandato ad impugnare rilasciato dal proprio cliente. In siffatta ipotesi non si tratta di "cristallizzare" - così come sostenuto nel ricorso oggi in esame - gli effetti pregiudizievoli di una sorta di "interruzione del rapporto difensivo verificatosi all'insaputa dello stesso imputato", proprio perché il precedente giudizio in tanto si è potuto svolgere in assenza in quanto l'imputato ne aveva accettato consapevolmente e volontariamente gli effetti: il che autorizza a ritenere che questi abbia l'onere di attivarsi per proporre personalmente o a mezzo del proprio difensore il gravame avverso al provvedimento per lui sfavorevole.
D'altro canto, le modifiche che il d.lgs. n. 150 del 2022 ha introdotto alla disciplina dell'assenza dell'imputato, hanno "codificato" i principi già enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in relazione all'esegesi della disposizione dettata dall'art. 420-bis cod. proc. pen. nella sua previgente formulazione. Il che permette di giudicare manifestamente infondata anche l'ultima questione di legittimità costituzionale prospettata dal difensore dell'odierno ricorrente, con riferimento alla norma transitoria prevista dall'art. 89, comma 3, d.lgs. n. 150 del 2022. Ed invero, la scelta del legislatore della Riforma di prevedere che le nuove disposizioni contenute nei commi 1-ter e 1-quater dell'art. 581 cod. proc. pen. siano applicabili nei soli procedimenti in cui la sentenza sia stata pronunciata dopo la data di entrata in vigore di quel decreto legislativo, risponde alla esigenza di «favorire una graduale applicazione nel tempo della nuova disciplina processuale» ed appare improntata a criteri di ragionevolezza nel momento di «calibrare il passaggio tra due modelli processuali [...] difformi» (in questo senso Corte cost., sent. n. 64 del 2003; Corte cost., sent. n. 381 del 2001).
8. Al rigetto segue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.