L'invito a riprendere le proprie mansioni può essere infatti avanzato dal datore di lavoro in qualsiasi momento, anche prima del limite massimo dei 30 giorni previsto dall'art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Tuttavia, il rapporto di lavoro cessa comunque definitivamente al trentesimo giorno dalla notifica del licenziamento.
Il Giudice di seconde cure respingeva l'appello proposto contro la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia con la quale era stato revocato il decreto recante l'ingiunzione all'ex datore di lavoro di pagare una somma a titolo risarcitorio per il licenziamento intimato e poi dichiarato illegittimo con sentenza dello stesso Tribunale.
Contro tale pronuncia, propone ricorso in Cassazione il lavoratore deducendo la violazione o falsa applicazione dell'art. 18
Con l'ordinanza n. 3264 del 5 febbraio 2024, la Corte di legittimità rigetta il ricorso proposto dal lavoratore, osservando come la questione controversa riguardi proprio gli effetti giuridici della missiva del datore di lavoro contenente l'invito a riprendere immediatamente il servizio, con avviso che in caso di mancata presentazione senza giustificato motivo, il rapporto di lavoro si intendeva automaticamente risolto.
Esaminando il contenuto dell'art. 18 St. lav. applicabile ratione temporis, la Cassazione non condivide l'assunto del ricorrente secondo cui la norma andrebbe interpretata nel senso che, siccome la missiva datoriale conteneva un termine inferiore a quello ivi riportato, allora esso sarebbe nullo e di conseguenza spetterebbe il pagamento delle retribuzioni a titolo di risarcimento. Il datore di lavoro, infatti, può indicare anche una data anteriore allo scadere dei 30 giorni ai fini della ripresa del servizio, ma in tal caso il rapporto di lavoro sarà risolto di diritto solo allo scadere del 30esimo giorno dal ricevimento dell'invito, rimanendo dovuta la retribuzione fino a quel giorno.
Ciò posto, nel caso di specie non risulta ai fatti alcuna risposta da parte del lavoratore all'invito del datore, né per esercitare l'opzione per l'indennità sostitutiva della reintegra, né per giustificare un'eventuale ricezione tardiva o un rientro posticipato al lavoro, per cui correttamente il Giudice di seconde cure non ha ritenuto nullo il termine inferiore ai 30 giorni per riprendere il servizio fissato dal datore di lavoro, coerentemente con l'orientamento giurisprudenziale secondo cui
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«il termine di trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro a riprendere servizio è stabilito nell'interesse del lavoratore illegittimamente licenziato, al quale la legge concede un congruo spatium deliberandi per consentirgli di adottare con la necessaria ponderazione le proprie determinazioni, con la conseguenza che l'obbligo del datore di lavoro di corrispondere, pur in mancanza della prestazione lavorativa, la retribuzione per il periodo compreso fra la data della sentenza che ordina la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e quella dell'effettiva ottemperanza all'ordine giudiziario viene meno non già il giorno del ricevimento dell'invito da parte del lavoratore, bensì allo scadere del trentesimo giorno successivo, solo in quest'ultima data verificandosi l'effetto (risoluzione del rapporto di lavoro) previsto dalla legge per il caso che il lavoratore non aderisca all'invito». |
Svolgimento del processo
1. la Corte d'Appello di Bologna ha respinto l'appello proposto da A.A. avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che aveva revocato il decreto n. 521/15 del medesimo Tribunale recante ingiunzione all'ex-datrice di lavoro Srl B.B. E. di pagare la somma di Euro 116.305,75 a titolo di risarcimento del danno da licenziamento intimato in data 1.8.2007 e dichiarato illegittimo con precedente sentenza n. 154 del 20.5.2014;
2. per quanto qui rileva, la Corte distrettuale, richiamati i fatti, i conteggi e i pagamenti in corso di causa a base della sentenza di primo grado, ha confermato la statuizione di condanna della società al pagamento della residua somma lorda di Euro 9.052,79, oltre accessori;
3. per la cassazione della sentenza d'appello propone ricorso il lavoratore con un unico motivo, cui resiste la società con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza
Motivi della decisione
1. parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell'art. 18 legge n. 300/1970, per avere la Corte territoriale ritenuto risolto il rapporto di lavoro per la mancata ripresa del servizio del lavoratore entro i 30 giorni dall'invito datoriale, affermando la nullità di detto invito contenente un termine inferiore a quello legale (30 giorni) per la ripresa del servizio;
2. il motivo non è fondato;
3. la questione rimasta controversa in questa sede riguarda gli effetti giuridici della missiva del datore di lavoro, datata 2.10.2014, pervenuta all'indirizzo del lavoratore in data 8.10.2014, contenente invito al lavoratore a riprendere immediatamente servizio, presentandosi nei locali della società in C. alle ore 8.30 del giorno 10.10.2014 in ottemperanza della citata sentenza n.154/14 del Tribunale di Reggio Emilia, con avviso che in caso di mancata presentazione nella data indicata senza giustificato motivo "il rapporto di lavoro si intenderà automaticamente risolto";
4. la norma di cui all'art. 18, comma 5, legge n. 300/1970 nel testo applicabile ratione temporis al caso in esame, stabiliva: "Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un 'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti";
5. ad avviso del ricorrente, la norma andrebbe interpretata nel senso che, poiché nella missiva datoriale era indicato un termine inferiore a 30 giorni, l'invito sarebbe integralmente nullo e spetterebbe il pagamento delle retribuzioni a titolo di risarcimento del danno da licenziamento dichiarato illegittimo sino alla richiesta in monitorio (20.11.2015);
6. tale interpretazione non è condivisibile, come già rilevato in entrambi i gradi di merito, che hanno limitato il dovere datoriale di risarcimento del danno da licenziamento dichiarato illegittimo mediante il pagamento della retribuzione globale di fatto sino al 7.11.2014, ossia 30 giorni dopo il pervenimento all'indirizzo del destinatario dell'invito a riprendere servizio;
7. nella sentenza gravata si è osservato che la norma in questione, prevedendo che, nell'ipotesi in cui non sia stato esercitato tempestivamente il diritto di opzione ovvero il lavoratore non abbia ripreso servizio entro 30 giorni dal ricevimento del formale invito del datore di lavoro, il rapporto si intende risolto di diritto, non impone al datore di lavoro di fissare al lavoratore il termine di 30 giorni dal ricevimento dell'invito per la ripresa del servizio, ma si limita a stabilire che la produzione dell'effetto della risoluzione di diritto del rapporto è fissata al trentesimo giorno successivo al ricevimento dell'invito ove il lavoratore, come nel caso di specie, non abbia esercitato il diritto di opzione; ciò significa che il datore di lavoro può indicare per la ripresa del servizio anche una data anteriore allo scadere dei 30 giorni, ma, in tal caso, il rapporto di lavoro sarà risolto di diritto solo allo scadere del trentesimo giorno dal ricevimento di detto invito, rimanendo sino a tale termine dovuta la retribuzione;
8. nella fattispecie concreta non risulta alcuna risposta del lavoratore all'invito a riprendere servizio, né per esercitare l'opzione per l'indennità sostitutiva della reintegra, né per giustificare una eventuale ricezione tardiva o un rientro posticipato rispetto alla data fissata da parte datoriale, anche per eventualmente utilizzare appieno lo spatium deliberandi consentito dalla legge;
9. in tale contesto, l'interpretazione della Corte di merito è coerente con l'assenza di qualsiasi previsione espressa di nullità del termine inferiore a 30 giorni per riprendere servizio eventualmente fissato dal datore di lavoro e sul collegamento di tale termine esclusivamente all'effetto di risoluzione del rapporto di lavoro (in assenza di esercizio dell'opzione sostitutiva della reintegra o di ripresa del servizio); la ragione di tale interpretazione sistematica va rinvenuta nell'esigenza di evitare situazioni di prolungata incertezza o di cd. stallo, e anche (quanto all'interpretazione del contenuto della missiva datoriale) nel principio di conservazione del contratto (e quindi degli atti unilaterali recettizi) di cui all'art. 1367 c.c.;
10. la suddetta interpretazione è altresì corroborata dal risalente, ma non superato, precedente di legittimità citato nella sentenza gravata, secondo cui il termine di trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro a riprendere servizio è stabilito nell'interesse del lavoratore illegittimamente licenziato, al quale la legge concede un congruo spatium deliberandi per consentirgli di adottare con la necessaria ponderazione le proprie determinazioni, con la conseguenza che l'obbligo del datore di lavoro di corrispondere, pur in mancanza della prestazione lavorativa, la retribuzione per il periodo compreso fra la data della sentenza che ordina la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e quella dell'effettiva ottemperanza all'ordine giudiziario viene meno non già il giorno del ricevimento dell'invito da parte del lavoratore, bensì allo scadere del trentesimo giorno successivo, solo in quest'ultima data verificandosi l'effetto (risoluzione del rapporto di lavoro) previsto dalla legge per il caso che il lavoratore non aderisca all'invito (Cass. n. 6494/1991),
tenuto conto che la comunicazione del datore di lavoro al lavoratore deve integrare un invito concreto e specifico a rientrare in azienda nel luogo e nelle mansioni originarie, (senza però richiedere forme solenni (cfr. Cass. n. 26519/2013);
11. il ricorso deve, pertanto, essere respinto, con regolazione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, secondo il regime della soccombenza;
12. parte ricorrente è, inoltre, tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.500 per compensi, Euro 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.