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Svolgimento del processo
La Corte d'appello di Roma, con la sentenza in atti, ha rigettato l'appello proposto da (omissis) Group S.p.A. avverso la sentenza con la quale il tribunale di Cassino aveva dichiarato l'illegittimità del provvedimento datoriale del 17/4/2014 di trasferimento del lavoratore (omissis) presso lo stabilimento di Duino – emesso dopo l’ordine di reintegra - ordinando alla società datrice di lavoro di riadibire il ricorrente presso lo stabilimento di provenienza di Sora e condannando la medesima a rifondere al ricorrente le spese di lite.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione (omissis) Group S.p.A. con due motivi ai quali ha resistito Schettino Carmine con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione falsa applicazione dell'articolo 2103 c.c., dell'articolo 3 legge 604/1966, degli articoli 13 e 18 legge numero 300/70, dell’articolo 41 Costituzione per avere la Corte d'appello di Roma erroneamente ritenuto che il principio secondo il quale l'articolo 2103 c.c. - nel richiedere la sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative produttive perché il datore di lavoro possa trasferire da una unità produttiva ad un'altra, non richieda l'ulteriore prova della inevitabilità del trasferimento sotto il profilo della sicura inutilizzabilità del dipendente presso la sede originaria - non sarebbe applicabile "al caso in cui il trasferimento segue immediatamente un licenziamento dichiarato illegittimo con conseguente ordine di riassunzione" (pagina sette sentenza impugnata) perché in quest'ultimo caso, l'ordine di reintegrazione del dipendente comporterebbe in ogni caso l'immissione del lavoratore nel posto di lavoro da ultimo occupato, salva la prova della sicura inutilizzabilità del dipendente presso la sede originaria dalla quale discenderebbe la legittimità del trasferimento per inevitabilità dello stesso.
In altri termini, secondo la ricorrente, la Corte ha sbagliato a non riconoscere che a seguito di un licenziamento illegittimo si possa trasferire il lavoratore prima ed a prescindere da qualsiasi reintegra ed inoltre che le ragioni da dimostrare sono solo quelle che sorreggono una qualsiasi ipotesi ordinaria di trasferimento, mentre non rileva l’esistenza di una ragione che attiene all’impossibilità di reintegrare il lavoratore nella sede di partenza.
Il collegio non avrebbe cioè correttamente applicato il principio secondo il quale ai sensi dell'articolo 2103 c.c. affinché il lavoratore possa essere trasferito da unità produttiva ad un'altra è necessario e sufficiente che sussistano comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive con riferimento esclusivo alla sede di destinazione.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2- La Corte di appello ha affermato che il lavoratore licenziato ha diritto ad essere reintegrato nel posto di provenienza, salvo un successivo comprovato trasferimento che tuttavia richiede la prova dell’inutilizzabilità nella sede oggetto del provvedimento di reintegra.
1.3. Tale statuizione è del tutto conforme al diritto ed alla consolidata giurisprudenza di questa Corte che è stata correttamente richiamata dalla sentenza impugnata.
1.4. Ed invero l'art. 2103 c.c., come modificato con l'art. 13 della legge n. 300 del 1970, nel richiedere la sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive perché il datore di lavoro possa trasferire il lavoratore da una unità produttiva ad un'altra, non richiede invece l'ulteriore prova dell'inevitabilità del trasferimento sotto il profilo della sicura inutilizzabilità del dipendente presso la sede originaria (Cass., 19 giugno 1987 n. 5432).
1.5. Diverso, però, è il caso in cui il trasferimento segua immediatamente un licenziamento dichiarato illegittimo, con conseguente ordine di riassunzione.
1.6. Ciò posto va anzitutto rilevato che la ratio decidendi della sentenza della Corte di appello non risiede nel fatto che il trasferimento sia stato disposto prima o dopo o in via coeva alla reintegra, quanto piuttosto nel limite al potere di trasferimento costituito dalla prova della inutilizzabilità del lavoratore presso la sede di assegnazione oggetto della sentenza di reintegra.
Occorre pertanto ribadire che il diritto al ripristino del rapporto salvo trasferimento, comporta che debba essere comprovata la inutilizzabilità del lavoratore nella sede di destinazione, resistendo la reintegra al potere di trasferimento ed introducendo un ulteriore limite a quello previsto dal 2103 c.c.
1.7. Come osservato da questa Corte (n. 12123/2002) il limite al potere di trasferimento del datore di lavoro, introdotto con l'art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, è un limite di tipo funzionale o finalistico, e perciò interno; il potere di trasferimento può continuare, dopo la legge n. 300/70, ad essere esercitato come prima, ma il suo esercizio deve essere collegato ad una reale esigenza aziendale. Esso incontra quindi, come è stato osservato in dottrina, il vincolo negativo dell'eccesso di potere, nella classica figura sintomatica dello sviamento (si deve evitare, in altri termini, che la ragione tecnica od organizzativa sia addotta solo formalmente dall'imprenditore, ma allo scopo di coprire o dissimulare un motivo illecito (persecutorio, di ritorsione, ecc.).
1.8. Unica eccezione a tale regola è costituita dalla impossibilità di riammettere il lavoratore reintegrato nella precedente sede per la dimostrata insussistenza di posti comportanti l'espletamento delle ultime mansioni nonché di mansioni equivalenti a queste ultime.
1.9. L'onere di dare tale prova incombe, in considerazione di quanto sopra osservato, al datore di lavoro, al contrario di quanto avviene allorquando il trasferimento, di cui si assume il carattere discriminatorio o punitivo, avvenga nel corso di un rapporto non interrotto da licenziamento (o dopo che il rapporto, interrotto per il licenziamento illegittimo, si sia però ricostituito nella stessa sede; e salva la possibilità, in questi ultimi casi, per il lavoratore trasferito, di ricorrere alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c., possibilità riconosciuta sia in giurisprudenza che in dottrina).
1.10. D’altra parte la Corte di appello ha pure affermato che ciò costituisse pure in fatto la premessa maggiore (il motivo principale) del disposto trasferimento ed essa andava quindi comprovata in giudizio, secondo la scala delle priorità indicate (alla luce della Cass. n. 6117/2005).
Occorreva pertanto verificare innanzitutto la sussistenza della dedotta ragione principale del lavoratore costituita dalla ritenuta impossibilità di ricollocare il lavoratore presso la sede in cui lavorava prima del trasferimento.
1.11. Nel caso di specie invece la Corte di merito ha accertato – sulla scia della giurisprudenza della Cassazione che è stata richiamata in sentenza – che non era stata comprovata l’inutilizzabilità del dipendente nella sede di destinazione; e non era stata quindi giustificata la sussistenza della dedotta ragione principale del trasferimento costituito dalla impossibilità di ricollocare il lavoratore presso la sede in cui lavorava prima del licenziamento.
1.12. Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte, pur ammettendo la possibilità coeva o successiva di trasferimento, non ha mai affermato che si potesse prescindere dalla prova dell’inesistenza del posto nella sede di cui all’ordine di reintegra e tanto meno della prova della dedotta ragione principale (in ipotesi di trasferimento successivo a licenziamento).
1.13. Va inoltre considerato che in tutti i casi più recenti che sono stati affrontati da questa Corte di cassazione si trattava di peculiari controversie intervenute nei confronti di Poste Italiane (che aveva un contenzioso che coinvolgeva migliaia di posti di lavoro per nullità del termine apposto al contratto di lavoro) ed in cui il trasferimento era stato sempre disposto sulla base del presupposto della carenza del posto nel luogo in cui il lavoratore doveva essere reimmesso in servizio oppure sulla base di una disciplina di carattere collettivo che aveva inteso gestire un contenzioso.
1.14. Nel caso di specie doveva dirsi pure incontroverso tra le parti che la società nelle more del giudizio di impugnativa del licenziamento avesse disposto l'assegnazione al reparto laboratorio analisi della sede di Sora di una nuova unità di personale.
Tale circostanza non poteva tuttavia essere invocata dalla parte datoriale a giustificazione dell'impossibilità di ricollocare il lavoratore nella sede di spettanza e del conseguente trasferimento, in quanto l'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro esige che il lavoratore sia in ogni caso ricollocato nel posto di lavoro da ultimo occupato, salva la facoltà di disporre un successivo provvedimento il trasferimento ad altra sede.
1.15. In tali termini si è correttamente pronunciata la Corte di appello richiamando la sentenza n. 12123/2002 in base alla quale “qualora nelle more vi sia stata sostituzione con altro lavoratore o sia stato soppresso il posto prima occupato, il lavoratore di cui è stata accertata l'illegittimità del licenziamento deve essere nel primo caso ricollocato nel posto e nelle mansioni precedentemente occupate, mentre, nel secondo può essere adibito a mansioni equivalenti purché sempre nella stessa sede di lavoro; tale regola può essere derogata solo per la dimostrata impossibilità, dovuta a insussistenza di posti comportanti l'espletamento delle ultime mansioni o di mansioni equivalenti, di riammettere il lavoratore reintegrato nella precedente sede, incombendo sul datore di lavoro l'onere di provare tali circostanze”.
1.16. In conclusione, va ribadita la necessità che alla declaratoria di illegittimità di un licenziamento, con il conseguente ordine di reintegrazione, il datore di lavoro ottemperi innanzitutto con il riammettere il lavoratore nella stessa sede di lavoro nella quale questi operava all'atto dell'illegittimo licenziamento; salvo disporre successivamente il suo trasferimento nel concorso delle condizioni richieste dalla legge.
2.1.- Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dagli artt. 1324 c.c. e 1363 c.c., dell'articolo 2103 c.c., degli articoli 13 e 8 legge numero 300 del 70, art. 41 Costituzione per aver ritenuto il collegio superfluo valutare le ragioni del trasferimento addotte da (omissis) con riferimento alla sede di destinazione; nonché, articolo 360 numero 5 c.p.c., omesso esame circa un fatto di decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti - le ragioni e l'asserita sussistenza di una scala di priorità delle stesse - Violazione falsa applicazione dell'articolo 2103 c.c., degli articoli 13 e18 Legge numero 300/70, degli articoli 115 e 116 c.p.c., dell'articolo 41 della Costituzione per inconferenza del richiamo all'obbligo di repechagè nel contesto di una fattispecie di trasferimento e non di licenziamento per gmo; omessa motivazione in merito alle ragioni del richiamo ad un preteso obbligo di legge; violazione dell’art. 2103 c.c. anche in considerazione dell'erroneità nell'individuazione del contesto temporale significativo ai fini di una corretta valutazione della legittimità del trasferimento.
Il secondo motivo è inammissibile sia perché contrassegnato da una commistione e mescolanza di motivi di impugnazione eterogenei, di fatto e diritto, processuali e sostanziali indistintamente riferiti alle varie ipotesi di vizio contemplate dall'art.360 c.p.c.; sia perché veicola censure irrilevanti alla luce della assorbente ratio decidendi già esaminata nel motivo precedente.
3.- Sulla scorta di quanto esposto il ricorso deve essere quindi respinto. Seguono le spese processuali a carico del soccombente secondo l’art. 91 c.p.c. da distrarsi in favore dell’Avv. Antonio Rosario Borganzone. Sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 5.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge, da distrarsi in favore dell’Avv. Antonio Rosario Borganzone. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.