
L'apertura arriva dal Tribunale per i minorenni di Trento che ripercorrendo la normativa nazionale e la giurisprudenza di legittimità e della Corte EDU ha accolto la richiesta di adozione proveniente dal genitore non biologico nei confronti del minore nato attraverso ricorso alla maternità surrogata.
La vicenda
Protagonisti della vicenda all'esame del Tribunale per i Minorenni di Trento sono due uomini legati sentimentalmente che dopo una convivenza decidevano di sposarsi all'estero e di trascrivere poi il matrimonio in Italia sotto forma di unione civile. Poco prima della trascrizione, i due avevano deciso di intraprendere un progetto genitoriale e dunque ricorrevano alla maternità surrogata con una donna statunitense, che non andò a buon fine.
Dopo mesi di lutto, i due iniziavano un nuovo percorso che terminò con la nascita del minore del quale uno dei due (il genitore non biologico) chiede l'adozione ai sensi dell'art. 44, lett. d),
A fondamento della loro richiesta, i coniugi evidenziano la necessità di regolarizzare la posizione giuridica del piccolo in modo tale che entrambi potessero essere considerati genitori per lo Stato italiano, anche per via delle condizioni di salute precarie del padre biologico.
In tal senso, i servizi sociali competenti riferiscono che il richiedente è una persona assolutamente idonea e adeguata a prendersi cura del minore, sottolineando il solido legame affettivo che si era venuto a creare tra i due. Inoltre, sempre secondo i servizi sociali, il minore appare sereno, attivo e ben curato ed esterna la sua situazione familiare senza alcun problema apertamente con i compagni e con gli amici, essendosi pienamente inserito nel contesto sociale di riferimento.
La normativa di riferimento
Come evidenzia il Tribunale per i minorenni di Trento con la sentenza in commento, secondo l'ordinamento italiano il legame genitoriale può avere origine da un procedimento adottivo che consente al richiedente di sostituire il legame biologico con il minore con l'attribuzione giuridica della responsabilità genitoriale.
Referente principale in tal senso è senza dubbio la
Obiettivo della disposizione infatti non è quello di trovare un genitore che si prenda cura di un minore abbandonato, ma quello di tutelare e dare una sostanza giuridica a tutte quelle situazione in cui il bambino ha già chi si occupa di lui, cioè un “genitore di fatto”, tuttavia egli è privo di riconoscimento giuridico.
Proprio tale ipotesi è quella che viene in rilievo nel caso in esame.
Adozione in casi particolari e coppie same sex
Con la Legge Cirinnà le coppie formate da persone dello stesso sesso assurgono al rango di “famiglia”, offrendo all'adozione in casi particolari un substrato relazionale solido e giuridicamente tutelato. In particolare, si osserva il comma 20 dell'art. 1, dal quale si evince una clausola di salvaguardia che prevede espressamente:
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«Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti». |
In tal modo il Legislatore ha inteso scongiurare ogni tipo di equivoco, avendo preliminarmente stabilito l'equiparazione del termine “coniuge” all'unito civilmente per poi affermare che ciò vale per le leggi in vigore tranne che per la
Tuttavia, è fatto salvo anche quanto consentito dall'interpretazione giurisprudenziale che si è sviluppata nel corso degli ultimi anni e che rende evidente come la
Del resto, anche la Corte EDU si è recentemente espressa interpretando il concetto di vita familiare ai sensi dell'art. 8 CEDU ricomprendendovi anche il rapporto tra persone dello stesso sesso, il quale non può dunque escludersi dal diritto di famiglia.
In conclusione
Il Tribunale per i Minorenni di Trento, con la sentenza del 21 luglio 2023, apre all'adozione in casi particolare richiesta dall'istante in ossequio al principio di diritto per cui
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«in virtù della clausola di salvaguardia di cui all' |
Svolgimento del processo
(omissis), nato a (omissis), in data (omissis), residente a (omissis), in via (omissis), ha richiesto, ai sensi dell’art. 44 lett. d, l. adoz., di poter adottare il minore (omissis), nato a (omissis), il (omissis), a seguito di procreazione medicalmente assistita (gestazione per altri). L’istante e il Sig. (omissis) si conoscono nell’agosto del (omissis) e, poco tempo dopo, intraprendono la loro relazione sentimentale che perdura tutt’oggi in maniera stabile e ininterrotta con una vera e propria convivenza more uxorio sin dal novembre (omissis). Nel gennaio del (omissis) la coppia celebrava il loro matrimonio nel Municipio di (omissis) della città di (omissis) secondo le leggi vigenti in quello Stato. Nel 2018 trascrivevano il loro matrimonio sotto forma di unione civile. Già dal 2015 cominciavano a pensare ad un progetto genitoriale e, nel (omissis), intraprendevano un percorso di maternità surrogata con una donna statunitense interrottasi all’ottavo mese di gravidanza. Dopo mesi di lutto, nell’aprile (omissis), iniziavano un nuovo percorso culminato con la nascita di (omissis) il (omissis).
L’odierno istante e il Sig. (omissis) ritengono necessario regolarizzare la posizione giuridica del bambino, così che entrambi possano essere considerati una figura genitoriale a tutti gli effetti, anche in considerazione delle precarie condizioni di salute del padre biologico del minore che hanno spinto il ricorrente a rinunciare al giudizio di appello avverso il provvedimento di diniego in prima istanza della trascrizione del certificato di nascita all’estero del piccolo (omissis).
Come è emerso dalla relazione sociale in atti e dal colloquio con i due signori, sin dalla nascita del bambino, l’odierno istante e l’unito civilmente si sono entrambi prodigati per la cura e la crescita del minore sotto ogni aspetto, instaurando con il medesimo un solido legame affettivo e dimostrando la loro capacità ad adempiere alle responsabilità derivanti dal proprio ruolo genitoriale. L’istante si prende cura, fin dalla nascita, del piccolo (omissis), concordando con il compagno ciascuna scelta relativamente all’educazione ed alla crescita dello stesso. Gli operatori sociali ritengono la ricorrente una persona assolutamente idonea ed adeguata a prendersi cura del minore, con cui ha già creato un rapporto affettivo importante (cfr. relazione sociale in atti), sottolineando altresì come tra i papà vi sia un ottimo dialogo, condividendo altresì la sana intenzione di, insieme, aiutare (omissis) a dare significato positivo alle peculiarità della sua storia personale e famigliare.
I Servizi Sociali descrivono infine (omissis) come un bambino sereno, attivo e ben curato. Il minore, invero, si rivolge tranquillamente ad entrambe le figure genitoriali (cfr. relazione sociale in atti).
Inoltre, in base a quanto relazionato dal servizio sociale, il minore esterna senza mostrare problemi o inibizioni la propria situazione famigliare, parlandone apertamente con compagni ed amici ed inserendosi quindi serenamente nel contesto sociale di riferimento.
Sulla scorta dei dati sin qui brevemente illustrati, può procedersi all’esame del merito della domanda.
Motivi della decisione
Nell’Ordinamento italiano, in linea con gli altri sistemi giuridici europei, il legame genitoriale può originare da un procedimento adottivo: il genitore diventa tale in assenza di legame biologico con il minore e a seguito di procedura giurisdizionale che sostituisce al vincolo biologico una attribuzione giuridica della responsabilità genitoriale. L’origine del progetto genitoriale non incide sullo stato giuridico dei figli che è sempre e comunque lo stesso (art. 315 c.c. come modificato dalla legge 10 dicembre 2012 n. 219). Il referente normativo principale, in materia di adozione, è la legge 4 maggio 1983 n. 184 (“diritto del minore ad una famiglia”). La normativa in esame enuclea, in modo tipico e tassativo, i casi ex lege che consentono l’instaurazione giuridica (piuttosto che biologica) del legame genitoriale. In linea di principio, l’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto. I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare (art. 6, legge 184 del 1983). Condizione necessaria perché l’adozione possa essere pronunciata, è che l’età degli adottanti superi di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l'età dell'adottando. In ogni caso, l’adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità (art. 7 comma 1): sono dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio. La norma testé citata (art. 7) ha riguardo ai casi “ordinari” di adozione ed esclude, di norma, l’adozione da parte di coppie formate dallo stesso sesso, atteso che il procedimento adottivo è riservato ai coniugi e non è esteso agli uniti (come noto, l’unione civile è la formazione familiare composta da due persone dello stesso sesso: v. art. 1, legge 20 maggio 2016 n. 76). L’adozione non è consentita nemmeno alle persone che siano solo conviventi di fatto (al riguardo, v. art. 1, comma 36, legge 76/2016 cit.). A fronte di casi ordinari, la normativa disciplina anche «casi particolari» di adozione, nell’ambito dell’art. 44 l. 184 del 1983. L’adozione nei casi ordinari è detta “piena o legittimante” poiché esplica effetti totalmente parificanti rispetto alla genitorialità biologica. Gli effetti dell’adozione “non piena” sono invece regolati dagli artt. 45 e ss l. 184 del 1983.
L’adozione in casi particolari prevede che i minori possano essere adottati (“anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7”): a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell'ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge; c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre; d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. Adozione piena e adozione in casi particolari rappresentano due diversi istituti giuridici, anche se, in concreto, gli Autori dibattono circa la persistente diversità effettiva, alla luce delle modifiche apportate al “sistema” dal dlgs. 154 del 2013. L’adozione cd. legittimante, come visto, abilita l’adozione (nazionale o internazionale) di bambini in stato di abbandono, prevedendo una corsia preferenziale in favore delle persone con cui il minore abbia instaurato legami affettivi significativi e un rapporto stabile e duraturo (si tratta, in genere, della cd. famiglia affidataria: v. art. 5-bis, legge 173 del 2015). Per effetto dell’adozione ordinaria, la relazione tra minore e adottante è del tutto equiparata a quella sussistente tra genitore biologico e la propria prole. L’ “adozione in casi particolari” è ammessa, invece, in diversi casi specifici che concernono, per lo più, ipotesi in cui vi è già una relazione genitoriale di fatto tra un bimbo ed un adulto. La stessa è consentita anche ai singoli ed alle coppie non sposate. Si tratta dell’ipotesi di bambini già curati da parenti o conoscenti (lettera A) e dell’ipotesi di bambini che hanno instaurato una relazione filiale col nuovo coniuge del proprio genitore (lettera B). In questi casi non si tratta di trovare un genitore per un bambino abbandonato ma di tutelare e coprire giuridicamente situazioni in cui un bambino ha già chi si occupa di lui, dove vi è già un “genitore di fatto” che è tuttavia privo di riconoscimento legale formale (sul “valore” dei legami genitoriali di fatto, cfr. legge 173 del 2015 e Corte Cost. n. 225 del 2016). L’adozione in casi particolari è anche prevista per bambini orfani portatori di handicap (lettera C), per i quali, essendo l’adozione ammessa anche per i singoli e le coppie non sposate, viene così ampliata la platea degli aspiranti adottanti.
L’adozione in casi particolari è prevista anche quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo (art. 44, lett. d, legge 184 del 1983): si tratta della norma di riferimento per l’odierna decisione. In passato, infatti, la disposizione è stata interpretata dalla giurisprudenza in modo restrittivo, come applicabile comunque alla ipotesi del bambino “in stato di abbandono”. Si sosteneva, dunque, che la norma abilitasse il ventaglio degli adottanti a fronte di minori in stato di abbandono, difficilmente adottabili e di fatto rimasti senza proposte adottive: come per il caso di bambini affetti da patologie psichiatriche o fisiche invalidanti. La giurisprudenza più recente ha mutato indirizzo e interpretato la norma in modo diverso: secondo il nuovo trend pretorile, la disposizione prevedendo che “vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, fa riferimento (non solo a situazioni di impossibilità materiale di adottare bambini in stato di abbandono, ma anche) ad ogni altra ipotesi di impossibilità giuridica di adottare con adozione legittimante. Si tratta, cioè, di casi in cui non vi è uno stato di abbandono e dove, tuttavia, l’adozione appare comunque consigliabile per una migliore tutela dei diritti del minore. Su questa linea si sono ritenuti adottabili bambini non abbandonati che risultano affidati da anni ad una coppia o ad un singolo. Si arriva così al tema oggetto della presente indagine: proprio attraverso il menzionato art. 44 lett. d), infatti, si è arrivati ad affermare che, nell’ipotesi di minore concepito e cresciuto nell’ambito di una coppia dello stesso sesso, «sussiste il diritto ad essere adottato dalla madre non biologica, secondo le disposizioni sulla adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184 ed a prendere il doppio cognome, sussistendo, in ragione del rapporto genitoriale di fatto instauratosi fra il genitore sociale ed il minore, l’interesse concreto del minore al suo riconoscimento». In questi termini si è pronunciato originariamente il Tribunale per i Minorenni di Roma, con sentenza 30 luglio 2014 (est. Cavallo), inaugurando una presa di posizione ermeneutica confermata negli arresti successivi (Trib. Minorenni Roma, 22 ottobre 2015, est. Cavallo; Trib. Minorenni Roma, 23 dicembre 2015, est. Cavallo, Trib. Minorenni Bologna sentenze nn. 116, 147, 146 e ulteriori), anche nel secondo grado. In particolare, secondo il giudice d’appello romano, «nell’ipotesi di minore concepito e cresciuto nell’ambito di una coppia dello stesso sesso, sussiste il diritto ad essere adottato dalla madre non biologica, secondo le disposizioni sulla adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184, sussistendo, in ragione del rapporto genitoriale di fatto instauratosi fra il genitore sociale ed il minore, l’interesse concreto del minore al suo riconoscimento; la sussistenza di tale rapporto genitoriale di fatto e del conseguente superiore interesse al riconoscimento della bigenitorialità devono essere operate in concreto sulla base delle risultanze delle indagini psico-sociali» (Corte App. Roma, 23 dicembre 2015, Pres. Montaldi, est. Pagliari); della stessa idea la Corte di Appello di Torino che, riformando il primo grado, afferma «l’ipotesi di adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184 può trovare applicazione anche in caso di impossibilità giuridica di affidamento preadottivo per non essere il minore dichiarato in stato di abbandono sussistendo un genitore biologico che ne ha cura; la norma può pertanto trovare applicazione anche nel caso in cui sussista l’interesse concreto del minore al riconoscimento del rapporto genitoriale di fatto instauratosi con l’altra figura genitoriale sociale, seppure dello stesso sesso» (Corte App. Torino, Pres. Mecca, est. Lanza).
La questione della adozione coparentale è stata infine affrontata dalla Suprema Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi con riguardo alla impugnazione della pronuncia della Corte di Appello romana del 23 dicembre 2015. Definendo il procedimento in senso conforme alla decisione impugnata, la Suprema Corte di Cassazione ha, in primis, affermato che in ipotesi di domanda di adozione in casi particolari da parte della compagna della madre biologica non sussiste alcun conflitto di interessi fra quest’ultima e la figlia e non vi è pertanto alcuna necessità di nominare un curatore speciale. Ha quindi osservato che l’ipotesi di adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184 può trovare applicazione anche in caso di impossibilità giuridica di affidamento preadottivo per non essere il minore dichiarato in stato di abbandono sussistendo un genitore biologico che ne ha cura; la norma può pertanto trovare applicazione anche nel caso in cui sussista l’interesse concreto del minore al riconoscimento del rapporto genitoriale di fatto instauratosi con l’altra figura genitoriale sociale, seppure dello stesso sesso (Cass. Civ., sez. I, sentenza 26 maggio 2016 n. 12962, Pres. Della Palma, est. Acierno). L’indirizzo del tutto maggioritario in giurisprudenza è, dunque, oramai consolidato ed avallato dalla Suprema Corte.
Reputa questo Tribunale che l’indirizzo sinteticamente qui illustrato sia stato anche confermato dalla legge 76 del 2016. In primo luogo, la nuova normativa ha eletto le coppie formate da persone dello stesso sesso, ove sussistenti vincoli affettivi, al rango di “famiglia” (è inequivoco il riferimento, nella normativa, alla “vita familiare”, a tacer d’altro), così offrendo all’adozione in casi particolari, un substrato relazionale solido, sicuro, giuridicamente tutelato. Soprattutto, la legge di nuovo conio ha confermato l’orientamento di Cassazione, con l’articolo 1 comma 20: “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole « coniuge », « coniugi » o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”. Ebbene, come hanno sottolineato i commentatori, questa norma nasce da un compromesso legislativo, reso necessario a seguito dello stralcio dell’articolo che prevedeva una modifica dell’art. 44 lettera b). Per effetto di detto stralcio, il Legislatore ha sentito il bisogno di aggiungere una locuzione che non può essere interpretata in nessun altro modo se non come clausola di salvaguardia, altrimenti non se ne comprenderebbe il senso, avendo già detto che l’equiparazione del termine coniuge all’unito civilmente vale per le leggi in vigore tranne che per la 184/83, ovvero l’espressione: “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”. Che resti fermo quanto previsto può apparire pleonastico ma è fatto salvo anche quanto consentito, evidentemente dalla interpretazione giurisprudenziale così come si è sviluppata nel tempo e come indicata da ultimo dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza 12962/16. È insomma evidente che dalla legge 76 del 2016 non emerge affatto una volontà del Legislatore di delimitare più rigidamente i confini interpretativi dell’adozione in casi particolari ma, semmai, emerge la volontà contraria, tanto è vero che, successivamente alla emanazione della legge, vi sono state altre pronunzie che, in casi analoghi a quello in esame, hanno accolto la domanda di adozione ex art. 44 d). Questa lettura è stata anche seguita in dottrina ed è ritenuta corretta da questo Tribunale. La «clausola di salvaguardia» che chiude il comma 20 rende immune dall’eccezione alla clausola generale di equivalenza prevista per la legge sulle adozioni «quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti». In questo modo, questa disposizione apre alla possibilità di un’applicazione alle unioni civili delle disposizioni in materia di adozioni, ma solo, per l’appunto, nei limiti del diritto vigente. La clausola nasce dalla consapevolezza degli effetti che lo stralcio di cui si è detto avrebbe comportato al consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce alle coppie di persone dello stesso sesso la possibilità di ricorrere alla c.d. «adozione coparentale» (stepchild o secondparent adoption). Pertanto, allo stralcio dell’articolo 5 è seguita l’aggiunta della clausola in parola, proprio allo scopo di scongiurare che fosse «impedito agli omosessuali di continuare a fruire di un istituto già esistente». La sua funzione, dunque, è quella di chiarire all’interprete che la mancata previsione legislativa dell’accesso all’adozione coparentale non deve essere letta come un segnale di arresto o di contrarietà rispetto all’orientamento consolidatosi negli ultimi anni in giurisprudenza in favore dell’adozione coparentale ai sensi della lettera d). In conclusione, è opportuno rammentare che l’interpretazione qui in esame risulta avallata non solo dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 12962 del 2016, ma anche da Corte cost., 7 ottobre 1999, n. 383, secondo cui la ratio dell’effettiva realizzazione degli interessi del minore consente l’adozione per “constatata impossibilità di affidamento preadottivo” anche quando i minori “non sono stati o non possono essere formalmente dichiarati adottabili”.
Alla luce di quanto sin qui osservato, ove le indagini ex lege diano esito positivo, l’adozione risponda all’interesse del minore e vi sia il consenso di tutti i soggetti interessati «non si comprende come possano essere posti ostacoli alla richiesta di adozione se non per il prevalere di pregiudizi legati ad una concezione dei vincoli familiari non più rispondente alla ricchezza e complessità delle relazioni umane nell’epoca attuale. Del resto proprio la interpretazione evolutiva della Corte EDU della nozione di vita familiare di cui all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, è giunta ad affermare che nell’ambito della vita familiare deve annoverarsi il rapporto fra persone dello stesso sesso, rapporto che non può quindi essere escluso dal diritto di famiglia con la conseguenza che non già le aspirazioni o i desideri degli adulti debbano avere necessariamente pari riconoscimento da parte dell’ordinamento, bensì i diritti dei bambini» (Corte App. Mi, cit.). Va rimarcato che la relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso, che si riconoscano come parti di un medesimo progetto di vita, con le aspirazioni, i desideri e i sogni comuni per il futuro, la condivisione insieme dei frammenti di vita quotidiana, costituisce a tutti gli effetti una “famiglia”, luogo in cui è possibile la crescita di un minore, senza che il mero fattore “omoaffettività” possa costituirne ostacolo formale.
La disamina sin qui condotta induce a dover accogliere la domanda dell’istante sulla scorta del seguente principio di diritto: in virtù della clausola di salvaguardia di cui all’art. 1 comma 20 legge 76 del 2016, l’ipotesi di adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184 può trovare applicazione anche in caso di impossibilità giuridica di affidamento preadottivo per non essere il minore dichiarato in stato di abbandono sussistendo un genitore biologico che ne ha cura; la norma può pertanto trovare applicazione anche nel caso in cui sussista l’interesse concreto del minore al riconoscimento del rapporto genitoriale di fatto instauratosi con l’altra figura genitoriale sociale, seppure dello stesso sesso.
In conclusione, il ricorso merita accoglimento.
P.Q.M.
DICHIARA
l’adozione di (omissis), nato a (omissis), il (omissis), da parte di (omissis), nato a (omissis), in data (omissis) disponendo che il minore mantenga l’attuale cognome di (omissis) che identifica il minore fin dalla nascita.
ORDINA
la comunicazione della presente sentenza per esteso alla Procura, alle parti e all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di (omissis) per le trascrizioni e i provvedimenti di competenza.