Nulla scagiona il ricorrente dalla sua condanna per maltrattamenti in famiglia, nemmeno il fatto che le condotte si siano verificate durante il periodo del Covid, ma è salvo l'immobile ove esse si sono verificate, poiché difetta il rapporto di strumentalità tra la struttura e l'illecito.
La Corte d'Appello di Roma riformava parzialmente la pronuncia di primo grado, confermando la condanna dell'attuale ricorrente per il reato di maltrattamenti in famiglia e assolvendolo dall'accusa di
I fatti si sono svolti all'interno di una casa di riposo e si sarebbero verificati in concomitanza con le restrizioni imposte dall'emergenza pandemica. Dalle captazioni ambientali disposte all'interno della struttura era infatti emersa l'abitualità delle condotte vessatorie poste ai danni degli ospiti della struttura attraverso minacce, insulti e atti di violenza fisica, anche ai danni di soggetti sostanzialmente impossibilitati a muoversi e a reagire.
Il ricorrente si rivolge alla Corte di Cassazione contestando l'asserita sussistenza del requisito di abitualità delle condotte maltrattanti, sottolineando che gli episodi si erano verificati per un breve periodo temporale e ai danni di pochi ospiti, e che essi fossero stati dettati dai problemi gestionali ingenerati dall'ondata pandemica. In secondo luogo, eccepisce che l'età avanzata degli ospiti e la degenza presso la casa di riposo non determinano per forza la sussistenza di una condizione di minorata difesa, sostenendo che nel caso di specie gli anziani fossero sostanzialmente tutti in buone condizioni.
Con il terzo motivo di ricorso, infine, il ricorrente lamenta l'avvenuta confisca dell'immobile destinato ad ospitare gli anziani ove si erano verificate le condotte, contestando l'assenza di un nesso di strumentalità necessaria rispetto alla commissione del reato.
Con la sentenza n. 8755 del 28 febbraio 2024, gli Ermellini dichiarano il ricorso parzialmente fondato.
Con riguardo alle prime due doglianze, esse si rivelano inammissibili.
Per consolidata giurisprudenza, infatti,
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«integra l'elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se per un limitato periodo di tempo». |
Ebbene, dalle captazioni ambientali risulta ampiamente accertato che ciò sia accaduto nel caso in esame, qualificandosi come altamente significativi gli schiaffi agli anziani e altre diverse forme di violenza fisica, come strattoni e trascinamento del naso di alcuni di loro, il tutto finalizzato a creare consapevolmente un clima vessatorio.
Quanto all'aggravante della minorata difesa, essa non si desume dall'età degli ospiti della RSA, ma dalle condizioni che impedivano loro di opporre anche una minima difesa alle angherie subite, posto che spesso le condotte maltrattanti erano state poste in essere ai danni di anziani con difficoltà di deambulazione.
Diversamente, invece, deve dirsi quanto all'ultimo motivo di ricorso afferente alla confisca della struttura. In tal senso si osserva come i Giudici di seconde cure abbiano motivato il rapporto di strumentalità tra l'immobile e il reato evidenziando come esso sia strutturalmente organizzato per ospitare i degenti, conclusione che la Cassazione non condivide perché si basa su una sovrapposizione tra il bene al cui interno è stato commesso il reato e la nozione di strumentalità causale.
L'
Come rilevano i Giudici di legittimità, applicando al caso di specie il suddetto principio, emerge chiaramente che l'unico rapporto di strumentalità diretto è quello esistente tra il tipo di attività (casa di riposo) e il reato di maltrattamenti, fermo restando che sia l'attività, sia l'illecito, ben possono essere svolti in qualsiasi immobile, anche diverso rispetto a quello di cui si parla.
Segue la revoca della confisca.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Roma, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, confermava la condanna di A.A. in relazione al reato di maltrattamenti in famiglia, assolvendolo dall'accusa di violenza sessuale; nei confronti di B.B., invece, veniva riconosciuta la colpevolezza sia per il reato di maltrattamenti che per quello di esercizio abusivo della professione di infermiere.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso A.A., nel cui interesse sono stati formulati tre motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del requisito dell'abitualità con riguardo alle condotte maltrattanti.
Il ricorrente ha sottolineato come i fatti contestati si sarebbero svolti in un circoscritto periodo temporale (circa un mese a cavallo tra settembre e ottobre 2020) e gli episodi accertati avrebbero riguardato un limitato numero di ospiti della casa di riposo. Si assume, inoltre, che i fatti si sarebbero verificati in concomitanza con le restrizioni imposte dall'emergenza pandemica, il che avrebbe ingenerato problemi di gestione degli ospiti della struttura e conseguenti reazioni da parte degli operatori che, per quanto poco professionali, non integrerebbero il reato di maltrattamenti.
I giudici di merito, inoltre, non avrebbero tenuto conto delle manifestazioni di buoni rapporti esistenti tra l'imputato e gli ospiti della struttura, che pure emergevano dalle captazioni svolte.
2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla ritenuta sussistenza delle aggravanti di cui all'art. 61 n. 5°e n.ll-bis cod. pen.
Eccepisce il ricorrente che l'età avanzata e la degenza in una casa di riposo non determinano, di per sé, la sussistenza di una condizione di minorata difesa che, invece, presuppone un accertamento in concreto delle condizioni psicofisiche della persona offesa e le conseguenze sulla commissione del reato. Nel caso di specie, gli anziani erano tutti in buone condizioni come attestato anche dal geriatra inviato presso la struttura dalla ASL a seguito dell'esecuzione della misura cautelare reale.
La difesa del ricorrente ha anche dedotto che entrambe le aggravanti contestate descrivono condotte già ricomprese tra gli elementi costitutivi del reato di maltrattamenti.
Infine, si contesta il trattamento sanzionatorio con specifico riguardo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, tenuto conto che una delle parti civili è stata risarcita e che la coimputata B.B. ha beneficiato di tale attenuante.
2.3. Con il terzo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla confisca dell'immobile destinato ad ospitare gli anziani e nel quale si erano realizzate le condotte di maltrattamenti.
I giudici di merito avrebbero omesso di considerare che l'immobile non si pone in rapporto di strumentalità necessaria rispetto alla commissione del reato, bensì rappresenta solo il luogo ove, in via meramente occasionale, si è manifestata l'illecita condotta. Quanto detto comporta che difetta il requisito della intrinseca pericolosità del bene, in quanto l'immobile, destinato alla funzione di casa di riposo, non può farsi rientrare tra le cose che servirono a commettere il reato, posto che la condotta ben poteva essere realizzata a prescindere dallo specifico immobile nel quale gli ospiti erano ricoverati.
3. Nell'interesse di B.B. sono stati articolati due motivi di ricorso che, tuttavia, possono essere cumulativamente riassunti, prospettando questioni affini.
Il difensore deduce l'esclusione dell'abitualità nelle condotte poste in essere dalla ricorrente, alla quale sarebbero ascrivibili esclusivamente due ipotesi verificatisi entrambe in data 2 ottobre 2020 e che attengono alla somministrazione di medicinali.
In altri casi, invece, vi sarebbe l'erronea individuazione dell'autore delle percosse ai danni degli anziani ospiti, essendosi confuso il nome della ricorrente -C. - con quella di altra assistente individuata in "C.".
Peraltro, le testi C. e B., che pure lavoravano presso la casa di riposo, non hanno riferito di comportamenti violenti o minacciosi commessi dalla B.B. .
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto da A.A. è parzialmente fondato.
2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, non confrontandosi con l'apparato argomentativo della sentenza di appello, nella quale si dà conto di reiterate e abituali condotte di maltrattamento, spesso realizzate mediante atti violenti, ma anche con minacce ed offese rivolte agli ospiti della casa di riposo.
Il ricorrente sottolinea come l'accertamento dei fatti coprirebbe un periodo di tempo limitato - poco meno di un mese - per desumerne l'insussistenza dell'abitualità dei maltrattamenti.
Deve premettersi che, per consolidata giurisprudenza, integra l'elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se per un limitato periodo di tempo (Sez.6, n. 25183 del 19/6/2012, Rv. 253041).
Nel caso di specie, nel periodo di osservazione mediante le captazioni ambientali disposte all'interno della struttura, è emersa in maniera pacifica l'assoluta abitualità delle condotte vessatorie realizzate dal A.A., il quale era solito minacciare e insultare alcuni degli ospiti, nonché compiere atti di violenza fisica, spesso ai danni di soggetti sostanzialmente impossibilitati a muoversi e reagire.
La Corte di appello ha compiuto una analitica descrizione delle singole condotte (pg.21-27), richiamando anche il contenuto delle captazioni, in tal modo fornendo un quadro che non lascia alcun dubbio in ordine alla corretta qualificazione della condotta in termini di maltrattamenti in famiglia. Né l'imputato può avvantaggiarsi della necessaria limitazione temporale delle attività di captazione, imposta anche dall'esigenza di porre termine alla condotta delittuosa, posto che nel mese in cui sono state eseguite le videoriprese è emerso che A.A. ha tenuto una condotta improntata all'abituale offesa, minaccia e prevaricazione nei confronti degli ospiti, spesso compiendo anche atti che -coinvolgendo le parti intime degli stessi - avevano dato luogo all'iniziale contestazione del reato di violenza sessuale. Altamente significativi sono, poi, i casi in cui l'imputato ha schiaffeggiato gli anziani, oppure ha realizzato forme diverse di violenza fisica (in più occasioni li strattona, li trascina o afferra il naso di alcuni di loro).
La difesa non si confronta minimamente con l'apparato probatorio, limitandosi a richiamare l'attenzione sul dato temporale che, tuttavia, per le ragioni anzidette non è dirimente.
Ancor meno fondate sono le deduzioni relative alla riconducibilità delle condotte alla scarsa professionalità degli operatori, incapaci di far diversamente fronte alle difficoltà di gestione degli anziani ospiti.
La descrizione dei fatti avvenuti nella casa di riposo è chiaramente dimostrativa di una deliberata volontà di instaurare un clima vessatorio, che non può in alcun modo essere sminuito al rango di mera incapacità professionale degli operatori della struttura.
3. Il secondo motivo di ricorso, concernente il riconoscimento delle aggravanti, è manifestamente infondato.
Invero, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, l'aggravante della minorata difesa non è stata desunta dalla mera età avanzata degli ospiti vittime del A.A., bensì da acclarate condizioni che impedivano loro di opporre la benché minima difesa alle angherie subite. Basti considerare che spesso le condotte violente sono state realizzate ai danni di soggetti con notevoli difficoltà di deambulazione e, più in generale, di persone che presentavano un decadimento psicofisico legato all'età avanzata tale, da non consentire alcuna effettiva reazione.
Parimenti infondata è l'ulteriore deduzione secondo cui le aggravanti contestate prevedono il compimento di condotte già ricomprese tra gli elementi costitutivi del reato di maltrattamenti in famiglia,' è agevole rilevare, infatti, come il reato in questione non contiene alcun diretto riferimento ai fatti integranti le circostanze aggravanti in esame.
Infine, per quanto attiene all'esclusione delle attenuanti generiche, si ritiene che la Corte di appello ne ha motivatamente ritenuto l'insussistenza dei presupposti, valorizzando le particolari modalità di realizzazione del fatto e la gravità degli addebiti.
Né rileva il diverso trattamento riconosciuto in favore della coimputata B.B., stante l'obiettiva diversità del ruolo ricoperto nella struttura dal A.A., nonché la maggiore intensità e ripetitività delle condotte a quest'ultimo ascritte.
4. Il terzo motivo pone la questione della legittimità della confisca dell'immobile nel quale era ubicata la casa di riposo.
La Corte di appello ha motivato il rapporto di strumentalità tra l'immobile e il reato, evidenziando come questo sia strutturalmente organizzato per ospitare degenti; la casa di riposo è operativa fin dal 2011 e l'onerosità insita nella destinazione funzionale attribuita all'immobile farebbe ritenere più che probabile che, ove tale bene non fosse sottratto all'imputato, verrebbe nuovamente destinato allo svolgimento della medesima attività.
Si tratta di una conclusione non condivisibile, in quanto si fonda sulla non consentita sovrapposizione tra il bene al cui interno è stato commesso il reato e la nozione di strumentalità causale.
L'art. 240, comma primo, cod. pen., consente la confisca delle cose che "servirono o furono destinate" a commettere il reato, il che presuppone un diretto collegamento funzionale tra il bene e l'illecito. La confisca, pertanto, può ricadere unicamente sui beni strumentali rispetto al reato e non già su qualunque bene sia pur indirettamente connesso al delitto.
In tal senso, questa Corte ha già avuto modo di affermare che , in tema di confisca di cose servite per la commissione del reato, è necessaria la sussistenza di un nesso di specifica, non occasionale e non mediata strumentalità tra il bene e la condotta criminosa, da valutare anche verificando la rispondenza della misura cautelare adottata ai principi di adeguatezza e proporzionalità rispetto alla finalità della stessa (Sez.6, n. 17763 del 13/12/2018, dep. 2019, Arrigo, Rv. 275886).
Applicando tale principio al caso di specie, è agevole osservare che l'unico rapporto di strumentalità diretto è ravvisabile tra il tipo di attività (casa di riposo) e il reato di maltrattamenti, salvo restando che sia l'attività che l'illecito ben possono essere svolti in qualsivoglia immobile, anche diverso da quello di proprietà dell'imputato.
5. Il ricorso proposto nell'interesse della B.B. è manifestamente infondato oltre che generico.
La ricorrente sostiene che nei suoi confronti non sarebbe configurabile l'abitualità delle condotte maltrattanti, essendo state individuate due sole condotte rilevanti, peraltro collocate nel medesimo giorno.
Si tratta di una lettura volutamente parziale della ricostruzione probatoria, avendo la Corte di appello specificatamente indicato una pluralità di episodi idonei ad integrare il reato di maltrattamenti, in alcuni dei quali la B.B. pone in essere anche condotte violente ai danni dei degenti (pg.16-19).
Tali condotte, di per sé rilevanti, si inseriscono in un clima complessivamente improntato ad imporre condizioni di vita vessatorie e, quindi, correttamente è stata ritenuta sussistente l'ipotesi concorsuale.
Né è invocabile il principio secondo cui.ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 572 cod. pen., l'esistenza, in una casa di cura e ricovero per anziani, di un generalizzato clima di sopraffazione e violenza nei confronti degli assistiti non esime dalla rigorosa individuazione dei distinti autori delle varie condotte, in quanto il carattere personale della responsabilità penale impedisce che il singolo addetto, in mancanza di addebiti puntuali che lo riguardano, possa essere chiamato a rispondere, sia pure in forma concorsuale, del contesto in sé considerato, anche nel caso in cui da tale contesto egli tragga vantaggio (Sez.6, n. 7760 del 10/12/2015, dep. 2016, Rv. 266684; Sez.6, n. 35591 del 2/7/2021, Rv. 281987-02).
Nel caso di specie, infatti, all'imputata non si contesta la mera tolleranza del contesto di sopraffazione da altri instaurato, bensì si imputa la personale commissione di fatti specifici e reiterati che hanno sicuramente concorso a determinare il clima vessatorio ai danni degli ospiti della casa di riposo.
5.1. La ricorrente ha ipotizzato che i giudici di merito siano incorsi in un sostanziale errore di persona, lì dove non avrebbero considerato che vi era altra operatrice - tale C. - che avrebbe percosso una delle ospiti (L.). La doglianza è generica, posto che non si indica quale degli episodi specificamente ascritti dall'imputata (riassunti a pg.16-19 della sentenza) sarebbe attribuibile ad altro soggetto.
Il dubbio sull'esatta individuazione dell'autore di determinate condotte, peraltro, introduce una questione di puro fatto che avrebbe dovuto essere specificamente portata all'attenzione del giudice dell'appello.
5.2. La ricorrente ha richiamato le sommarie informazioni rese da altre operatrici, per sostenere che queste non l'avrebbero indicata quale autrice di condotte lesive.
Si tratta di una deduzione generica oltre che inammissibile in sede di legittimità, posto che sollecita una rivalutazione nel merito del dato istruttorio, omettendo di valutare l'autosufficienza delle intercettazioni e del restante materiale probatorio.
6. In conclusione, il ricorso proposto da A.A. deve essere accolto limitatamente alla confisca dell'immobile, di cui deve disporsi la revoca con conseguente restituzione del bene all'avente diritto, mentre, nel resto il ricorso è inammissibile.
Il ricorso proposto da B.B. è inammissibile, sicché ne consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Entrambi gli imputati devono essere condannati alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile costituita.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione della confisca, disponendo la restituzione in favore dell'avente diritto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi e condanna B.B. al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, entrambi gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile costituita, che liquida in complessivi euro 3.300,00, oltre accessori di legge.