Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Assise d'appello di Roma ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di M. A. e C. N. per il reato di cui all'art. 591 comma 3 c.p., mentre, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, ha concesso agli imputati la sospensione condizionale della pena, subordinando il beneficio al pagamento in favore delle parti civili delle provvisionali cui sono stati condannati e di cui ha provveduto a ridurre l'ammontare. La vicenda riguarda la morte di R. G. P., anziano parzialmente non autosufficiente a causa di plurime morbilità neurodegenerative che ne richiedevano l'assistenza e la custodia, ricoverato nella struttura socioassistenziale a carattere residenziale, denominata Villa I., gestita dalla C. s.r.l., società amministrata dagli imputati. La vittima decedeva precipitando accidentalmente da una finestra del sottotetto della casa di riposo, che riusciva a raggiungere in autonomia in ragione di carenze organizzative e strutturali, individuate nell'insufficienza del numero di addetti impegnati nella vigilanza dei pazienti e nella mancata protezione dell'ingresso delle scale di accesso al sottotetto.
2. Avverso la sentenza ricorrono con atti autonomi entrambi gli imputati.
2.1 Il ricorso proposto nell'interesse del M. articola quattro motivi.
2.1.1 Con il primo il ricorrente deduce erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito all'affermazione di responsabilità dell'imputato. La Corte avrebbe ingiustificatamente omesso di considerare in proposito che la vittima è stata vista sostare, mentre attendeva il proprio turno per cenare, nella sala attigua a quella in cui il personale era impegnato a servire ad altri ospiti della struttura il pasto e che le due sale costituiscono un unico open space essendo separate soltanto da un arco, senza muri divisori o porte. Non di meno il giudice dell'appello avrebbe trascurato anche quanto già accertato dalla sentenza di primo grado, ossia che l'imputato aveva debitamente istruito il personale sulla necessità di mantenere chiusa a chiave la porta che consentiva di accedere alla scala mediante la quale era possibile raggiungere il sottotetto e che comunque alcuna certezza era stata raggiunta sulla sua mancata regolare chiusura la sera in cui si è verificato l'evento mortale. Illogicamente i giudici del merito avrebbero poi fondato la propria decisione sulla valutazione effettuata dagli ispettori dell'ASL circa l'insufficienza numerica del personale impegnato nell'assistenza agli ospiti della struttura, posto che tale valutazione è stata frutto di una ispezione effettuata oltre quattro mesi dopo il decesso del R. e dunque non vi sarebbe prova alcuna che la situazione di fatto accertata dagli ispettori corrispondesse a quella esistente al momento della morte del R.. La Corte avrebbe altresì ignorato le risultanze - la consulenza prodotta in primo grado, la documentazione e le testimonianze - comprovanti come il servizio di assistenza, custodia e vigilanza degli ospiti nelle ore diurne era stato appaltato, peraltro prima che il M. divenisse amministratore, ad una cooperativa esterna, la quale aveva assunto in via esclusiva la gestione del servizio, anche con riguardo alla determinazione del numero di addetti impegnati per il suo espletamento. Ingiustificata sarebbe poi l'attribuzione all'imputato di una posizione di garanzia, posto che la coordinatrice responsabile della struttura - figura tipizzata dalla normativa regionale di riferimento - era la coimputata C., ricoprendo il M., invece, meri compiti amministrativi. Il ricorrente evidenzia poi che i molteplici elementi trascurati dalla Corte escludono che nel caso di specie sia stato integrato l'elemento oggettivo del reato in contestazione, ma soprattutto il dolo del medesimo, difettando in capo all'imputato la rappresentazione della presunta situazione di pericolo in cui versavano gli ospiti della struttura in ragione dell'asserita insufficienza del personale addetto e comunque la volontà di abbandonare a sé stessi i soggetti non autosufficienti.
2.1.2 Analoghi vizi vengono dedotti con il secondo motivo, con il quale il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto dell'imprevedibilità dell'evento, avendo omesso di considerare le testimonianze da cui concordemente risulterebbe che il R. non aveva mai manifestato segni di disagio e tantomeno intenti suicidari. E sempre i medesimi vizi vengono altresì denunziati con il terzo e quarto motivo. Anzitutto viene contestata la subordinazione della pur concessa sospensione condizionale al pagamento delle disposte provvisionali, in assenza di alcuna preventiva verifica sulla compatibilità di tale statuizione con le condizioni economiche dell'imputato, come invece richiesto dalla giurisprudenza di legittimità. In secondo luogo il ricorrente lamenta come la stessa liquidazione delle provvisionali sia stata disposta in assenza di alcun effettivo accertamento del danno effettivamente patito dalle parti civili.
2.2 Anche il ricorso proposto dalla C. articola quattro motivi.
2.2.1 Con il primo vengono dedotti erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito all'affermazione di responsabilità. Lamenta in proposito la ricorrente che alcuna specifica condotta le sarebbe stata contestata e che dunque quella affermata sarebbe una mera responsabilità da posizione connessa alla sua qualifica di socia della C. s.r.l. che gestiva la struttura socioassistenziale. Non di meno la Corte ha ritenuto integrata la condotta tipica del reato contestato attraverso una omissione, senza individuare la condotta alternativa lecita che avrebbe dovuto tenere per evitare l'evento, tenuto conto che dell'amministrazione quotidiana della casa di riposo, anche in ragione dell'età avanzata della C., si occupava il M.. In maniera apodittica, poi, il giudice dell'appello, al fine di colmare la lacunosità sul punto della sentenza di primo grado, avrebbe perentoriamente affermato che il R. ha raggiunto il sottotetto utilizzando le scale, nonostante ciò non sia stato effettivamente accertato. La sentenza impugnata avrebbe poi immotivatamente trascurato le plurime testimonianze che concordemente hanno chiarito come la direzione della struttura avesse istruito i dipendenti sulla necessità di chiudere a chiave la porta di accesso alle scale del sottotetto, talchè l'eventuale inottemperanza a tali disposizioni sarebbe addebitabile alla disattenzione di un terzo non identificato, il quale avrebbe generato una autonoma serie causale di cui non potrebbe rispondere in alcun modo la C.. E considerazioni analoghe vanno riservate per la ricorrente alle condizioni che hanno consentito l'allontanamento del R. dal salone della struttura, imputabile alla repentinità e imprevedibilità del suo comportamento così come all'omessa vigilanza degli operatori di turno in quel momento.
2.2.2 Analoghi vizi vengono denunziati con il secondo motivo, con il quale la ricorrente lamenta l'apoditticità della motivazione attraverso cui il giudice del merito ha affermato la sussistenza del dolo del reato, ancorando quest'ultimo, sostanzialmente, al fatto che l'imputata non poteva non essere a conoscenza delle presunte criticità riscontrabili nella gestione della struttura. In tal senso la Corte avrebbe anzitutto omesso di considerare come i testimoni che hanno deposto sul punto avrebbero concordemente riferito di aver parlato dei problemi di gestione sempre con il M. e mai con l'imputata. In secondo luogo non avrebbe indicato da quali elementi di fatto potrebbe desumersi che la C. si fosse effettivamente rappresentata la concreta possibilità dell'abbandono di alcuno degli ospiti di Villa I., sovrapponendo in definitiva i presupposti per l'eventuale configurabilità di una responsabilità colposa a quelli invece necessari per affermare quella dolosa richiesta per la sussistenza del delitto di cui all'art. 591 c.p.
2.2.3 Ulteriori vizi di motivazione vengono dedotti con il terzo motivo in merito alla condanna dell'imputata al pagamento di provvisionali in favore delle parti civili. Infine con il quarto motivo la ricorrente deduce erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito alla disposta subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento delle suddette provvisionali, articolando in proposito doglianze sovrapponibili a quelle poste a fondamento del terzo motivo del ricorso del M..
Motivi della decisione
1. I ricorsi sono fondati nei termini e nei limiti di seguito illustrati.
2. Anzitutto è opportuno ricordare le coordinate esegetiche fissate da questa Corte in riferimento alla fattispecie prevista dall'art. 591 c.p. contestata agli imputati.
2.1 La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che ai fini della configurabilità del reato in esame, la condotta di "abbandono" è integrata da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo (ex multis Sez. 1, n. 5 del 11/05/2021, dep. 03/01/2022, S., Rv. 282481).
In sostanza, quindi, la tutela della vita e dell'incolumità personale, nell'ambito della struttura del reato, passa attraverso la violazione di un obbligo assistenziale o di custodia; infatti, in tutte le ipotesi di abbandono previste dalla norma in esame la condotta non deve essere diretta a ledere l'incolumità personale o la vita del soggetto passivo, in quanto, se tale volontà sussistesse, sia pure nella forma del dolo eventuale, e l'abbandono costituisse niente altro che un mezzo per realizzarla, rimarrebbero integrate le fattispecie di lesioni personali volontarie o di omicidio.
Si è dunque convenuto che l'essenza del delitto di cui si tratta consista nell'abbandono dell'incapace, caratterizzato dalla volontà di sottrarsi esclusivamente ad un obbligo di cura o di custodia derivante dalla legge o da un particolare rapporto giuridico instaurato con il soggetto passivo, essendo, quindi, necessario che l'agente si trovi in un rapporto con quest'ultimo dal quale derivi un tale obbligo (Sez. 5, n. 27447 del 29/03/2023, G., n.m.).
È poi approdo consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui l'abbandono
può ritenersi tipico solo se ne derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo (ex multis Sez. 5, n. 4557 del 12/10/2023, dep. 2024, S., Rv. 285977; Sez. 5, n. 27705 del 29/05/2018, Rv.
273479; Sez. 1, n. 35814 del 30/04/2015, Andreini, Rv. 264566; Sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012, dep. 08/03/2013, T., Rv. 255173; Sez. 5, n. 19476 del 25/02/2010, Verdano e altro, Rv. 247305).
2.2 Quanto all'elemento soggettivo del reato, è pacifico per la giurisprudenza di legittimità che il dolo richiesto per la sua sussistenza è quello generico (non essendo dunque necessario un vero e proprio animus derelinquendi) e che lo stesso deve avere ad oggetto, oltre che lo stato di incapacità del soggetto passivo e la titolarità e contenuto dell'obbligo giuridico di cura ed assistenza verso il medesimo, anche lo stato di pericolo a cui viene esposto tale soggetto in conseguenza dell'abbandono. Il dolo, quindi, corrisponde non solo alla rappresentazione e volontà di abbandonare la persona incapace di provvedere a sé stessa e nei confronti della quale si abbia uno specifico obbligo di assistenza o di cura, ma altresì nella coscienza del pericolo, ovvero nella previsione che la condotta dell'agente determini una possibilità di danno per la vita o per l'incolumità della persona abbandonata.
Si ritiene peraltro che la declinazione dell'elemento soggettivo possa essere inquadrata anche nella figura del dolo eventuale, qualora si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato la pericolosità dell'abbandono, persista nella sua condotta (Sez. 5, n. 44657 del 21/10/2021, L., Rv. 282173; Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017, Hmaidan, Rv. 271431).
3. Alla luce dei principi illustrati, il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse del M. deve ritenersi nel suo complesso infondato, ancorché a tratti inammissibile.
3.1 Anzitutto inconferenti sono le obiezioni sollevate dal ricorrente in merito alla questione della mancata chiusura della porta che consentiva l'accesso alle scale che portavano ai locali dai quali la vittima è poi precipitata. Infatti, se la pronunzia di primo grado ha posto l'accento anche su tale aspetto della vicenda, la sentenza impugnata si è limitata a menzionarlo, ma ha chiaramente ancorato la responsabilità dell'imputato alle carenze registrate nella sorveglianza degli ospiti della struttura bisognosi di assistenza (tra i quali vi era anche il R., circostanza che entrambi i ricorsi non hanno inteso contestare) nel momento in cui veniva servita la cena.
In secondo luogo, manifestamente infondate sono le censure svolte dal ricorrente in merito alla configurazione delle sale dedicate, rispettivamente, alla somministrazione del pasto ed al soggiorno degli ospiti in attesa del proprio turno. I giudici del merito mai hanno sostenuto, infatti, che i due ambienti non fossero comunicanti o che vi fossero impedimenti strutturali di qualsiasi natura nell'osservare dall'uno ciò che accadeva nell'altro (anche se la sentenza di primo grado, rimasta incontestata su questo specifico punto con il gravame di merito, aveva sottolineato come la sala di "attesa" fosse particolarmente profonda, rendendo più difficoltosa la sorveglianza di coloro che vi si trattenevano). Oggetto di rimprovero, del resto, non è tanto una ipotetica deficienza strutturale dei locali adibiti al pasto serale, ma il numero degli addetti all'incombente, del tutto insufficiente a garantire la sua somministrazione agli ospiti non autosufficienti e la vigilanza su quelli soggiornanti nell'altra sala in attesa del proprio turno e affetti da morbilità che richiedevano la loro costante sorveglianza.
3.2 Nel complesso infondate sono le doglianze attraverso cui il ricorrente ha cercato di sostenere come l'esternalizzazione del servizio di assistenza avesse trasferito sull'ente appaltatore ogni obbligo relativo al suo esatto svolgimento, compreso quello di assegnarvi un numero di addetti adeguato alla natura dei compiti che comportava. Entrambe le sentenze di merito hanno infatti esaustivamente evidenziato - facendo riferimento in maniera coerente a specifiche risultanze processuali sostanzialmente ignorate dal ricorrente - come fosse il committente ad indicare il numero di operatori richiesti, rimanendo riservati alla cooperativa esterna incaricata esclusivamente i compiti di approvvigionamento e gestione dei medesimi. Del resto, anche in caso contrario comunque sarebbe stato violato dal M. l'obbligo di vigilare sull'adeguatezza del servizio fornito alle concrete esigenze della struttura dallo stesso amministrata e di intervenire per sanare eventuali insufficienze (nello stesso senso cfr. Sez. 4, n. 45431 del 20/11/2001, Statello, Rv. 220726).
3.3 Nello stesso senso non hanno pregio nemmeno le obiezioni relative all'inconferenza della verifica ispettiva operata dall'Asl successivamente al decesso del R.. Dalla sentenza emerge infatti in maniera inequivocabile come sia stato accertato che la sera dell'incidente il numero di operatori in servizio fosse insufficiente rispetto a quello degli ospiti della struttura, mentre il rapporto dell'autorità sanitaria ha rivelato che costantemente la C. s.r.l. - e non solo il giorno dell'ispezione - richiedeva la prestazione di un monte ore di assistenza inadeguato rispetto alle proprie esigenze. Conseguentemente non hanno pregio nemmeno le, peraltro generiche, doglianze attraverso cui il ricorrente ha cercato di addebitare la responsabilità del fatto all'incuria del personale impegnato.
3.4 Infondata e per certi versi inammissibile è altresì la censura tesa a ridimensionare il ruolo dell'imputato nell'amministrazione della struttura, additando la coimputata C. come l'unica effettiva titolare della posizione di garanzia. In tal senso il ricorso omette anzitutto di confrontarsi con la motivazione della sentenza, la quale, ancora una volta facendo riferimento a precise risultanze processuali, ha evidenziato come fosse l'imputato l'unico amministratore assiduamente presente nella struttura e come in tale veste venisse costantemente informato sulle criticità registrate dal personale nella gestione degli ospiti, anche e soprattutto all'atto della somministrazione dei pasti. In secondo luogo l'esistenza di una rigida compartimentazione di ruoli viene evocata dal ricorrente in maniera assolutamente generica, tanto più che non viene chiarito in cosa sarebbero consistiti i compiti meramente "amministrativi" svolti dal M.. Né ha pregio l'obiezione fondata sulla normativa regionale di riferimento, posto che la figura del coordinatore responsabile del servizio di assistenza evocata dall'art. 11 comma 1 lett. e) I. r. Lazio n. 41 del 2003 e le cui funzioni sono definite dal D.G.R. Lazio 1305 del 2004 al par. I.A.3. non solleva gli amministratori dell'ente gestore dai loro obblighi organizzativi e comunque di intervenire in supplenza in caso siano consapevoli delle eventuali mancanze registrate e nell'espletamento del servizio.
3.5 Infondate ed in larga parte aspecifiche sono altresì le censure relative alla dimostrazione dell'elemento soggettivo del reato.
Richiamati i principi esposti in precedenza sulla configurazione del dolo richiesto per la sua sussistenza, è appena il caso di evidenziare come il ricorrente - tanto con il gravame di merito, quanto nei motivi di ricorso - mai abbia contestato l'ampia ricostruzione svolta dai giudici del merito delle fonti dichiarative che hanno rivelato come il M. fosse l'unico ed effettivo interlocutore del personale operante nella struttura e come fosse stato ripetutamente informato delle criticità derivanti dall'insufficienza del personale impegnato soprattutto al momento della somministrazione dei pasti. Non solo, la Corte territoriale ha sottolineato come dal compendio probatorio considerato risulti che già in altre occasioni, a causa delle difficoltà di vigilare sui medesimi, alcuni ospiti della struttura si erano allontanati e che almeno una volta lo stesso M. aveva partecipato alle ricerche del "disperso". Da tali elementi fattuali la Corte ha dunque desunto logicamente il dolo del reato, essendo stato indiscutibilmente provato che l'imputato era consapevole del pericolo generato dal sottodimensionamento del personale proprio nello specifico contesto in cui lo stesso si è poi concretizzato in occasione della tragica morte del R. e che ciononostante egli abbia omesso di intervenire - come era indiscutibilmente nel suo potere in ragione della carica ricoperta - per implementare il numero di operatori in servizio per turno.
4. Il secondo motivo del ricorso del M. è manifestamente infondato e intrinsecamente genericd.'.. Anzitutto l'obiezione sull'imprevedibilità dell'evento conseguito alla condotta omissiva addebitatagli - ossia la morte del R. - è irrimediabilmente viziata dalla presunzione per cui la vittima si sarebbe invero suicidata. Infatti, tale eventualità è stata motivatamente esclusa dalla sentenza, mentre il ricorrente non ha saputo indicare da quali specifici elementi eventualmente trascurati dai giudici del merito la circostanza sarebbe dimostrata. Anzi, al contrario, gli stessi argomenti spesi a sostegno dell'obiezione in questione - ossia l'assenza di segnali percepibili di una eventuale intento suicidario del R. - contraddice plasticamente l'assunto, invero meramente congetturale, dal quale il ricorso ha preso le mosse. In secondo luogo va osservato come la doglianza pretermetta un dato fattuale ampiamente valorizzato dalla Corte e rimasto incontestato, ossia la natura delle patologie da cui era afflitta la vittima, che imponeva in ogni caso di predisporre modalità di sorveglianza della stessa idonee ad impedire che vagasse per la struttura in assoluta autonomia. In tal senso è in definitiva irrilevante stabilire se il R. si sia suicidato ovvero sia precipitato accidentalmente dal sottotetto o eventualmente sia caduto a causa di una distorta percezione della situazione in cui si era venuto a trovare. E' infatti evidente che tutte le ipotesi formulabili riconducono comunque alle malattie neurodegenerative di cui soffriva ed alla conseguente necessità di garantirne una adeguata custodia, invece omessa.
5. Anche il quarto motivo del ricorso dell'imputato è inammissibile. Va infatti ribadito il consolidato insegnamento di questa Corte per cui non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (ex multis Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D. G., Rv. 263486).
Coglie invece nel segno la censura avanzata con il terzo motivo. Il Collegio, anche alla luce di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 49 del 1975 e n.
131 del 1979, ritiene di aderire all'orientamento, oramai prevalente nella giurisprudenza della Corte, per cui il giudice che intende subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena all'adempimento dell'obbligo risarcitorio è tenuto a valutare, motivando pur sommariamente sul punto, le reali condizioni economiche del condannato, onde verificare se lo stesso sia in grado di effettuare il pagamento entro il termine fissato (Sez. 4, n. 1436 del 12/12/2023, dep. 2024, Parisi, Rv. 285633; Sez. 5, n. 46834 del 10/10/2022, Albergo, Rv. 273802; Sez. 5, n. 40041 del 18/6/2019, Peron, Rv. 277604; Sez. 6, n. 49718 del 25/07/2017. B., Rv. 271347; Sez. 5, n. 21557 del 2/2/2015, Solazzo, Rv. 263675; Sez. 2, n. 22342 del 15/2/2013, Cafagna, Rv. 255665). In tal senso appare allora del tutto apodittica la motivazione della sentenza nella parte in cui, nel concedere all'imputato - in riforma della pronunzia di primo grado - il beneficio della sospensione condizionale, lo abbia subordinato al pagamento della provvisionale disposta a suo carico in ragione della ritenuta titolarità di non meglio precisati beni immobili e della "titolarità" di altre strutture assistenziali. Una volta positivamente ritenuta la capienza economica dell'imputato, la Corte, soprattutto perché la statuizione di cui si tratta è stata adottata per la prima volta con la sentenza d'appello, aveva l'onere di precisare quantomeno la fonte processuale delle sue affermazioni, onde consentire allo stesso imputato di contraddire con cognizione di causa. Ed in tal senso, particolarmente generica risulta altresì l'evocazione della "titolarità" da parte del M. di ulteriori case di cura, senza che venga specificato l'effettivo significato della locuzione dispiegata.
6. Venendo alle doglianze proposte con il ricorso presentato nell'interesse della C., manifestamente infondate sono quelle relative alla chiusura della porta della scala che conduceva al sottotetto, censura analoga a quella articolata con il ricorso dell'altro ricorrente e sulla cui inconferenza già si è argomentato sub §3.1.
Infondata è invece l'obiezione per cui la Corte non avrebbe identificato la condotta doverosa omessa, atteso che, come pure si è già detto, entrambe le sentenze di merito in maniera chiara e inequivocabile hanno connesso la tipicità dell'abbandono all'inadeguato dimensionamento numerico del personale impegnato nell'assistenza e nella custodia degli ospiti della struttura. Né, sotto il profilo dell'integrazione dell'elemento oggettivo del reato, il fatto che l'imputata oramai non si occupasse più della gestione "quotidiana" di Villa I. non è certo circostanza idonea ad elidere la titolarità della posizione di garanzia derivante dal mantenimento della carica gestoria nella C. s.r.l. - della quale la C. non era mera socia, come riduttivamente sostenuto nel ricorso - e rafforzata altresì dall'assunzione della funzione di responsabile del servizio ai sensi ed agli effetti della normativa regionale di riferimento ricordata in precedenza (v. supra sub §3.4).
Prive di pregio sono anche le doglianze relative all'asserita repentinità e imprevedibilità dell'allontanamento del R. ed alla presunta negligenza del personale che avrebbe dovuto sorvegliarlo. La prima è in realtà manifestamente infondata, atteso che, come pure si è già osservato, le condizioni di salute della vittima - non contestate nemmeno nel ricorso della C. - imponevano una più serrata vigilanza proprio perché le stesse lo rendevano imprevedibile. Quanto alla seconda, le argomentazioni della ricorrente sono sovrapponibili a quelle dispiegate con il ricorso del M., alla cui confutazione è dunque consentito rinviare (v. supra sub §3.1).
7. E' invece fondato il secondo motivo del ricorso della C.. Come già ricordato per affermare la sussistenza del dolo del reato di cui all'art. 591 c.p. è necessario dimostrare che l'agente abbia conseguito precisa consapevolezza della pericolosità dell'abbandono, requisito tanto più pregnante allorquando, come nel caso di specie, la condotta contestata assume carattere omissivo. La sentenza impugnata, come si è illustrato, ha correttamente ancorato la responsabilità del M. alla positiva dimostrazione della sua coscienza delle criticità registratesi a seguito dell'inadeguata consistenza numerica degli operatori impegnati all'atto della somministrazione dei pasti, ma non ha chiarito in che termini anche la C. fosse stata resa edotta della circostanza o comunque ne fosse altrimenti consapevole, tanto più che i giudici del merito hanno apparentemente avvallato la tesi del progressivo disimpegno dell'imputata dalla gestione attiva della struttura in ragione della sua età avanzata. Perché quella della C. non si riduca ad una mera responsabilità di posizione per un reato doloso, è dunque necessario escludere che ella non abbia omesso di curarsi della organizzazione dell'assistenza degli ospiti, facendo affidamento in proposito sull'operato del M., per mera negligenza o imprudenza e senza avere contezza della già rivelatasi pericolosità della situazione esistente nel momento in cui venivano somministrati i pasti. Necessità ancor più stringente qualora voglia ritenersi il dolo solo eventuale dell'imputata, il quale a maggior ragione, come già ricordato, presuppone la prova della rappresentazione del pericolo generato dall'omessa modifica delle scelte gestionali. E su tale aspetto la carenza della motivazione del provvedimento impugnato appare evidente.
8. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per le medesime ragioni illustrate nel trattare il quarto del ricorso del M., mentre è invece fondato il quarto del ricorso della C. per i motivi già esposti esaminando il terzo di quello del coimputato (v. supra sub §5).
9. In conclusione con riferimento alla posizione della C. la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente all'elemento soggettivo del reato con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise d'appello di Roma ed analogamente deve disporsi in relazione ad entrambi gli imputati con riguardo alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale. Nel resto i ricorsi devono invece essere rigettati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di M. A. e C. N., limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale e, nei confronti della sola C., altresì in relazione all'elemento soggettivo del reato, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Roma. Rigetta nel resto i ricorsi.