Gli attuali ricorrenti, madre e fratello di Tizia, beneficiaria dell'amministratore di sostegno, impugnavano il provvedimento con il quale il giudice tutelare, sollecitato dalla stessa Tizia tramite comunicazione via e-mail, ha sostituito l'amministratore di sostegno.
La Corte d'Appello respingeva il reclamo, rilevando...
Svolgimento del processo
I ricorrenti, madre e fratello di S.D., beneficiaria di amministrazione di sostegno, nonché suoi precedenti amministratori, hanno impugnato il provvedimento con il quale il giudice tutelare, sollecitato dalla stessa beneficiaria tramite comunicazioni via e-mail, ha sostituito l'amministratore di sostegno nominandolo nella persona dell’avv. G.R..
La Corte d'appello ha respinto il reclamo, rilevando che il giudice tutelare ha sostituito l'amministratore facendo riferimento alla volontà espressa dalla beneficiaria che, sebbene affetta da patologia psichiatrica, ha lamentato disagio e difficoltà nel rapportarsi con il fratello e pertanto la sostituzione deve ritenersi adottata con l'intento di tutelare l'amministrata, considerando anche che si sono palesate difficoltà nell'ufficio del giudice tutelare per confrontarsi tempestivamente e interagire con il precedente amministratore.
Avverso il predetto provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione la madre e il fratello della beneficiaria, affidandosi ad un motivo; non costituita l'amministratrice di sostegno.
Motivi della decisione
1.- Con l’unico motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 404 e segg., 413 c.c. nonché dell’art. 1 della legge 6/2004; la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. per omessa motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 comma n. 5) c.p.c., quanto alla motivazione apparente, perplessa ed incomprensibile sul punto del rigetto. I ricorrenti deducono che a far data dal 2018 il fratello, subentrando alla madre, che a sua volta era subentrata al padre deceduto, si era occupato dell'amministrazione e della cura della sorella, nonché della gestione dell'agriturismo di famiglia, intestato alla amministrata per volere della famiglia stessa, depositando rendiconto, nonché istanze atte alla gestione degli immobili di proprietà della sorella, ivi comprese le spese straordinarie. Rilevano che non è stata proposta dalla beneficiaria alcuna formale istanza di revoca dell'amministratore ma risultano soltanto una serie di mail indirizzate al giudice tutelare, con le quali lamentava un difficile rapporto con il fratello. Detto comportamento tuttavia altro non è che la conseguenza della malattia, “disturbo bipolare (fase maniacale con caratteristiche psicotiche)”, mentre di contro il fratello pur onerato da esigenze lavorative aveva sempre cercato di essere presente; egli non si era presentato alle comparizioni fissate dal giudice tutelare per ragioni lavorative avendo dato la disponibilità in giorni diversi da quelli delle disposte comparizioni. I ricorrenti ritengono ingiusta la decisione di affidare a un estraneo la gestione dei beni della amministrata.
2.- Il motivo è infondato.
Preliminarmente, si osserva che è ammissibile il ricorso per cassazione avverso un provvedimento di sostituzione dell'amministratore di sostegno già nominato, qualora in concreto il provvedimento abbia contenuto decisorio per la sua attitudine ad incidere sulla capacità di autodeterminarsi del beneficiario (Cass. sez. un. n. 21985 del 30/07/2021; Cass n. 3600 del 08/02/2024). Ciò avviene ad esempio, qualora si nomini amministratore di sostegno una persona diversa da quella scelta o indicata dal beneficiario stesso, ma anche qualora, come nel caso di specie, il giudice tutelare, assecondando la volontà del beneficiario, sostituisca l'amministratore di sostegno e quest'ultimo deduca che detta volontà non può essere tenuta in conto in quanto sintomo della malattia.
2.1.- Deve qui ricordarsi che l’amministrazione di sostegno è uno strumento volto a proteggere la persona in tutto o in parte priva di autonomia, in ragione di disabilità o menomazione di qualunque tipo e gravità, senza mortificarla e senza limitarne la capacità di agire se non - e nella misura in cui - è strettamente indispensabile; la legge chiama il giudice all’impegnativo compito di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, così da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile con il minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione (Cass. sez. un., 30/07/2021, n.21985 Cass., sez. I 27 settembre 2017, n. 22602, Cass. sez. I, 11 maggio 2017, n. 11536). Introducendo l'amministrazione di sostegno, il legislatore ha dotato l'ordinamento di una misura che può essere modellata dal giudice tutelare in relazione allo stato personale e alle circostanze di vita di ciascun beneficiario e in vista del concreto e massimo sviluppo delle sue effettive abilità. Così l'ordinamento mostra una maggiore sensibilità alla condizione delle persone fragili o con disabilità, è più attento ai loro bisogni e allo stesso tempo più rispettoso della loro autonomia e della loro dignità di quanto non fosse in passato, quando il codice civile si limitava a stabilire una netta distinzione tra soggetti capaci e soggetti incapaci, ricollegando all'una o all'altra qualificazione rigide conseguenze predeterminate. Nell’assolvere a questi compiti di protezione della persona, non è la gravità della malattia o menomazione che deve orientare il giudice, ma piuttosto la idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (Corte Cost. 10/05/2019 n.114; Cass. civ. sez. I 4/03/ 2020, n. 6079; Cass. sez. I del 12 /06/ 2006 n. 13584).
La flessibilità è quindi il tratto distintivo di questa misura di protezione, che non ha una disciplina legale predeterminata in ogni suo aspetto, posto che la normativa lascia ampi spazi di regolamentazione e di adattamento della misura al caso concreto (il c.d. vestito su misura). Il giudice verifica, da un lato, le competenze della persona e cioè le sue capacità e abilità, e, dall’altro, le sue carenze, muovendo dal presupposto che la persona potrebbe essere in grado di autodeterminarsi e di esercitare con sufficiente avvedutezza taluni diritti, ovvero operare in taluni ambiti della vita sociale ed economica, mentre potrebbe non essere abile e competente in altri settori. In esito a tale verifica il giudice, oltre a decidere l’an della misura, deve anche definire e perimetrare i compiti e i poteri dell'amministratore, in termini direttamente proporzionati all’incidenza degli accertati deficit sulla capacità del beneficiario di provvedere ai suoi interessi, di modo che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un'ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona (Cass. 02/11/2022, n.32321).
Si deve inoltre osservare che l'art. 410 c.c. — nella parte in cui impone all'amministratore di sostegno di informare il beneficiario circa gli atti da compiere e, in caso di dissenso, anche il giudice tutelare — dimostra come, in ogni caso, la volontà del beneficiario e le sue opinioni debbano essere tenute in considerazione, pur se ne venga limitata la capacità, e pur se il giudice tutelare dovrà vagliare se detta volontà non si ponga in contrasto con gli interessi primari del beneficiario stesso. Limitare la capacità nella minor misura possibile significa pertanto non soltanto selezionare specificamente gli atti che il beneficiario non può compiere o non può compiere da solo, ma altresì preservare, anche con riferimento a questi atti, il diritto del beneficiario di esprimere la propria opinione e di partecipare, nella misura in cui lo consenta la sua condizione, alla formazione delle decisioni che lo riguardano (Cass. 12/02/2024 n.3751).
L’opinione del beneficiario non può essere considerata minusvalente solo perché espressa da un soggetto fragile, disabile, affetto da malattia psichica, poiché in tal modo si riproporrebbe uno schema rigido fondato su regole predeterminate, spesso desunte da dogmi indimostrati e talora discriminatori; invece di valutare, come richiede un approccio orientato al rispetto dei diritti umani, se nel caso concreto è possibile ed in quale misura rispettare la volontà dell‘interessato senza pregiudizio per i suoi interessi.
Il diritto del beneficiario di essere informato e di esprimere la propria opinione - seppure da sottoporre a vaglio - costituisce pertanto uno spazio di libertà e di autodeterminazione incomprimibile, anche qualora ne venga fortemente limitata la capacità e ciò peraltro in conformità alle indicazioni date dalla nostra Corte costituzionale secondo la quale in nessun caso i poteri dell'amministratore possono coincidere “integralmente” con quelli del tutore o del curatore (Corte Cost. 440/2005), nonché in conformità con le indicazioni date dalla Convenzione di New York del 13/12/2006 sulle persone con disabilità, ove si si riconosce l’importanza della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, nonché l’importanza della accessibilità alla informazione e comunicazione, per consentire alle persone con disabilità di godere pienamente di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali.
2.2.- Da ciò consegue che il giudice tutelare, per garantire questi diritti ed esercitare adeguatamente il dovere di vigilanza anche al fine di modificare o integrare “in ogni tempo” anche di ufficio, le decisioni assunte con il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno (art. 407 quarto comma, c.c.), deve essere in grado di interloquire rapidamente e senza eccessive formalità tanto con l’amministratore quanto con il beneficiario, e anche con i soggetti che operano nella rete di protezione costruita intorno a quest’ultimo (i familiari, i servizi sociali, gli operatori sanitari). Il giudice tutelare è infatti un giudice di prossimità, cui si possono rivolgere istanze anche verbalmente (art. 43 disp. att. c.c.) e non necessariamente con la intermediazione della difesa tecnica; ed è un giudice cui il beneficiario deve potersi rivolgere facilmente, come peraltro rivela la scelta legislativa di determinare la competenza territoriale non già in relazione al luogo di residenza dell’amministratore ma a quello dello stesso beneficiario. Sul punto, questa stessa Corte ha precisato che la competenza territoriale si radica con riferimento alla dimora abituale del beneficiario e non alla sua residenza, in considerazione della necessità che egli interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste, anche successivamente alla nomina dell'amministratore (Cass. n. 23772 del 11/10/2017; Cass. n. 19431 del 17/09/2020).
3.- Così disegnato il quadro complessivo, se ne possono trarre alcune conclusioni.
La prima: il beneficiario può manifestare le proprie esigenze al giudice tutelare anche con modalità di comunicazione informali, come ad esempio con posta elettronica non certificata, e che non è necessario che dette comunicazioni si esprimano nei termini di una specifica e formale istanza, purché idonee a portare a conoscenza del giudice tutelare il punto di vista dell’interessato.
La seconda: il giudice tutelare è tenuto a valutare e a tenere in considerazione le esigenze espresse dal beneficiario, ancorché affetto da malattia psichiatrica o disabilità, muovendo dal principio che la libera autodeterminazione del soggetto deve essere rispettata nei limiti del possibile, nei limiti cioè in cui essa non arrechi pregiudizio alla persona stessa; in questa valutazione deve guardarsi non già a quella che è la migliore soluzione per la amministrazione dei beni ma quella che è la migliore soluzione per il benessere della persona.
4.- Nel caso di specie, la Corte d'appello si è attenuta a questi principi, tenendo in considerazione la volontà espressa dalla beneficiaria ma anche riscontrando che il circuito della comunicazione tra beneficiaria e amministratore e tra giudice tutelare e amministratore di sostegno era carente. Non può dirsi pertanto che il giudice tutelare e la Corte non abbiano considerato che la manifestazione di volontà proveniva da un soggetto affetto da una patologia; correttamente invece hanno ritenuto che questa circostanza non è di per sé è idonea ad escludere la rilevanza della volontà, dovendosi piuttosto valutare la specifica situazione; in concreto, i giudici di merito hanno individuato un riscontro oggettivo ai disagi e le difficoltà nel rapportarsi con il fratello lamentati dalla beneficiaria, posto che anche l’ufficio del giudice tutelare incontrava pari difficoltà a confrontarsi tempestivamente e interagire con l’amministratore.
La motivazione, nella sua chiarezza e linearità è quindi certamente idonea a rendere note le ragioni della decisione ed è perfettamente coerente con i principi sopra delineati.
Quanto al resto, si tratta di un giudizio di merito del quale in questa sede non può sollecitarsi la revisione.
Ne consegue il rigetto del ricorso; nulla sulle spese in difetto di attività difensiva della controparte.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti.