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2 aprile 2024
“Fuzzificare” il discorso giuridico: "non proprio vero, non proprio falso"
Si tratta di logiche condivise nel linguaggio comune e rese computabili, fra le altre applicazioni, nella diagnostica medica; nel diritto invece?
di Avv. Francesco G. Capitani
L'impatto dell'AI nel diritto potrebbe imporre una svolta per la produttività dello studio legale: la macchina, interrogata dall'utente, fornirebbe un responso più o meno fedele ai precedenti sulla materia; ma si potrebbe fare di più, è possibile trovare un campo comune fra le scienze giuridiche e le scienze analitiche in modo che, in un'ottica futuribile, sia possibile trasporre il ragionamento giuridico nelle logiche computazionali sottostanti a software e applicativi informatici? Oppure i linguaggi computazionali sono troppo distanti dalle ermeneutiche giuridiche per consentirne una riproduzione formale?
Vanno chiariti scopi e obbiettivi.
In genere l'intelligenza artificiale è ritenuta uno strumento per risparmiare tempi e risorse, le machine learning pescano fra i precedenti, associano più dati fra quelli inseriti dagli utenti e forniscono una soluzione o una risposta (ad esempio, se i giudici ritengano configurato un reato alla presenza di determinate condizioni note all'utente); sarà possibile anche avere più soluzioni perché la macchina ha inteso combinare in modo diverso i dati inseriti (sconosciuto all'utente l'algoritmo sottostante) e non segue logiche strettamente condizionali.
Le logiche formali debbono invece essere consistenti (cioè immuni alle contraddizioni) e non accettano sacche di arbitrarietà che possano condurre certe volte a una soluzione e altre volte alla soluzione opposta; se, nel migliore dei mondi possibili, fosse applicata una logica computazionale al ragionamento giuridico (c.d. coding giuridico) ne gioverebbe la leggibilità del tratto giudiziario, la sofisticatezza della soluzione giuridica (siccome rappresentata formalmente, sarebbe continuamente sottoposta a prove di resistenza in grado di individuarne i profili critici) e la certezza del diritto, finalmente consegnata a interpreti informati alla necessità di dover rendere conto del ragionamento giuridico utilizzato.
Occupiamoci, per ora, di quest'ultime.
Ancora “positivisti contro realisti”
Le resistenze sono fortissime.
Formalizzare il ragionamento giuridico minerebbe l'umanità del ragionamento e la sottile capacità dell'interprete di sentire le sfumature (si pensi all'ascolto di un testimone in un processo penale); fra i tradizionalisti della specialità giuridica e i formalisti è in atto una battaglia assai precedente all'introduzione dell'intelligenza artificiale e riedita, sotto mutate spoglie, la querelle di vecchia data fra positivisti e realisti del diritto; per i primi, se un residuo di arbitrarietà nella decisione giudiziale può essere ammesso, formalizzare il ragionamento giuridico aspira all'esattezza e alla verificabilità, incrementa la qualità del sillogismo giudiziario e di seguito la credibilità presso la collettività di riferimento (si pensi alla soddisfazione del cittadino nel sapere, prima che inizi una vertenza giudiziaria, quali sono le possibilità di vincere in un processo).
E' però possibile formalizzare il diritto?
Monta il sospetto nei confronti di un linguaggio formale classico ridotto alle alternative “Sì” o “No” (oppure “On”, “Off”, si tratta della logica booleana); l'applicazione della norma giuridica richiederebbe, all'opposto, valutazioni più imprecise (quali il “Forse sì”, si pensi all'oltre ogni ragionevole dubbio per condannare ex art. 533 c.p.p.); esistono infatti alcune logiche non classiche (per cui un fatto può essere ipotizzato “sia vero sia falso”, anche in termini percentuali) in grado di contemplare valori di verità sfumati o vaporosi.
“Né proprio vero, né proprio falso”
Ecco la logica “fuzzy”, un tipo di logica non bivalente (non classica, perché nega il principio del “terzo escluso”, e ammette che un dato possa essere sia vero sia falso); questo tipo di logica è formulabile algebricamente e mediante rappresentazione su asse cartesiano; consente, nei suoi sviluppi più sofisticati, anche di formulare operazioni che il giurista adotta nell'elaborazione del ragionamento giuridico, cioè la congiunzione fra parti del ragionamento (si pensi a tutti i reati contro la pubblica amministrazione, in cui la qualifica ex art. 357 c.p. dell'agente di reato quale incaricato di pubblico servizio o pubblico ufficiale deve verificarsi congiuntamente alla condotta di reato), la disgiunzione ovvero l'implicazione (a.e.: il nesso casuale fra la condotta omissiva e l'evento, ai sensi dell'art. 40 c.p. ); in tutte queste ipotesi la logica “fuzzy” associa un valore di verità compreso fra 0 e 1 a ognuna delle parti del ragionamento e le combina, per verificare “quanto sia vera” (e, di conseguenza, opportuna) la conclusione (se di condanna o di assoluzione, nel caso del processo penale, o di configurazione della norma giuridica, negli altri casi).
Ma non è niente di nuovo.
Si tratta di logiche sottostanti al linguaggio comune e rese computabili, fra le altre applicazioni, nella diagnostica medica (è in gioco la vita delle persone, di valore costituzionale); se nel diritto riposa una componente valutativa, un fatto, una premessa o un dato potrebbero essere veri o falsi (seguendo la logica fuzzy, gradatamente veri o gradatamente falsi) e risulta insufficiente un sistema formale classico di tipo booleano (v. sopra) che riduce alle sole certezze di verità o di falsità la possibilità di una rappresentazione formale del ragionamento giuridico; la componente valutativa potrebbe essere sistematizzata, ordinata, formalizzata, nei termini che la logica fuzzy propone, ad esempio giungendo a una probabile o quasi certa conclusione fissato il grado di verità delle premesse o delle componenti costitutive di una fattispecie tipica.
Un esempio? Si pensi alla logica della prova indiziaria nel processo penale; l'art. 192 c.p.p. richiede la gravità, la precisione e la concordanza degli indizi probanti un fatto; dunque un certo grado di gravità, precisione e concordanza fra indizi combinabili (la cui verità è solo probabile) vengono sunti dal giudice, oggi, mediante conoscenza opinabile e personale e, un domani, da una macchina affinata al calcolo delle probabilità (la più vicina alle logiche fuzzy, in quanto tratta verità solo probabili comprese fra 0 e 1); se tante sono le incertezze sulle premesse, se individuato un valore che le rappresenti (0,2, ad esempio), la matematica è in grado di combinare i dati noti per ricavare un dato ignoto; si obbietterà: “è solo una sequenza di numeri”, ma la sequenza consente lo svisceramento dei nessi logici (sottostanti a qualsiasi pensiero, anche a quello che preferisca definirsi sensibile e sentimentale), svelarne le ragioni e mettere a nudo le trappole del ragionamento (c.d. bias cognitivi) del ragionamento, prima che ci pensi un accorto giudice dell'impugnazione con spreco di tempo e di economie processuali.
Di nuovo è solo la computazione.
Premesse le potenzialità delle logiche formali (classiche o non classiche), sono presenti in letteratura tentativi di categorizzazione (astratta) del discorso giuridico, ma ancora poco sulla computabilità che consentirebbe, mediante una macchina e un linguaggio formale (fra i tanti elaborati da ingegneri e sviluppatori), di superare l'astrazione e di giungere, fatte le premesse particolari, alla conclusione qui e ora in relazione a uno specifico caso dato in pasto alla macchina, proprio quello che si attende da una AI che impatti nel discorso giuridico.
Ma delle due l'una, quel che non è formalizzabile potrebbe rivelarsi emotivo (dunque imponderato); quel che non è verificabile (pur libero) è arbitrario e costituisce comunque l'esito di un procedimento deliberativo, dunque di una scelta di valore (più o meno condivisibile) da parte di chi prende una decisione, di cui, per i tradizionalisti, sarebbe doveroso escludere qualsiasi indagine formale; ma non è primario l'interesse di chi giudica o di chi pensa il diritto, riservando a sé uno spazio deliberativo non ponderato sottratto a verifica (ad esempio, il libero convincimento giudiziale); conta di più l'affidamento dei cittadini nei confronti di un sistema decisionale non umorale, prevedibile, di cui la logica computazionale può rivelarsi sentinella, e di cui l'intervento umano è timoniere in acque placide, sgomberate dalle mutevolezze di nervosi orientamenti giudiziali.
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