La Cassazione risponde affermativamente, evidenziando però che in tal caso i giudici devono segnalare la questione alle parti ed attivare quindi il contraddittorio.
L'amministratore di sostegno conveniva in giudizio la moglie del suo assistito per sentire dichiarare la nullità delle nozze perché celebrate quando l'assistito era incapace di intendere e di volere, tenuto conto che nell'ambito del procedimento culminato con la sua nomina era stata esperita una CTU le cui operazioni, che avevano riscontrato le condizioni per l'interdizione del periziando, si erano concluse dopo la celebrazione del matrimonio.
La convenuta si costituiva in giudizio opponendosi alla domanda ed evidenziando il legame sentimentale sussistente con il marito da oltre trent'anni.
Il Tribunale di Lucca rigettava l'opposizione alla celebrazione del matrimonio proposta dal P.M.. Nel frattempo, la figlia del beneficiario spiegava intervento volontario ad adiuvandum associandosi alla domanda di annullamento del matrimonio.
Il Tribunale accoglieva la domanda dell'attore e dichiarava nullo il matrimonio, stante l'incapacità di intendere e di volere dello sposo al momento della celebrazione.
A seguito di gravame, però, la Corte d'Appello lo accoglieva affermando, in particolare, l'assenza ab initio di una legittimazione attiva dell'amministratore di sostegno ad impugnare il matrimonio
La figlia del beneficiario si rivolge alla Corte di Cassazione, assumendo che il Giudice non avrebbe potuto rilevare, né dichiarare d'ufficio, il presunto difetto di legittimazione attiva dell'amministratore di sostegno per asserita carenza di autorizzazione del giudice tutelare, osservando come la questione fosse stata pacificamente risolta dalla sentenza impugnata, essendosi formato il giudicato nel passaggio dal primo al secondo grado di giudizio. Inoltre, il Giudice avrebbe dovuto attivare comunque il contraddittorio sulla questione, anziché porla a fondamento della decisione “a sorpresa”.
Con l'ordinanza n. 8088 del 26 marzo 2024, la Cassazione dichiara fondati i motivi di ricorso, rimarcando che a norma dell'
Ciò significa che l'eccezione di carenza di legittimazione processuale dell'amministratore di sostegno poteva ben essere sollevata d'ufficio dai Giudici di secondo grado, ma nello statuire sulla questione gli stessi avrebbero dovuto segnalare la questione alle parti ed attivare quindi il contraddittorio. Tale obbligo è riconducibile all'
Nel caso in esame, alla rilevazione d'ufficio dell'assenza della necessaria autorizzazione del giudice tutelare all'amministratore di sostegno non è seguita l'attivazione del contraddittorio tra le parti, precludendo all'appellante l'esercizio del potere di allegazione e di prova, derivandone la nullità della sentenza fondata sulla medesima questione. Se fosse stato attivato, infatti, l'attuale ricorrente avrebbe fatto presente che l'autorizzazione richiesta era stata allegata dall'amministratore di sostegno fin dall'atto di citazione di primo grado, circostanza che avrebbe indubbiamente comportato un diverso sviluppo della lite.
Gli Ermellini cassano quindi la sentenza impugnata rinviando gli atti ai Giudici di secondo grado.
Svolgimento del processo
1. Con atto ritualmente notificato il 5 aprile 2017, l'Avv. D.D., quale amministrazione di sostegno di B.B., citò C.C. innanzi al Tribunale di Lucca per sentire dichiarare la nullità del matrimonio celebrato tra questi ultimi in data 24 febbraio 2016, per incapacità di intendere e di volere di B.B., ai sensi dell'art. 120 cod. civ.. Espose che: i) nel procedimento per la nomina di amministratore di sostegno (nomina avvenuta il 21 novembre 2016) in favore di quest'ultimo, era stata disposta una consulenza tecnica di ufficio le cui operazioni peritali erano iniziate nell'ottobre 2015 e si erano concluse nel luglio 2016, successivamente alla celebrazione del matrimonio; ii) il nominato c.t.u. (dott. E.E.) aveva riscontrato non soltanto i presupposti per la nomina di un amministratore di sostegno, bensì anche le condizioni per l'interdizione del periziando, mediante ampio riferimento alla sua storia clinica nei cinque anni antecedenti la perizia (2011-2016) ed aveva evidenziato un "quadro di diffusa sofferenza ischemica cronica, corresponsabile dei disturbi afasici ed atrofia tetra ventricolare", riconducibile ad una patologia degenerativa con danno e morte di popolazioni di neuroni della corteccia fronto-temporale.
1.1. Si costituì la convenuta, opponendosi all'avversa domanda. Rimarcò di essere sentimentalmente legata, da oltre trent'anni, all'B.B., con cui aveva convissuto more uxorio da più di venticinque anni, e che, con provvedimento del 5 febbraio 2016, passato in giudicato, il Tribunale di Lucca aveva rigettato l'opposizione alla celebrazione del matrimonio, proposta dal Pubblico Ministero, tenuto conto degli esiti della consulenza tecnica di ufficio disposta in quel giudizio, la quale, pur avendo riscontrato che l'B.B. soffriva di demenza fronto-temporale, lo aveva comunque ritenuto "capace di assumere decisioni consapevoli nel proprio interesse con riferimento alla decisione di contrarre matrimonio, risultando capace di comprendere la natura e le conseguenze del matrimonio, nonché di volerlo liberamente e consapevolmente". Nessuna rilevanza, inoltre, avrebbe dovuto essere attribuita alla relazione del consulente incaricato nel procedimento per la nomina di amministratore di sostegno, sia perché il procedimento era stato instaurato dalla figlia e dal genero dell'B.B. solo una volta venuti a conoscenza della volontà dello stesso di contrarre matrimonio, sia perché, in tale sede, non erano state valutate le osservazioni del consulente di parte convenuta.
1.2. Nel giudizio così instaurato, spiegò intervento volontario ad adiuvandum A.A., figlia di prime nozze di B.B., associandosi alla domanda di annullamento del matrimonio ex art. 120 cod. civ. e depositando documentazione sanitaria.
1.3. Espletata l'istruttoria, nel corso della quale fu disposta ed effettuata una consulenza medica, ed ordinata la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero giusta l'art. 70, comma 1, n. 2, cod. proc. civ., l'adito tribunale, con sentenza del 4 aprile 2020, n. 321, ritenuto ammissibile l'intervento di A.A., accolse la domanda di parte attrice e dichiarò la nullità del matrimonio contratto fra B.B. e C.C. stante l'incapacità di intendere e di volere dello sposo al momento delle nozze.
2. Con ritualmente notificato, il 2 luglio 2020, all'amministratore di sostegno di B.B., in qualità di appellato, ed a A.A., in qualità di terza interveniente, C.C. propose gravame contro la suddetta decisione innanzi alla Corte di appello di Firenze. Entrambi gli appellati si costituirono chiedendo il rigetto dell'avversa impugnazione.
2.1. Il 24 dicembre 2020 morì B.B. ed in pari data cessò dall'incarico il suo amministratore di sostegno, Avv. D.D..
2.2. Con dichiarazione del 18 gennaio 2021, l'appellante C.C. diede atto, ai sensi e per gli effetti degli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., della verificazione di tali eventi interruttivi e, alla successiva udienza del 4 maggio 2021, la corte di appello interruppe il giudizio.
2.3. La C.C., pertanto, lo riassunse nei confronti di A.A., quale chiamata all'eredità dell'appellato principale, nonché unica titolare, ex art. 127 cod. civ., della legittimazione a contraddire in relazione alla corrispondente controversia, e quest'ultima - già parte del giudizio in proprio, quale terza interventrice - si costituì anche nella indicata qualità, chiedendo "in accoglimento delle conclusioni originariamente dispiegate dall'appellato", il rigetto dell'appello.
2.4. Con sentenza del 7 novembre 2022, n. 2458, l'adita corte fiorentina ritenne che il gravame della C.C. meritasse "accoglimento sotto plurimi motivi gradati l'uno rispetto all'altro", revocando, dunque, la statuizione di primo grado.
2.4.1. In particolare: i) affermò essere "assente ab inizio la legittimazione attiva dell'amministratore di sostegno ad impugnare di nullità il matrimonio ex art. 120 c.c.". Richiamati, infatti, "gli approdi condivisibili della giurisprudenza" circa la possibilità per l'amministratore di sostegno, con l'autorizzazione del giudice tutelare, di impugnare, ex art. 120 cod. civ., il matrimonio per incapacità del beneficiario, opinò che, "nel caso di specie, deve rilevarsi l'assenza di qualsiasi potere conferito sul punto all'ads, essendo in atti solo il decreto di nomina dell'amministratore con indicazione dei suoi poteri che costituivano un elenco di poteri aventi a che fare con l'amministrazione del patrimonio, ma mai con l'esercizio di diritti personalissimi quali quello azionato (v. decreto del GT 21.11.2016). Né vi è alcuna menzione di un provvedimento nel senso indicato richiesto al GT che, in ogni caso, avrebbe comportato la valutazione dell'interesse del beneficiario alla impugnazione de qua. In sintesi, era assente in capo all'amministratore il potere di impugnare il matrimonio, potere che non gli è conferito dalla legge né che gli era conferito dal g.t. (che comunque avrebbe dovuto prendere un provvedimento motivato sul punto). Se era carente la legittimazione ad agire, era ancor più carente l'interesse ad intervenire della figlia del de cuius A.A., essendo ovvio che, non esistendo la azione principale, non può esistere nemmeno l'azione ad adiuvandum. Andava, quindi, dichiarato il difetto di legittimazione dell'amministratore di sostegno e il difetto di interesse ad intervenire della A.A. con conseguente inammissibilità della azione"; ii) considerò, inoltre, che, "Anche laddove si voglia ritenere sussistente la legittimazione ad agire, e ciò atteso che la questione non è stata oggetto di discussione in I grado e non è stata oggetto di allegazione in questo grado (cosicché non può essere oggetto di esame di ufficio in questa sede), con conseguente verosimile interesse della figlia del de cuius ad intervenire ai sensi dell'art. 105 c.p.c., quale titolare di una posizione giuridica dipendente e suscettibile di essere lesa (il patrimonio da ereditare in concorso o senza concorso della seconda moglie del padre), e conferma sul punto della sentenza, deve tuttavia rilevarsi che, dopo la morte dell'B.B., la causa non poteva essere riassunta nei suoi confronti ed ella (cioè, la figlia ed unica erede dell'B.B.. Ndr), non aveva alcuna legittimazione passiva proprio per i limiti insiti nella figura dell'interventore adesivo dipendente i quali sono strettamente avvinti alla posizione dell'adiuvato, non godendo egli di alcun potere processuale autonomo. In conseguenza, una volta morto l'impugnante, nessuna legittimazione sussisteva per la di lui figlia non diversamente da quanto succede nel caso di divorzio che si interrompe rectius in cui viene a cessare la materia del contendere, per morte del coniuge"; iii) concluse, infine, che, "Per le ragioni sino ad ora sviluppate, deve dichiararsi la cessazione della materia del contendere tra le parti con revoca della sentenza di I grado", ponendo le spese di causa, "anche valutato il comportamento processuale della parte attuale convenuta, a suo integrale carico per entrambi i gradi.
3. Per la cassazione dell'appena descritta sentenza ha proposto ricorso A.A., "in qualità di unica erede del dott. B.B.", affidandosi a quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.. Ha resistito, con controricorso, C.C..
3.1. La Prima Sezione civile di questa Corte, investita della trattazione del procedimento, con ordinanza interlocutoria del 6/10 ottobre 2023, n. 28316, ritenuto necessario, per le ragioni ivi esposte, disporre la integrazione del contraddittorio nei confronti del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Firenze, ha disposto che la A.A., nella indicata qualità, procedesse al corrispondente adempimento, assegnandole il relativo termine, ed ha rinviato la causa all'adunanza camerale del 21 marzo 2024, in vista della quale la menzionata ricorrente ha depositato ulteriore memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
1. È opportuno ribadire che, come si è già rimarcato nella menzionata ordinanza interlocutoria n. 28316 del 2023, l'avvenuta proposizione, da parte di A.A., nella indicata qualità, anteriormente all'odierno ricorso, di una impugnazione per revocazione, ex art. 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., della descritta sentenza della corte fiorentina non influisce sulla decisione rimessa a questa Corte. Difatti, il testo vigente dell'ultimo comma dell'articolo 398 cod. proc. civ. ha escluso che la proposizione della revocazione possa automaticamente sospendere il termine per proporre il ricorso per cassazione o il relativo procedimento, richiedendosi allo scopo un apposito provvedimento del giudice innanzi al quale è stata promossa la revocazione: ne consegue che, in mancanza di tale provvedimento, i due giudizi procedono in via autonoma, potendo il ricorso per cassazione essere discusso anche prima che giunga la decisione sull'istanza di sospensione ex art. 398, ultimo comma, cod. proc. civ. (cfr. Cass. n. 12993 del 2023; Cass. n. 21830 del 2021; Cass., SU, n. 9776 del 2020; Cass. n. 22902 del 2005. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche Cass., SU, n. 21874 del 2019 e Cass. n. 18913 del 2020).
2. I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) "Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 81, 161, 324, 329, 342 e 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c.". Si assume che la corte d'appello non avrebbe potuto rilevare, né dichiarare d'ufficio, il presunto difetto di "legittimazione attiva" dell'amministratore di sostegno per asserita carenza dell'autorizzazione del giudice tutelare, in quanto la relativa questione era stata risolta affermativamente dalla sentenza impugnata, era pacifica in causa e non era oggetto dei motivi di appello della soccombente C.C. e, pertanto, riguardo ad essa nel passaggio tra il primo ed il secondo grado si era formato il giudicato interno;
II) "Violazione e falsa applicazione dell'art. 101, comma 2, c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c.". Si deduce che, in ogni caso, la corte d'appello ha violato l'art. 101, comma 2, cod. proc. civ., in quanto, nella impugnata sentenza, ha rilevato d'ufficio, ponendola - "a sorpresa" - a fondamento della decisione, la predetta questione (mista, di fatto e di diritto), senza attivare il contraddittorio tra le parti su di essa e, così facendo, non ha consentito alle parti di esercitare i conseguenti poteri difensivi;
III) "Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 75, comma 2, 81 e 182, comma 2, c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c.". Si sostiene che la sentenza è comunque incorsa in un error in iudicando de iure procedendi, perché la corte territoriale, rilevato il (presunto) difetto di autorizzazione dell'amministratore di sostegno, avrebbe dovuto disporre la sanatoria del vizio ai sensi dell'art. 182, comma 2, cod. proc. civ., e non avrebbe potuto dichiarare de plano il difetto ab origine di una condizione per la decisione nel merito della domanda, senza consentire alla parte interessata di attuare la sanatoria;
IV) "Violazione e falsa applicazione dell'art. 127 c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3) e n. 4), c.p.c.". Si ascrive alla corte distrettuale di avere ritenuto, erroneamente, che la morte, in corso di giudizio, del coniuge che ha proposto l'azione di impugnazione del matrimonio ex art. 120 cod. civ. determini la cessazione della materia del contendere. Infatti, l'art. 127 cod. civ. consente all'erede del coniuge defunto di proseguire il giudizio di impugnazione del matrimonio, come avvenuto nel caso di specie.
3. I primi tre motivi di ricorso, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi, tutti investendo la prima delle due rationes decidendi rinvenibili nella decisione impugnata (cioè la ritenuta carenza di "legittimazione attiva dell'amministratore di sostegno ad impugnare di nullità il matrimonio ex art. 120 c.c."), si rivelano fondati nei limiti di cui appresso.
3.1. innanzitutto, non merita seguito l'assunto della C.C. secondo cui si tratterebbe di doglianze da farsi valere con il diverso strumento della revocazione (cfr. pag. 6-7 del suo controricorso). Quelli ivi prospettati, infatti, sono chiaramente errori di diritto, sub specie di violazione di legge processuale, come tali certamente denunciabili in questa sede.
3.2. È innegabile (lo riferisce la stessa sentenza impugnata. Cfr. pag. 15), poi, che né in primo grado, né in appello, la questione della legittimazione dell'amministratore di sostegno era stata posta dalle parti.
3.2.1. Assume oggi la A.A. che, "con ogni evidenza, la Corte d'appello, per "legittimazione attiva" ha inteso riferirsi non alla legittimazione ad agire (art. 81 c.p.c.), bensì alla cd. legittimazione processuale (ex artt. 75 e 182 c.p.c.), dato che è sotto quest'ultimo profilo che rileva il (presunto) difetto del provvedimento di autorizzazione del giudice tutelare all'amministratore di sostegno" (cfr. pag. 13 del ricorso).
3.2.2. Orbene, osserva il Collegio che la Corte d'appello ha rilevato "La assenza di qualsiasi potere conferito sul punto all'ads, essendo in atti solo il decreto di nomina dell'amministratore con indicazione dei suoi poteri che costituivano un elenco di poteri aventi a che fare con l'amministrazione del patrimonio, ma mai con l'esercizio di diritti personalissimi quali quello azionato" (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata), ma non - secondo la stessa - il provvedimento di autorizzazione del giudice tutelare necessario per il valido esercizio dell'azione ("Né vi è alcuna menzione di un provvedimento nel senso indicato richiesto al GT che, in ogni caso, avrebbe comportato la valutazione dell'interesse del beneficiario alla impugnazione de qua. In sintesi, era assente in capo all'amministratore il potere di impugnare il matrimonio, potere che non gli è conferito dalla legge né che gli era conferito dal g.t. (che comunque avrebbe dovuto prendere un provvedimento motivato sul punto). Se era carente la legittimazione ad agire, era ancor più carente l'interesse ad intervenire della figlia del de cuius A.A., essendo ovvio che, non esistendo la azione principale, non può esistere nemmeno l'azione ad adiuvandum. Andava quindi dichiarato il difetto di legittimazione dell'amministratore di sostegno e il difetto di interesse ad intervenire della A.A. con conseguente inammissibilità della azione". Cfr. pag. 14-15 della medesima sentenza).
3.2.3. Va rimarcato, allora, che l'amministratore di sostegno, a norma dell'art. 404 cod. civ., "assiste" la persona amministrata e, applicandosi (ai sensi dell'art. 411, comma 1, cod. civ.), l'art. 374 cod. civ., può "5) promuovere giudizi (...)", ma, a tal fine, deve ottenere "l'autorizzazione del giudice tutelare". Ciò consente di considerare condivisibile l'assunto della ricorrente secondo cui, venendo in rilievo la (ritenuta) mancanza dell'autorizzazione del giudice tutelare, tale difetto integra un vizio processuale non già di difetto di legittimazione ad agire (legitimatio ad causam), bensì, appunto, di difetto di autorizzazione in capo all'amministratore di sostegno e, dunque, di capacità processuale (cd. legittimazione processuale): l'amministratore di sostegno, al fine del valido compimento degli atti processuali, primo tra tutti la proposizione della domanda giudiziale, deve essere autorizzato dal giudice tutelare.
3.2.4. Come si legge nella motivazione di Cass. n. 12568 del 2021 (resa in fattispecie concernente un'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori in cui si trattava di verificare, anche d'ufficio, la sussistenza della deliberazione assembleare che tale azione aveva approvato: verifica da svolgersi in via preliminare, "costituendo quella deliberazione un presupposto (ancorché suscettibile di successiva regolarizzazione ex tunc) che attiene alla legittimazione di colui che ha agito nel processo, ossia alla stessa efficacia della costituzione in giudizio della società in nome e per conto della quale l'azione di responsabilità è stata esercitata (Cass. 11 novembre 1996, n. 9849): infatti, la legittimazione processuale del legale rappresentante della società necessita, nell'ipotesi di azione sociale di responsabilità, di un indispensabile presupposto, costituito dalla deliberazione assembleare, che ha dunque la funzione di un elemento integratore di detta legittimazione processuale (sent. cit., in motivazione; in termini analoghi, cfr. Cass. 6 giugno 2003, n. 9090, ..."), "L'inerenza della questione in oggetto al tema della legittimazione processuale importa che la questione, incidente sulla regolare costituzione del rapporto processuale, possa essere rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, salvo il giudicato interno formatosi sul punto (sul regime delle questioni relative alla legittimazione processuale possono citarsi risalenti arresti di questa Corte: Cass. 23 aprile 1969, n. 1285; Cass. 7 dicembre 1977, n. 5307; Cass. 21 giugno 1979, n. 3461; più di recente, con riguardo a un particolare profilo di legitimatio ad processum: Cass. Sez. U. 16 novembre 2009, n. 24179; Cass. 31 luglio 2015, n. 16274). Il giudicato interno, nella fattispecie in esame, non risulta essersi poi formato, dal momento che nel precorso giudizio di merito non si è dibattuto della suddetta legittimazione (cfr., se pure in tema di legittimazione ad agire, Cass., Sez. U, 20 marzo 2019, n. 7925, secondo cui la decisione della causa nel merito non comporta la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione ad agire ove tale quaestio juris, pur avendo costituito la premessa logica della statuizione di merito, non sia stata sollevata dalle parti, posto che una questione può ritenersi decisa dal giudice di merito soltanto ove abbia formato oggetto di discussione in contraddittorio)".
3.2.5. Stando a questa pronuncia, dunque, può sostenersi, ragionevolmente, che, contrariamente a quanto oggi ritenuto dalla ricorrente nel suo primo motivo, l'eccezione di carenza di legittimazione processuale dell'amministratore di sostegno (per asserita carenza del provvedimento autorizzativo del giudice tutelare) poteva essere sollevata di ufficio dalla corte di appello, non trovando ostacolo nella mancata proposizione della impugnazione della sentenza di primo grado sul punto, mai essendosi discusso specificamente, in quella sede di detta questione.
3.2.6. Quella corte, tuttavia (così passandosi, più specificamente, al secondo motivo), una volta rilevata, di ufficio, la carenza di legittimazione processuale di cui si discute solo in sede di decisione, nello statuire immediatamente sulla relativa questione ha violato l'art. 101, comma 2, cod. proc. civ., in quanto, ai sensi di questa disposizione, avrebbe dovuto segnalare la questione stessa alle parti ed attivare il contraddittorio nei modi e nelle forme da essa previste.
3.2.7. Come è noto, l'obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d'ufficio, stabilito dall'art. 101, comma 2, cod. proc. civ., non riguarda le questioni di diritto ma quelle di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, che richiedono non una diversa valutazione del materiale probatorio bensì prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti ovvero un'attività assertiva in punto di fatto e non già solo mere difese (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 822 del 2024; Cass. n. 21314 del 2023; Cass. n. 1617 del 2022).
3.2.8. Ad avviso di questo Collegio, dunque, la ritenuta (dalla corte territoriale) necessità, per l'amministratore di sostegno che esperisca azioni nell'interesse del beneficiario della misura, di dover documentare la sussistenza del corrispondente potere, pur costituendo una questione di diritto, implica, altresì, accertamenti di fatto, presupponendo, appunto, la dimostrazione dell'esistenza di detto potere.
3.2.9. Ne consegue che, nella specie, la rilevazione d'ufficio, da parte del giudice d'appello, della (asserita) carenza della necessaria autorizzazione del giudice tutelare all'amministratore di sostegno, non essendo stata seguita dall'attivazione del contraddittorio tra le parti, ha privato l'appellante del potere di allegazione e di prova, così da comportare, pertanto, la nullità della sentenza fondata sulla medesima questione, per violazione del diritto di difesa, posto che la parte che oggi ha inteso dolersene ha pure prospetto le concrete ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato (cfr. Cass. n. 21314 del 2023).
3.2.10. In altri termini, se la corte di appello avesse segnalato la questione alle parti, l'odierna ricorrente avrebbe fatto presente che la sussistenza della autorizzazione era stata allegata dall'amministratore di sostegno sin dall'atto di citazione in primo grado (ivi, a p.1, All. E), e che, unitamente ad essa, aveva prodotto, quale doc. 2, il decreto di autorizzazione del giudice tutelare, all'uopo depositandolo al momento della costituzione in giudizio (All. D e All. D.1); e, se richiesta dalla Corte, la medesima ricorrente avrebbe comunque potuto acquisire il decreto di autorizzazione e (ri)produrlo in giudizio (ai fini della sanatoria del vizio di autorizzazione eventualmente ritenuto esistente ai sensi dell'art. 182, comma 2, cod. proc. civ., ricordandosi che "La preclusione alla produzione di nuovi documenti prevista dall'art. 345 c.p.c. deve intendersi riferita soltanto a quelli che attengono al merito della domanda e non vale per quelli utili a dimostrare la legittimazione processuale che è governata dall'art. 182 c.p.c. secondo il quale le invalidità derivanti dal difetto di capacità processuale possono essere sanate anche di propria iniziativa dalle parti con la regolarizzazione della costituzione in giudizio di quella cui la carenza si riferisce". Cfr. Cass. n. 17062 del 2019).
3.2.11. Si trattava, peraltro (giusta quanto si legge nella stessa sentenza impugnata circa il fatto che mai la questione era stata in precedenza sollevata), certamente di una circostanza, che, modificando il quadro fattuale, comportava un nuovo sviluppo della lite non preso in considerazione dalle parti del tutto incolpevolmente. Sussiste, quindi, l'ulteriore requisito per l'applicazione dell'art. 101, comma 2, cod. proc. civ., cui sovente questa Corte fa riferimento: "Inoltre si osserva che la giurisprudenza di questa Corte interpreta l'art. 101 c.p.c., comma 2, come riferibile solamente alla rilevazione d'ufficio di circostanze che, modificando il quadro fattuale, comportino nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti" (cfr. Cass. n. 10062 del 2010; Cass. n. 11928 del 2012; Cass. n. 11453 del 2014; Cass., n. 7356 del 2022). Significativa, del resto, si rivela pure, nel medesimo senso sostanziale, Cass., SU, n. 37434 del 2022, in cui, alle pagine 23 e ss. della motivazione, si osserva che "Costituisce fermo arresto l'affermazione secondo la quale l'omessa indicazione alle parti di una questione di fatto oppure mista di fatto e di diritto, rilevata d'ufficio, sulla quale si fondi la decisione, priva le parti del potere di allegazione e di prova sulla questione decisiva e, pertanto, comporta la nullità della sentenza (cd. della "terza via" o a sorpresa) per violazione del diritto di difesa, tutte le volte in cui la parte che se ne dolga prospetti, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto fare valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato (Sez. 2, n. 11440, 30/4/2021, Rv. 661095, conf., ex multis, Cass. n. 11308/2020)").
3.2.12. Nessun rilievo decisivo, infine, può attribuirsi all'assunto della controricorrente secondo cui il decreto di autorizzazione del giudice tutelare invocato (e prodotto fin dal primo grado) dalla controparte sarebbe stato nullo per carenza di specifica motivazione sulla valutazione dell'interesse del beneficiario della misura: invero, qualsivoglia asserita nullità, non essendo stata fatta valere impugnando quello specifico provvedimento, non sarebbe certamente invocabile in questa sede.
3.3. Quanto, poi, al terzo motivo di ricorso, per la sua fondatezza basta ricordare che, come ancora recentemente ricordato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass., SU, n. 37434 del 2022, pag. 13), le "S.U. n. 9217/2010, hanno precisato che l'art. 182, secondo comma, cod. proc. civ. (nel testo applicabile "ratione temporis", anteriore alle modifiche introdotte dalla legge n. 69 del 2009), secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione "può" assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, dev'essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dall'art. 46, comma secondo, della legge n. 69 del 2009, nel senso che il giudice "deve" promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti "ex tunc", senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali (conf. Cass. nn. 17683/2010, 20052/2010, 15156/2017, 26948/2017, 27481/2018, 28824/2019)".
3.3.1. Alteris verbis, una volta ritenuta l'assenza dell'autorizzazione del giudice tutelare, la corte di appello, prima di concludere per l'assenza della legittimazione processuale dell'amministratore di sostegno, avrebbe dovuto assegnare, ex art. 182, comma 2, cod. proc. civ., un termine all'appellante per sanare l'asserita carenza predetta, dovendosi qui segnalare che, giusta Cass. n. 2498 del 2022, "La disposizione dell'art. 182, comma 2, c.p.c., secondo cui il giudice, quando rileva un vizio che determina la nullità della procura al difensore, assegna alle parti un termine perentorio per il rilascio della stessa o per la sua rinnovazione, si applica anche al giudizio d'appello e tale provvedimento può essere emesso all'udienza prevista dall'art. 350 c.p.c. (in applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di appello che aveva respinto la domanda risarcitoria proposta dall'amministratore di sostegno, diretta ad ottenere il risarcimento del danno in favore della beneficiaria, sua ascendente, a causa delle lesioni da questa subite in conseguenza di una caduta occorsale quale trasportata su un autobus di linea, limitandosi al rilievo della mancata richiesta di autorizzazione del giudice tutelare, senza concedere termine per il rilascio delle necessarie autorizzazioni)".
4. Il quarto motivo di ricorso, che investe quella che si rivela essere l'ulteriore ratio decidendi della decisione impugnata, è fondato.
4.1. Invero, la corte distrettuale ha ritenuto, sostanzialmente, che A.A. stesse in giudizio in proprio, esclusivamente quale terza intervenuta in via adesiva dipendente, invece che nella sua qualità di unica erede di B.B..
4.1.1. Quel giudice, infatti, ha affermato (cfr. pag. 15 della sentenza impugnata) che: "In conseguenza, una volta morto l'impugnante, nessuna legittimazione sussisteva per la di lui figlia non diversamente da quanto succede nel caso di divorzio che si interrompe rectius in cui viene a cessare la materia del contendere, per morte del coniuge"; ha ribadito, poi (cfr. la successiva pag. 16), che: "Ancora sul diverso oggetto della morte del coniuge in pendenza di divorzio v. Cass. civ., Sez. VI - 1, Ordinanza, 02/12/2019, n. 31358: Nel giudizio di divorzio, la sopravvenuta morte del coniuge determina la cessazione della materia del contendere, con riferimento al rapporto di coniugio e a tutti i profili economici connessi: onde l'evento della morte sortisce l'effetto di travolgere ogni pronuncia in precedenza emessa e ancora non passata in giudicato, assumendo esso rilevanza in relazione alla specifica res litigiosa"; sulla base di tali premesse, quindi, ha concluso (cfr. la medesima pag. 16) dichiarando la "cessazione della materia del contendere tra le parti con revoca della sentenza di primo grado".
4.1.2. È palese, dunque, come la corte fiorentina abbia utilizzato nel presente giudizio, di impugnazione del matrimonio ex art. 120 cod. civ. per incapacità del coniuge, una regola giuridica riferibile al giudizio di divorzio. Nell'economia della sua decisione, peraltro, le riportate affermazioni appaiono rivestire un valore decisivo, giacché proprio in forza di queste ultime la stessa corte ha sancito, in modo tranchant, che, "una volta morto l'impugnante, nessuna legittimazione sussisteva per la di lui figlia" e ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, esattamente come avviene, secondo la giurisprudenza suddetta, in caso di morte del coniuge nel giudizio di divorzio.
4.2. Così opinando, però, il giudice a quo ha mostrato di non tenere in alcun conto che, proprio con riferimento alla specifica fattispecie del giudizio di impugnazione per nullità del matrimonio per incapacità ai sensi dell'art. 120 cod. civ., il successivo art. 127 cod. civ. detta una norma ad hoc, che enuncia una regola giuridica di tenore opposto a quella (erroneamente applicata) dalla sentenza impugnata.
4.2.1. Invero, stabilendo che "L'azione per impugnare il matrimonio non si trasmette agli eredi se non quando il giudizio è già pendente alla morte dell'attore", l'appena menzionato art. 127 cod. civ. espressamente prevede che all'erede del coniuge impugnante (quale è, nella specie, A.A., pacificamente figlia ed erede di B.B.) sia trasferita l'azione di impugnazione del matrimonio, quando il giudizio sia già pendente alla morte dell'attore, consentendo all'erede, in questo caso, di continuare la causa di impugnazione del matrimonio già promossa dal de cuius in vita.
4.2.2. Resta solo da aggiungere che tale conclusione è confermata dalla qui condivisa giurisprudenza di legittimità, posto che: i) giusta Cass. n. 33409 del 2021, "In tema di nullità del matrimonio, il terzo portatore di un interesse legittimo e attuale, avente diritto a proporre l'azione di nullità ex art. 117, comma 1, c.c., che sia anche erede di colui che abbia impugnato il matrimonio e sia deceduto in pendenza di giudizio, può proseguire iure hereditatis l'azione esperita dal de cuius, in applicazione dell'art. 127 c.c., a prescindere dal fatto che abbia o meno esercitato l'azione diretta a lui spettante"; ii) come recentemente chiarito da Cass. n. 17909 del 2022, detta norma, "così come consente al terzo portatore di interesse, che sia anche erede di chi abbia impugnato il matrimonio, di proseguire l'azione esperita dal de cuius quando il giudizio è già pendente alla morte dell'attore (...), così per identica ratio autorizza il medesimo erede a resistere all'azione proposta contro il de cuius prima della morte di questi".
4.2.3. È giuridicamente errato, dunque, l'assunto della corte d'appello secondo cui, morto B.B., coniuge impugnante ex art. 120 cod. civ., nessuna legittimazione sussisteva per la di lui figlia, A.A., pacificamente sua erede (ed in tale qualità costituitasi in giudizio dopo la morte del padre), rivelandosi vero il contrario giusta l'art. 127 cod. civ..
5. In conclusione, dunque, l'odierno ricorso di A.A., quale erede di B.B., deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, rinviandosi la causa alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
5.1. Va, disposta, infine, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196/2003.
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, i motivi di ricorso di A.A., quale erede di B.B., cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Dispone per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196/2003.