
La Cassazione, con ordinanza n. 8898 del 4 aprile 2024, spiega che la conciliazione giudiziale non è impugnabile proprio perché è stipulata con l'intervento del giudice quale organo pubblico dotato dei caratteri di terzietà ed imparzialità. Inoltre, proprio l'intervento di un organo pubblico giustifica l'ammissibilità di qualunque oggetto della conciliazione giudiziale.
Deduceva che in origine aveva lavorato alle dipendenze della società D. senza regolarizzazione e poi in virtù di contratti di somministrazione solo fittizi stipulati dalla datrice di lavoro con le altre società indicate....
Svolgimento del processo
1.- (omissis) esponeva di essere stata formalmente dipendente di (omissis)soc.coop. a r.l., (omissis) soc.coop. a r.l. e (omissis) spa, ma di aver sempre lavorato presso (omissis) srl sin da agosto 2010.
Deduceva che in origine aveva lavorato alle dipendenze di (omissis) srl senza regolarizzazione e poi in virtù di contratti di somministrazione solo fittizi stipulati dalla predetta datrice di lavoro con le altre società indicate. Aggiungeva di essere stato verbalmente licenziato in data 02/12/2017 da (omissis) srl.
Deduceva, inoltre, di aver sottoscritto in data 04/05/2018 un verbale di conciliazione viziato per dolo od errore e poi era stato fittiziamente assunto a tempo determinato da (omissis) spa per il periodo dal 02/05/2018 al 10/05/2019, durante il quale era stata nuovamente inviata al lavoro presso (omissis) srl. Aggiungeva di aver lavorato spesso anche di domenica, senza godere di riposo settimanale.
Adìva pertanto il Tribunale di Milano per ottenere l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di (omissis) srl da agosto 2010, previa declaratoria di illecita interposizione di manodopera, nonché l’accertamento del suo diritto all’inquadramento per il primo anno nel livello D2 e per i successivi nel livello D1 ai sensi del ccnl grafici, la condanna di (omissis) srl al pagamento della somma di euro 121.394,13 a titolo di differenze retributive, nonché di euro 30.000,00 a titolo di indennizzo per il lavoro domenicale.
2.- Radicatosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio soltanto (omissis) srl, che eccepiva l’inammissibilità e l’infondatezza delle domande, di cui chiedeva il rigetto.
3.- Il Tribunale rigettava le domande, ritenendo che il ricorrente con il verbale di conciliazione sindacale del 04/05/2018 avesse rinunziato alle pretese economiche nei confronti delle società indicate come interposte fittizie, a fronte di una somma di denaro e della promessa di assunzione alle dipendenze di (omissis) spa e che, con l’ulteriore verbale di conciliazione del 12/07/2018 (sottoscritto nel corso di separato giudizio n.r.g. 5710/2018) avesse rinunziato alla costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di (omissis) srl, sicché era sostanzialmente cessata la materia del contendere.
4.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto da (omissis).
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale, richiamando un proprio precedente specifico (sentenza n. 2141/2019) in controversia identica, affermava:
a) nel giudizio n.r.g. 5710/2018 il ricorrente aveva chiesto la declaratoria di nullità di tutti i contratti di lavoro sottoscritti con società interposte e quelli di somministrazione con (omissis) spa, ha impugnato il licenziamento verbale del 02/12/2017 ed ha chiesto la ricostituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze di (omissis) srl sin dall’inizio della prestazione lavorativa;
b) nel verbale di conciliazione giudiziale intervenuto in quel giudizio n.r.g. 5710/2018 (assoggettato al rito c.d. Fornero) le parti hanno espressamente dichiarato di aver definito ogni loro rapporto con riferimento al petitum e alla causa petendi, come ivi si legge;
c) il comune presupposto con il presente giudizio è rappresentato dall’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di (omissis) srl sin dall’inizio;
d) nel presente giudizio nessuna pretesa è stata avanzata dal ricorrente nei confronti della predetta società a titolo di responsabilità solidale in qualità di utilizzatrice della prestazione lavorativa ex art. 35 d.lgs. n. 81/2015;
e) pertanto risulta preclusa in questa sede l’esame della domanda fondata su tale titolo, perché proposta per la prima volta con l’appello;
f) nel verbale di conciliazione giudiziale era previsto un corrispettivo a favore del ricorrente (di euro 1.750,00) e quindi, come nel precedente specifico di questa Corte, ciò permette di escludere la dedotta nullità di quella conciliazione;
g) nessun rilievo può avere il fatto che oggetto di quella conciliazione fossero diritti indisponibili, poiché, come già motivato nel precedente specifico di questa Corte, trattasi di conciliazione giudiziale prevista dagli artt. 185 e 420 c.p.c. senza alcun limite (Cass. n. 25472/2017).
5.- Avverso tale sentenza (omissis) ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.
6.- (omissis) srl e le altre società sono rimaste intimate.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo, senza indicarne la sussunzione in uno di quelli a critica vincolata imposti dall’art. 360, co. 1, c.p.c., la ricorrente addebita alla Corte d’Appello:
a) l’omesso adempimento del dovere di redigere una propria motivazione;
b) l’omesso rilievo della diversità del caso concreto rispetto ai precedenti utilizzati nella motivazione per relationem;
c) l’omessa pronunzia sul primo motivo di appello relativo all’impossibilità di impugnare la transazione giudiziale a causa del fatto che era intervenuta solo dopo l’instaurazione del secondo giudizio relativo alle differenze retributive;
d) l’omesso rilievo anche d’ufficio della nullità della conciliazione giudiziale in quanto avente ad oggetto diritti indisponibili.
Tutte le censure sono in parte inammissibili e in parte infondate.
Quella sub a) è infondata, atteso che la motivazione per relationem, ossia con richiamo a propri precedenti specifici, è una modalità consentita dal legislatore con l’art. 118 disp.att.c.p.c.
Quella sub b) è inammissibile per difetto di autosufficienza, poiché la ricorrente non spiega come l’asserita diversità del caso concreto avrebbe potuto indurre ad una decisione diversa rispetto ai precedenti di merito, con riguardo al verbale di conciliazione giudiziale comunque intervenuto.
Quella sub c) è infondata, atteso che la conciliazione giudiziale non è impugnabile proprio perché è stipulata con l’intervento del giudice quale organo pubblico dotato dei caratteri di terzietà ed imparzialità.
Quella sub d) è parimenti infondata, atteso che proprio l’intervento di un organo pubblico giustifica l’ammissibilità di qualunque oggetto della conciliazione giudiziale. La “indisponibilità” a cui si riferisce la ricorrente è quella negoziale, ossia l’impossibilità per il titolare del diritto di disporne mediante atti negoziali di autonomia privata, mentre quella in esame è stata una conciliazione giudiziale, ossia conclusa con l’intervento del giudice ex artt. 185 e 420 c.p.c.
Proprio a tal riguardo questa Corte ha già affermato che “La conciliazione giudiziale prevista dagli artt. 185 e 420 c.p.c. è una convenzione non assimilabile ad un negozio di diritto privato puro e semplice, caratterizzandosi, strutturalmente, per il necessario intervento del giudice e per le formalità previste dall'art. 88 disp. att. c.p.c. e, funzionalmente, da un lato per l'effetto processuale di chiusura del giudizio nel quale interviene, dall'altro per gli effetti sostanziali derivanti dal negozio giuridico contestualmente stipulato dalle parti, che può avere anche ad oggetto diritti indisponibili del lavoratore; la transazione, invece, negozio anch'esso idoneo alla risoluzione delle controversie di lavoro qualora abbiano ad oggetto diritti disponibili, non richiede formalità ad substantiam” (Cass. 26/10/2017, n. 25472).
Dunque va ribadita la validità della conciliazione giudiziale anche se abbia ad oggetto diritti indisponibili, atteso che l’art. 2113, co. 1, c.c. “che stabilisce l'invalidità delle rinunzie e transazioni aventi per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 cod. proc. civ. - disposizione che è conforme al principio generale sancito dall'art. 1966, secondo comma, cod. civ. in tema di nullità delle transazioni correlate a diritti sottratti alla disponibilità delle parti, per loro natura o per espressa disposizione di legge - trova il suo limite di applicazione nella previsione di cui all'ultimo comma del citato art. 2113 cod. civ., che fa salve le conciliazioni intervenute ai sensi degli artt. 185, 410 e 411 cod. proc. civ., ossia quelle conciliazioni nelle quali la posizione del lavoratore viene ad essere adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro per effetto dell'intervento in funzione garantista del terzo (autorità giudiziaria, amministrativa o sindacale) diretto al superamento della presunzione di condizionamento della libertà di espressione del consenso da parte del lavoratore, essendo la posizione di quest'ultimo adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro” (Cass. 26/07/2002, n. 11107).
Nulla va disposto sulle spese, poiché le società intimate sono rimaste tali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.