Accolto il ricorso dei familiari del dipendente deceduto a seguito di infortunio sul lavoro. Il Tribunale non ha esplicitato se e come abbia considerato tutte le circostanze del caso concreto per assicurare un risarcimento integrale del pregiudizio subìto da ciascun danneggiato.
Il Giudice delegato al fallimento di una srl ammetteva al passivo della procedura il creditorio risarcitorio vantato dalle attuali ricorrenti in ragione del decesso a seguito di infortunio sul lavoro di Tizio, di cui le istanti erano madre e sorelle, nella misura minima prevista dalle tabelle del Tribunale di Milano.
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Svolgimento del processo
1. Il giudice delegato al fallimento di X s.r.1. ammetteva al passivo della procedura il credito risarcitorio vantato da RD PD e CD in ragione del decesso, a seguito di un infortunio sul lavoro, di RD, di cui le istanti erano, rispettivamente, sorelle e madre, nella misura minima prevista dalle tabelle del Tribunale di Milano.
Respingeva, invece, la domanda di insinuazione presentata dalla compagna del defunto, SC, difettando la prova della sussistenza fra l'istante e il deceduto di un rapporto di
convivenza ovvero di un saldo e duraturo legame affettivo assimilabile a un rapporto coniugale.
2. L'opposizione ex art. 98 I. fall. unitariamente proposta dalle quattro signore contro il decreto di esecutività dello stato passivo veniva respinta dal Tribunale di Pistoia.
Il giudice del merito riteneva di non aver ragione di discostarsi dai valori tabellari minimi rispetto alla posizione delle sorelle RD e PD , tenuto conto della genericità delle loro allegazioni e dell'età del deceduto (43 anni) e delle opponenti (tutte adulte) al momento del decesso.
Reputava che analoghe carenze probatorie caratterizzassero la posizione della madre CD , dato che i capitoli di prova testimoniale formulati risultavano generici, "in quanto privi di contestualizzazione temporale e comunque inidonei a dimostrare la frequenza dei comportamenti ivi descritti", mentre la C.T.U. medico legale richiesta doveva considerarsi esplorativa, in mancanza agli atti di una perizia di parte idonea a suffragare l'esistenza del danno lamentato.
Giudicava, di conseguenza, che anche per CD non sussistessero ragioni per liquidare il danno non patrimoniale sofferto in misura superiore ai valori tabellari minimi, tenuto conto dell'età del deceduto e della madre (71 anni) all'epoca dell'infortunio mortale e del fatto che nella cerchia familiare vi erano comunque persone in grado di prendersi cura delle esigenze della donna.
Osservava ancora, quanto alla posizione di SC che non erano stati forniti elementi probatori o anche solo indiziari sulla cui base si potesse ritenere esistente un saldo e duraturo legame fra il deceduto e l'opponente, dato che quest ultima aveva formulato capitoli di prova del tutto generici, in quanto privi di contestualizzazione temporale, e comunque inidonei a dimostrare la frequenza dei comportamenti ivi descritti.
Escludeva, infine, che le risultanze processuali della causa risarcitoria promossa dinanzi al giudice ordinario nei confronti di X in bonis, interrottasi a seguito del fallimento della convenuta, potessero essere opposte alla curatela.
3. PD / CD e SC hanno proposto ricorso per la cassazione del decreto, pubblicato in data 21 luglio 2020, prospettando cinque motivi di doglianza.
Il Fallimento di X s.r.l. non ha svolto difese.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., perché il tribunale ha rigettato l'opposizione presentata dalle due sorelle D con una motivazione di stile, del tutto apparente e priva di ogni riferimento ai fattori di personalizzazione invocati (stretto rapporto parentale, età mediana della vittima primaria, trasferimento in capo alle sorelle di ogni onere assistenziale della madre e, rispetto a R, frequentazione lavorativa quotidiana e gravi problematiche organizzative connesse al mancato apporto organizzativo del congiunto).
4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell'art. 1226 cod. civ., perché il tribunale, pur facendo riferimento alle tabelle milanesi quale criterio equitativo prescelto, non ha indicato se e come tutte le circostanze del caso concreto, integranti i fattori della personalizzazione richiamati nelle note tabellari esplicative, fossero state considerate e avessero condotto alla determinazione di quelle somme minimali per le quali era stata confermata l'ammissione al
passivo.
5. I motivi, da esaminarsi, da esaminarsi congiuntamente, sono fondati,
5.1 Al fine di evitare che la decisione di liquidare il danno in via equitativa si presenti come arbitraria e sottratta a ogni controllo, è necessario che il giudice indichi, almeno sommariamente e nell'ambito dell'ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l'entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum (Cass. 2327/2018), dovendosi ritenere censurabili le liquidazioni basate su criteri «manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza» (Cass. 4310/2018, Cass. 13153/2017).
Difatti, la «liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. "pura", consiste pur sempre in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno, e cioè in un giudizio di mediazione tra le probabilità positive e le probabilità negative del danno effettivo nel caso concreto. Pur giocandovi un ruolo rilevante il potere discrezionale del giudice, essa non può tradursi, pertanto, in una valutazione arbitraria, in quanto il giudice è chiamato a compiere un ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze che nel caso concreto abbiano potuto avere incidenza positiva o negativa sull'ammontare del pregiudizio e a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito a ciascuna di esse, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento» (Cass. 22272/2018).
In coerenza con questi principi il giudice, qualora proceda alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale in applicazione delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, è tenuto ad esplicitare, in motivazione, se e come abbia considerato tutte le circostanze del caso concreto per assicurare un risarcimento integrale del pregiudizio subìto da ciascun danneggiato (Cass. 9231/2013).
5.2 Il tribunale, nel fare riferimento alla pronuncia n. 14655/2017 di questa Corte (che ha chiarito come, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ognuno dei familiari superstiti abbia diritto a una liquidazione inclusiva di tutto il danno non patrimoniale subìto, in proporzione alla durata e all'intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all'età della vittima ed a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e dimostrare anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza - da parte di chi agisce in giudizio), si è dimostrato consapevole del proprio obbligo di garantire adeguata considerazione alle specificità del caso concreto nell'individuazione dell'entità del risarcimento dovuto all'interno del range previsto dalla tabella di riferimento.
All'iniziale petizione di principio, però, non ha fatto seguito una puntuale applicazione delle regole richiamate.
Infatti, il tribunale, pur avendo individuato fattori di probabile incidenza sul danno (laddove ha evidenziato l'età della vittima e delle sorelle e ricordato che una di esse aveva espressamente rappresentato di avere un rapporto lavorativo quotidiano con la vittima), ha poi ritenuto di non doversi scostare dai valori minimi senza offrire alcuna giustificazione al riguardo, neppure sotto il profilo della quantificazione in termini coincidenti di un pregiudizio che assumeva conseguenze diverse per le due sorelle.
Una simile statuizione si pone in patente contrasto con l'obbligo (appena ricordato) per il giudice di merito di esplicitare, in motivazione, se e come abbia considerato tutte le circostanze del caso concreto per assicurare un risarcimento integrale del pregiudizio subìto da ciascun danneggiato e di rendere comprensibile l'iter logico, giuridico e matematica seguito (cfr., per tutte, Cas. 4377/2016, Cass. 6088/2006).
Giova ricordare, da ultimo, che la motivazione assume carattere solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da errar in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda percepibile - come nel caso di specie - il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., 22232/2016).
6.1 Il terzo motivo di ricorso denuncia, rispetto alla posizione di CD, la violazione dell'art. 244 cod. proc. civ., in quanto il tribunale, con motivazione apparente, ha ravvisato la genericità dei capitoli di prova orale dedotti sulla frequentazione fra il figlio deceduto e la madre senza considerare che non sarebbe stato possibile chiedere informazioni al teste in altro modo sull'aspetto della frequenza e che l'asserita inadeguatezza del capitolo poteva essere emendata in udienza.
La decisione impugnata, inoltre, sarebbe stata assunta in violazione degli artt. 1223, 1226 e 2056 cod. civ., in quanto in presenza di specifici fattori di incidenza sul danno (convivenza, età non avanzata, assenza di altre persone conviventi e gravità della colpa) era stato assegnato il minimo tabellare in modo del tutto casuale e apparente.
6.2 Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 24 Cost., 2727 e 2729 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., 138 e 139 d. lgs. 209/2005: il tribunale, avanti al decesso di un figlio convivente a seguito di tragiche circostanze, non poteva negare alla madre l'espletamento di una C.T.U. percipiente per l'accertamento di un danno psichico adducendo l'assenza di prove ulteriori, in quanto una simile conseguenza era verosimile e rilevabile sulle base di conoscenze tecnico-professionali proprie di un medico legale.
7. I motivi, da esaminarsI congiuntamente, risultano entrambi fondati.
7.1 Il tribunale ha ritenuto (a pag. 5) che i capitoli di prova dedotti fossero generici "in quanto privi di contestualizzazione temporale e comunque inidonei a dimostrare la frequenza dei comportamenti ivi descritti".
Una simile motivazione assume i caratteri dell'apparenza, perché inidonea a rappresentare nel concreto l'iter logico-intellettivo seguito dal giudice per arrivare alla decisione, e dell'illogicità laddove si riferisce a capitoli che domandavano al teste di spiegare se il deceduto "quotidianamente" (e dunque con una frequenza ben precisa) pranzasse e cenasse con la madre.
Peraltro, la decisione del giudice di merito si focalizza sul mero tenore letterale del capitolo, trascurando di considerare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la verifica della specificità e della rilevanza dei capitoli formulati va condotta non soltanto alla stregua della loro letterale formulazione, ma anche in relazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni delle parti, nonché tenendo conto della facoltà di chiedere chiarimenti e precisazioni ai testi da parte del giudice e dei difensori; l'esigenza di specificazione dei fatti sui quali i testimoni devono deporre, dunque, è soddisfatta se, ancorché non precisati in tutti i loro minuti dettagli, tali fatti siano esposti nei loro elementi essenziali, per consentire al giudice di controllarne l'influenza e la pertinenza e mettere in grado la parte, contro la quale essa è diretta, di formulare un'adeguata prova contraria (Cass. 11765/2019; nello stesso senso Cass. 22254/2021, Cass. 19915/2016).
7.2 La mancata ammissione della prova si riverbera sulla quantificazione del danno, che è avvenuta senza che fossero adeguatamente indagate le caratteristiche della riconosciuta convivenza fra madre e figlio.
A questo proposito occorre sottolineare come i principi in precedenza richiamati in ordine alla necessità di procedere a una liquidazione inclusiva di tutto il danno non patrimoniale subìto siano destinati, giocoforza, a rimanere lettera morta ove alla loro affermazione teorica non facciano seguito provvedimenti che consentano al danneggiato di esercitare compiutamente il proprio diritto alla prova sotto ogni profilo del pregiudizio dedotto.
7.3 Questa Corte ha avuto occasione di chiarire che la morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e proprio, in presenza di un'effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca (Cass. 28989/2019, Cass. 21084/2015, Cass. 28423/2008).
Ciò posto, va poi ricordato che la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito.
Questi può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente) ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (Cass. 3717/2019).
Il deposito di una perizia di parte non era perciò condizione necessaria, come ritenuto dal tribunale, per disporre l'espletamento della C.T.U. medico-legale richiesta (soprattutto ove si consideri che era stata formulata una prova testimoniale in funzione della dimostrazione dello stretto legame esistente fra la donna e il figlio deceduto e, di conseguenza, del presumibile trauma psicologico provocato dall'evento).
8. Il quinto motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., in quanto il tribunale ha offerto una motivazione apparente in ordine alle ragioni per cui le istanze istruttorie volte a dimostrare l'esistenza di un duraturo e saldo legame affettivo fra se e la vittima dovevano essere considerate inammissibili.
Il tribunale, inoltre, avrebbe erroneamente escluso che il giudice di merito possa formare il proprio convincimento sulla base di prove atipiche raccolte in altro procedimento.
9. Il motivo è fondato sotto entrambi i profili dedotti.
9.1 Per quanto attiene l'ammissibilità delle prove testimoniali dedotte occorre innanzitutto far richiamo a quanto esposto, in diritto, al punto 7.1.
Ciò posto, la motivazione offerta dal tribunale per giustificare la mancata ammissione delle prove richieste per dimostrare l'esistenza di un legame fra l'opponente e la vittima presenta caratteri di apparenza e illogicità analoghi a quelli già rilevati per la sig.ra D Infatti, il tribunale ha ritenuto che i capitoli di prova dedotti fossero generici "in quanto privi di contestualizzazione temporale e comunque inidonei a dimostrare la frequenza dei comportamenti ivi descritti".
Una simile motivazione, ancora una volta, è inidonea a rappresentare l'iter logico-intellettivo seguito dal giudice per arrivare alla decisione e, nel contempo, manifesta un'irragionevolezza di contenuto, giacché predica una totale genericità pur riferendosi a capitoli che domandavano, espressamente, al teste di riferire da quanti anni il D era fidanzato con la C , quante volte la stessa si fermava a dormire presso l'abitazione del D , se quest'ultimo il fine settimana sI trasferiva a casa della fidanzata e se i due stavano insieme tutte le festività e durante le vacanze.
9.2 Infine, il tribunale ha erroneamente escluso che le risultanze del procedimento civile svoltosi presso il Tribunale di Arezzo prima della dichiarazione di fallimento potessero essere utilizzate nell'ambito del giudizio di stato passivo e opposte alla curatela.
Invero, questa Corte ha chiarito che il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all'ammissione e all'assunzione della prova (Cass. 25067/2018, Cass. 840/2015).
10. Il provvedimento impugnato, dunque, deve essere cassato, con rinvio al Tribunale di Pistoia in diversa composizione, il quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati e avrà cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Pistoia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.