Rigettato il ricorso dei ricorrenti che lamentavano disagio a dover attendere la chiamata alle urne nella fila corrispondente al genere assegnato dalla nascita, dagli stessi non riconosciuto come proprio. Per la Cassazione, la mancata immedesimazione di genere non determina alcun pregiudizio.
Gli attuali ricorrenti presentano istanza alla Commissione Elettorale Circondariale di Bologna aventi ad oggetto l'iscrizione nelle liste elettorali del Comune bolognese senza iscrizione del loro nominativo né nella lista degli uomini né nella lista delle donne, a tutela del pieno e libero esercizio del proprio diritto-dovere di voto in qualità di persone non binarie e non inquadrate nella rigida classificazione del rispettivo genere biologico.
A fondamento delle loro istanze, gli attori lamentano «il mancato riconoscimento istituzionale della propria identità ed il disagio a dover attendere la chiamata alle urne nella fila corrispondente al genere assegnato dalla nascita, dagli stessi non riconosciuto come proprio».
La Commissione rigettava le istanze rilevando di non avere competenza in ordine alla modifica delle liste elettorali, così come definita dalla normativa statale vigente.
Giunti in sede di legittimità, i ricorrenti sostengono che l'esame delle domande di tutela proposte non può che essere preceduto dalla rimessione alla Consulta delle questioni di legittimità costituzionale degli
Secondo i ricorrenti, tali norme contrastano con il loro libero esercizio di voto in quanto stabiliscono.
Nelle sue argomentazioni, la Cassazione osserva che «le norme dedotte e la lamentata distinzione per appartenenza di genere concernono esclusivamente l'esecuzione e lo svolgimento delle attività di carattere amministrativo propedeutiche all'esercizio del diritto di voto, realizzate mediante la predisposizione e l'aggiornamento delle liste elettorali, ma non incidono sull'esercizio del diritto di voto che è oggetto della tutela richiesta».
Ciò detto, per la Cassazione non si comprende in quale modo la suddivisione cartolare degli elettori a seconda del genere potrebbe compromettere il diritto di elettorato attivo in capo ai soggetti che non si riconoscono né nel genere maschile, né in quello femminile. La mancata immedesimazione di genere non determina alcun pregiudizio sul diritto di voto.
Analogo discorso vale per il senso di disagio lamentato dai ricorrenti nel corso delle operazioni elettorali, il quale non è ricollegabile ad alcuna previsione normativa, «visto che lo svolgimento di tali operazioni, che ben potrebbe essere diversamente organizzato, non prevede in alcun modo una ostensione o distinzione, fisica o visibile, degli elettori in base al genere risultante dalle liste elettorali».
Ciò esclude che possa ravvisarsi la rilevanza della questione di costituzionalità che richiede un nesso di strumentalità necessaria tra la definizione del giudizio principale e la risoluzione della questione afferente al bene della vita per il quale si agisce.
Per questi motivi, la Cassazione rigetta il ricorso con sentenza n. 9428 del 9 aprile 2024.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza (ud. 23 gennaio 2024) 9 aprile 2024, n. 9428
Svolgimento del processo
1.1.- A.R. e S.E. propongono ricorso per cassazione, articolato con due motivi ed illustrato con memoria, avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Bologna n. 773/2023 che ha respinto il ricorso promosso avverso le decisioni della Commissione Elettorale Circondariale di Bologna che avevano rigettato le rispettive istanze — aventi ad oggetto l’iscrizione nelle liste elettorali del Comune di Bologna senza iscrizione del loro nominativo né nella lista degli uomini né nella lista delle donne, a tutela del pieno e libero esercizio del proprio diritto-dovere di voto in qualità di persone non binarie e non inquadrate nella rigida classificazione del rispettivo genere biologico, lamentando il mancato riconoscimento istituzionale della propria identità ed il disagio a dover attendere la chiamata alle urne nella fila corrispondente al genere assegnato dalla nascita, dagli stessi non riconosciuto come proprio —; la Commissione Elettorale aveva rilevato di non avere competenza in ordine alla modifica delle liste elettorali, così come definita dalla normativa statale vigente.
L’intimata Commissione Elettorale Circondariale di Bologna non ha svolto attività difensive in questa sede.
1.2.- Dinanzi alla Corte di appello, gli odierni ricorrenti avevano dedotto l’illegittimità costituzionale degli artt.5, 8, 16 e 37 del d.P.R. n.223/1967 nella parte in cui prevedono la suddivisione delle liste, degli elenchi e degli schedari degli elettori per uomini e donne, rappresentando che l’esame della domanda richiedeva la preliminare risoluzione della questione di legittimità costituzionale che chiedevano di sollevare in via incidentale.
La Corte di appello ha respinto il ricorso perché ha ritenuto che la questione di costituzionalità sottoposta al suo esame fosse priva del requisito di incidentalità, finendo per coincidere il petitum del giudizio a quo con la questione di legittimità costituzionale stessa, senza che residuasse un margine decisionale per il giudice del merito, a seguito dell’eventuale suo accoglimento ad opera della Corte costituzionale.
1.3.- È stata disposta la trattazione in pubblica udienza.
Il Pubblico Ministero, riportandosi alle conclusioni scritte, ha chiesto il rigetto del ricorso.
L’Avvocato S., per delega, ha concluso per l’accoglimento.
Motivi della decisione
2.1.- Il primo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., dell’art. 1 della l. cost. n. 1/1948 e degli artt. 23 e 24 della l. n. 87/1953, nonché degli artt. 24 e 113 Cost.
A parere dei ricorrenti, l’ordinanza impugnata applica erroneamente le norme che definiscono le condizioni di proponibilità delle questioni di legittimità costituzionale in via incidentale, con particolare riguardo alla qualificazione del carattere pregiudiziale della questione sollevata rispetto all’oggetto del giudizio principale e ripropongono l’eccezione di legittimità costituzionale degli artt. 5, 8, 16 e 37 del d.P.R. n. 223/1967.
2.2.- Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., dell’art. 111, comma 6, Cost. nonché degli artt. 112, 134 c.p.c. e la carenza assoluta di motivazione.
A parere dei ricorrenti, l’ordinanza impugnata va riformata per la parte in cui omette di motivare la decisione di rigetto nel merito della domanda proposta dai ricorrenti, con particolare riguardo alla domanda di accertamento della lesione del pieno e libero esercizio del diritto di voto, da essi subita.
2.3.- Ad avviso dei ricorrenti, l’esame delle domande di tutela proposte non può che essere preceduto dalla rimessione alla Corte costituzionale delle questioni di costituzionalità degli artt. 5, 8, 16 e 37 del d.P.R. n. 223/1967 (Testo unico delle leggi recanti norme per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali) e dei corrispondenti artt. 4, 6, 13 e 29 della l. n. 1058/1947 (Norme per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali) e 4, 6 e 13 della l. n. 1/1966 (Modificazioni alle norme della legge 7 ottobre 1947, n. 1058, per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali).
3.- Va premesso che non può costituire motivo di ricorso per cassazione la valutazione negativa che il giudice di merito abbia fatto circa l’incidentalità, la rilevanza o la manifesta infondatezza di una questione di legittimità costituzionale, perché il relativo provvedimento (benché ricompreso nella specie, da un punto di vista formale, nell’ordinanza che ha concluso il giudizio) ha carattere puramente ordinatorio, essendo riservato il relativo potere decisorio alla Corte costituzionale e, d'altra parte, la stessa questione può essere riproposta in ogni grado di giudizio. Pertanto, le doglianze relative alle deliberazioni assunte dal giudice di merito sulle dedotte questioni di legittimità costituzionale non si presentano come fini a sé stesse, ma hanno funzione strumentale in relazione all'obiettivo di conseguire una pronuncia più favorevole di quella resa con l’ordinanza impugnata, sicché l'impugnazione deve intendersi che investa sostanzialmente il punto del provvedimento regolato dalle norme giuridiche la cui costituzionalità è contestata (Cass. n. 9284/2018; Cass. n. 25343/2014).
4.- Il ricorso deve essere respinto.
Lo stesso si incentra sulla prospettazione di una questione di legittimità costituzionale che è priva di rilevanza in quanto non si ravvisa, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, il nesso di strumentalità necessaria tra la definizione del giudizio e la risoluzione della questione afferente al bene della vita per il quale si agisce (Sent. n.250 del 2011 e Ord. n.95 del 2023 della Corte costituzionale).
Con l’azione proposta si lamenta un pregiudizio ad esercitare liberamente il diritto di voto: i ricorrenti ripropongono questione di costituzionalità degli artt. 5, 8, 16 e 37 del d.P.R. n. 223/1967 (Testo unico delle leggi recanti norme per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali) e dei corrispondenti artt. 4, 6, 13 e 29 della l. n. 1058/1947 (Norme per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali) e 4, 6 e 13 della l. n. 1/1966 (Modificazioni alle norme della legge 7 ottobre 1947, n. 1058, per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali) per contrasto con: -) artt. 2, 10, 11, 48 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art.8 CEDU e agli artt.1 e 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; -) artt. 3, 10, 11, 48 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 14 CEDU, all’art. 21 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e agli artt. 2 e 26 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici; -) artt. 48, 10, 11 e 117, primo comma, Cost. in relazione all'art.8 CEDU ed all’art. 3 del Protocollo 1 alla CEDU, nonché all’art.25 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici ed agli artt. 39 e 40 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, all’art.20 TFUE) ed all’art.10, par.3, TUE.
5.1.- Le norme, della cui legittimità i ricorrenti dubitano, stabiliscono che: le liste elettorali sono distinte per uomini e donne e sono compilate in ordine alfabetico in doppio esemplare, con l’indicazione di una serie di elementi identificativi degli elettori (art.5 del d.P.R. n. 223/1967 e art. 4 della l. n. 1058/1947); devono essere aggiornate annualmente dal sindaco con i nominati di coloro che hanno raggiunto la maggiore età, in base ai registri dello stato civile (art.8 del d.P.R. n. 223/1967 e art. 6 della l. n. 1058/1947); semestralmente devono essere compilati due elenchi separati, ciascuno distinto per uomini e donne, per la revisione delle liste elettorali, cui provvede la Commissione elettorale (art.16 del d.P.R. n. 223/1967 e art. 13 della l. n. 1058/1947); anche le liste di sezione devono essere compilate, sulla scorta delle liste elettorali, distintamente per sesso, in triplice esemplare, e contenere due colonne rispettivamente per le firme di identificazione degli elettori (art. 37 del d.P.R. n. 223/1967 e art. 29 della l. n. 1058/1947).
5.2.- Ebbene, va considerato che le norme dedotte e la lamentata distinzione per appartenenza di genere concernono esclusivamente l’esecuzione e lo svolgimento delle attività di carattere amministrativo propedeutiche all’esercizio del diritto di voto, realizzate mediante la predisposizione e l’aggiornamento delle liste elettorali, ma non incidono sull’esercizio del diritto di voto che è oggetto della tutela richiesta.
5.3.- Il diritto di voto, che si fonda sul principio del suffragio universale sancito dalla Costituzione, è, ben vero, autonomamente regolato, senza alcun vincolo o condizione, dall’art.57 del d.P.R. 361/1957 (che al primo comma stabilisce che «Dichiarata aperta la votazione, gli elettori sono ammessi a votare nell'ordine di presentazione. Essi devono esibire la carta d'identità o altro documento d'identificazione rilasciato dalla pubblica Amministrazione, dalla Commissione elettorale mandamentale, sono indicati gli estremi del documento.»), di guisa che la prospettazione circa la prassi dell’incolonnamento in fila per genere, in attesa dell’accesso alle urne, di cui i ricorrenti si dolgono (e come notoriamente è dato riscontrare nella realtà dell’esercizio del diritto politico), appare riconducibile ad una impropria evenienza fattuale — peraltro, atta ad incidere sul principio dell’esercizio del diritto di voto secondo l’ordine di presentazione, stabilito dalla norma in esame — e non già ad una disposizione normativa della cui legittimità costituzionale si possa dubitare.
5.4.- In proposito — così come bene evidenziato dalla Procura generale — sotto il profilo della compromissione del diritto di elettorato attivo, non è chiaro in quale modo la suddivisione cartolare degli elettori a seconda del genere potrebbe conculcare tale diritto in capo ai soggetti che non si riconoscano né nel genere maschile, né in quello femminile, posto che nessun pregiudizio sul diritto di voto può ipotizzarsi o è previsto da una qualche norma quale conseguenza della suddetta mancata immedesimazione di genere. Parimenti, il senso di disagio e di imbarazzo lamentato dai ricorrenti nel corso delle operazioni elettorali non si vede a quale previsione normativa sia ricollegabile, visto che lo svolgimento di tali operazioni, che ben potrebbe essere diversamente organizzato, non prevede in alcun modo una ostensione o distinzione, fisica o visibile, degli elettori in base al genere risultante dalle liste elettorali (vedi, anche art. 58 del d.P.R. 361/1957, richiamato dall’art. 27 del d.lgs. 533/1993; artt. 41 e 49 del d.P.R n. 570/1960).
5.5.- Ciò esclude che possa ravvisarsi la rilevanza della questione di costituzionalità che richiede un nesso di strumentalità necessaria tra la definizione del giudizio principale e la risoluzione della questione afferente al bene della vita per il quale si agisce e comporta il rigetto del primo motivo.
Nel caso in esame non si rinviene il presupposto indispensabile della questione di costituzionalità, che deve risiede nella stretta connessione della norma censurata con il thema decidendum del processo a quo, al fine di rimuovere l’ostacolo — costituito dall’asserito vizio di legittimità costituzionale — che impedisce di ottenere una tutela, se non perfettamente coincidente, quanto meno intimamente legata al petitum della domanda proposta in giudizio (Sent. n.250 del 2011 e Ord. n.95 del 2023 della Corte costituzionale): invero, l’esercizio del diritto di voto, come già rilevato, non è regolato dalle norme di cui si prospetta l’illegittimità costituzionale e non è vincolato o condizionato all’ostensione del genere dalle norme da cui è, invece, regolato.
6-. Il secondo motivo è inammissibile alla luce delle ragioni esposte rigetto del primo motivo.
7.- In conclusione, il ricorso va rigettato.
Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensiva dell’intimata.
Va disposto che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
- Rigetta il ricorso;
- Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. n. 196 del 2003, art. 52;
- Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.