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In definitiva, il Tribunale ritiene che la circostanza di essere stato sottoposto ad accertamenti psichiatrici finalizzati a valutare l'idoneità al servizio in ragione della presunta omosessualità del ricorrente sia idonea a cagionare un danno non patrimoniale, sotto forma di sofferenza morale, in quanto veniva messa in dubbio l'idoneità del dipendente allo svolgimento delle proprie mansioni in ragione di quello che si presumeva fosse il suo orientamento sessuale, veicolando l'idea per cui l'omosessualità potesse essere ritenuta un disturbo della personalità. |
TAR Piemonte, sez. III, sentenza (ud. 27 marzo 2024) 9 aprile 2024, n. 353
Svolgimento del processo
Con ricorso ritualmente notificato e regolarmente depositato presso la Segreteria del T.A.R. Piemonte -OMISSIS-, Agente Scelto della Polizia Penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Foggia (già in servizio presso la casa circondariale di Vercelli), chiedeva il risarcimento del danno non patrimoniale subito per la condotta dell’amministrazione consistita nell’averlo sottoposto, in relazione ad un procedimento disciplinare instaurato nei suoi confronti sulla base di dichiarazioni spontaneamente rese da due detenuti, a controlli psichiatrici volti all’accertamento della propria omosessualità.
In particolare, espone il ricorrente che:
- sulla base delle dichiarazioni rese da due detenuti era stato instaurato nei confronti dell’Agente Scelto -OMISSIS- un procedimento disciplinare finalizzato all’accertamento di fatti consistiti nell’aver effettuato avances a sfondo sessuale verso i suddetti detenuti;
- nel corso del procedimento disciplinare il ricorrente era stato sottoposto a domande “ambigue” circa il proprio orientamento sessuale ed erano stati disposti accertamenti psichiatrici presso la competente Commissione Medica Ospedaliera finalizzati ad accertare la propria omosessualità;
- la C.M.O. non aveva riscontrato elementi da cui desumere l’inidoneità al servizio del ricorrente;
- il procedimento disciplinare veniva archiviato per mancanza di prova dei fatti contestati, alla luce dell’esito della seduta della commissione di disciplina;
- la condotta con cui l’amministrazione aveva “messo alla gogna” il ricorrente, sottoponendolo a penetranti controlli psichiatrici, aveva determinato uno stato di sofferenza nell’Agente Scelto -OMISSIS-, anche tenuto conto della diffusione, all’interno dell’ambiente di lavoro, di informazioni relative alla propria vicenda personale;
- sussistevano, pertanto, i presupposti per la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno non patrimoniale subito.
Si costituiva in giudizio parte resistente con comparsa di stile, affidando a successiva memoria ogni argomentazione difensiva volta ad evidenziare l’infondatezza della domanda.
In particolare, parte resistente affermava la legittimità dell’operato dell’amministrazione in relazione all’apertura del procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, atto dovuto a fronte delle dichiarazioni spontaneamente rese dai detenuti, mentre con riferimento alla sottoposizione del ricorrente a controlli psichiatrici si rilevava come gli stessi fossero finalizzati ad accertare l’idoneità al servizio dell’Agente Scelto -OMISSIS- in ragione dello stato di ansia manifestato dal dipendente a seguito della contestazione dei fatti disciplinarmente rilevanti.
All’udienza odierna parte ricorrente insisteva per l’accoglimento del ricorso. Il Collegio, presto atto del deposito, ad opera di parte resistente, di istanza di passaggio in decisione, tratteneva la causa in decisione.
Motivi della decisione
Il ricorso va accolto, per i motivi che si vanno ad esporre.
In punto di fatto, deve ritenersi provato che il ricorrente, a seguito dell’apertura di procedimento disciplinare sulla base di dichiarazioni rese da detenuti e relative a presunte avances a sfondo sessuale provenienti dall’Agente Scelto -OMISSIS- (poi terminato con procedimento di archiviazione per mancata prova dei fatti), veniva sottoposto ad accertamenti psichiatrici finalizzati a “far chiarezza sulla sua personalità” (vedi relazione scritta del -OMISSIS- di cui al doc. 3 di parte resistente).
A tal fine, il ricorrente veniva invitato dapprima a recarsi presso l’ufficio della Direttrice dell’Istituto dott.ssa -OMISSIS- per un colloquio con quest’ultima e, successivamente, veniva inviato a visita presso la Commissione Medico Ospedaliera di Milano.
Può inoltre dirsi provata (in quanto coerente con quanto riportato nella relazione di cui al doc. 3 di parte resistente) la circostanza, allegata dal ricorrente, per cui i superiori del ricorrente, in occasione dei colloqui intercorsi con l’Agente Scelto -OMISSIS- hanno affermato che avrebbero disposto la visita del ricorrente presso la Commissione Medica Ospedaliera di Milano per far chiarezza sulla sua personalità.
A fronte di tali elementi di fatto non rileva la circostanza che formalmente la visita del ricorrente sia stata disposta per accertamenti relativi a “reazione a grave stress e disturbi dell’adattamento” (vedi verbale della C.M.O. di cui al doc. 6 di parte resistente), in quanto dallo stesso contenuto della relazione predisposta dal Comandante Sup. -OMISSIS- si desume, con elevato grado di verosimiglianza, che tali accertamenti psichiatrici sono stati disposti per fare chiarezza sulla personalità del ricorrente a seguito dell’apertura del summenzionato procedimento disciplinare.
Ciò posto in punto di fatto, ritiene il Tribunale che la condotta tenuta dall’amministrazione possa essere qualificata come illecita e foriera, per il ricorrente, di un danno non patrimoniale risarcibile.
Sotto il profilo dell’evento di danno (consistente nella lesione di una situazione soggettiva meritevole di tutela per l’ordinamento), rileva la circostanza per cui l’amministrazione ha sottoposto il ricorrente ad un colloquio con il medico competente e, successivamente, ad un accertamento psichiatrico presso la C.M.O. di Milano, al fine di fare chiarezza sulla “personalità” del dipendente in assenza di elementi concreti che consentissero di ritenere anche solo possibile che il ricorrente fosse affetto da un disturbo della personalità.
Ritiene il Tribunale che tale decisione sia arbitraria e priva di un valido supporto giuridico, oltreché tecnico-scientifico, atteso che l’amministrazione indebitamente ha operato una sovrapposizione tra l’orientamento sessuale del ricorrente e la necessità di “fare chiarezza sulla personalità” di quest’ultimo sul versante psichiatrico, operando un’illegittima inferenza tra la presunta omosessualità dell’Agente Scelto -OMISSIS- e l’esistenza di un disturbo della personalità.
Una simile condotta è idonea ad arrecare una lesione non patrimoniale, sotto forma di danno c.d. morale, in quanto può ritenersi, secondo lo standard probatorio del “più probabile che non” che il ricorrente abbia patito una sofferenza interiore derivante dall’essersi visto attribuire lo “stigma” di un disturbo della personalità da parte dei superiori gerarchici (con la conseguente sottoposizione a visita psichiatrica) senza che sussistesse alcun elemento indiziario che deponesse in tale direzione e suggerisse l’opportunità di espletare approfondimenti medico-legali.
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la condotta dell’amministrazione deve ritenersi quantomeno connotata da colpa in quanto posta in violazione di regole cautelari di condotta di diligenza e prudenza che devono ispirare l’amministrazione nella sottoposizione dei propri dipendenti a valutazioni mediche connotate da elevato grado di “invasività”, quali quelle che attengono alla sfera della personalità e dell’orientamento sessuale.
Sotto il profilo delle conseguenze dannose concretamente risarcibili, va considerato quanto segue.
Il ricorrente, pur senza operare una formale distinzione tra i due profili di danno, lamenta un duplice ordine di conseguenze pregiudizievoli.
In primo luogo, si richiede il risarcimento del danno morale derivante dall’essere stato sottoposto, senza valide ragioni, ad accertamenti psichiatrici circa la propria “personalità” finalizzati a chiarire le cause, in senso “psichico,” della condotta oggetto dell’incolpazione (presunte avances a sfondo sessuali nei confronti di detenuti) poi rivelatasi infondata.
In secondo luogo, il ricorrente lamenta di essere stato deriso ed emarginato dai suoi colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicende personali, e di aver vissuto una forte situazione di stress per il timore che la sua famiglia fosse informata di quello che succedeva. Il ricorrente lamenta, inoltre, di essere stato “costretto”, in ragione di tali circostanze ambientali sfavorevoli, a chiedere il trasferimento a Foggia.
Quanto al primo ordine di conseguenze (attinenti alla sofferenza interiore derivante dall’indebita sottoposizione ad accertamenti psichiatrici), ritiene il Tribunale che la pretesa al risarcimento sia fondata.
Può, infatti, ritenersi che la circostanza di essere stato sottoposto ad accertamenti psichiatrici finalizzati a valutare l’idoneità al servizio in ragione della presunta omosessualità del ricorrente (rilevante, secondo l’amministrazione, sul piano della “personalità” del dipendente) sia idonea a cagionare un danno non patrimoniale, sotto forma di sofferenza morale, in quanto veniva messa in dubbio l’idoneità del dipendente allo svolgimento delle proprie mansioni in ragione di quello che si presumeva fosse il suo orientamento sessuale, veicolando l’idea per cui l’omosessualità (attribuita al ricorrente) potesse essere ritenuta un disturbo della personalità. In questa prospettiva non rileva la circostanza dell’effettivo orientamento sessuale del ricorrente, in quanto ciò a cui si ricollega l’esistenza del danno è la condotta consistita nell’aver attribuito al dipendente uno stato di salute (in tesi, un disturbo della personalità) tale da rendere necessario un accertamento psichiatrico, notoriamente connotato da un grado di “invasività” non trascurabile, in particolar modo nei casi in cui tale accertamento attenga ad una sfera strettamente personale quale quella dell’orientamento sessuale.
La liquidazione di tale posta di danno può essere operata equitativamente a norma dell’art. 1226 c.c., attesa l’impossibilità di fornire mediante gli ordinari mezzi istruttori la prova dell’entità del pregiudizio. Il Tribunale ritiene, dunque, che il danno risarcibile, alla luce della circostanza per cui il ricorrente è stato autoritativamente sottoposto ad un solo esame psichiatrico presso la C.M.O. (preceduto da visita presso il medico competente), possa essere equitativamente liquidato in euro 10.000,00.
Quanto al secondo ordine di conseguenze pregiudizievoli, diversamente, la domanda non può trovare accoglimento in quanto non vi è prova che il pregiudizio lamentato sia “più probabilmente che non” derivato dalla condotta dell’amministrazione consistita nel sottoporre il dipendente ad illegittimi accertamenti psichiatrici sulla propria sessualità. Infatti, non vi sono elementi che possano condurre ad escludere che le conseguenze pregiudizievoli lamentate siano state cagionate da fattori causali alternativi. A titolo esemplificativo, non può ragionevolmente escludersi che tali pregiudizi siano derivati dalla diffusione di informazioni relative al procedimento disciplinare instaurato nei confronti dell’Agente Scelto -OMISSIS-, e non dagli indebiti accertamenti sanitari a cui il ricorrente è stato sottoposto.
In mancanza di idonea prova del nesso di causalità (c.d. giuridica) tra evento di danno e singole conseguenze pregiudizievoli lamentate (necessaria ai fini della quantificazione del danno risarcibile ex art. 1223 c.c.) non possono, dunque, essere risarciti i pregiudizi afferenti al peggioramento delle condizioni di lavoro nei rapporti con i colleghi ed al trasferimento verso la sede di Foggia.
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono si impone l’accoglimento della domanda, con conseguente condanna dell’amministrazione resistente al pagamento in favore del ricorrente della somma di euro 10.000,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, oltre interessi legali dalla data della decisione al saldo.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico di parte resistente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e condanna l’amministrazione resistente al pagamento in favore di parte ricorrente della somma di euro 10.000,00, oltre interessi al tasso legale dalla data della presente pronuncia al saldo.
Condanna parte resistente al pagamento in favore di parte ricorrente delle spese di lite, determinate in euro 325,00 per anticipazioni ed euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario al 15%, IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente ed eventuali soggetti terzi.