Ripercorrendo quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 142/2023, la Cassazione accoglie il ricorso avente ad oggetto la richiesta di equo indennizzo per l'irragionevole durata del processo.
L'attuale ricorrente domandava alla Corte d'Appello di Messina la corresponsione di un equo indennizzo ex
Svolgimento del processo
F.G. domandò alla Corte d’appello di Messina la corresponsione di un equo indennizzo, ai sensi della legge n. 689/1981, assumendo l’irragionevole durata del giudizio relativo al risarcimento dei danni conseguenti ad un illecito trattamento dei propri dati personali. Il giudice adito dichiarò l’inammissibilità del ricorso sostanzialmente per il mancato esperimento dei rimedi preventivi rispetto al processo di cassazione, quello per il quale erano stati superati i limiti ragionevoli.
La conseguente opposizione ex art. 5 ter l. n. 89/01 proposta dal G. fu respinta dalla Corte d’appello di Messina, sulla considerazione che il giudizio di cassazione aveva avuto inizio il 5 gennaio 2017, dopo l’entrata in vigore della modifica della legge Pinto riguardante l’introduzione dei rimedi preventivi.
Ricorre per cassazione il G. con tre motivi, illustrati da successiva memoria.
Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso, svolgendo altresì quattro motivi di ricorso incidentale.
Motivi della decisione
1. La Corte deve esaminare – per ragioni di priorità logica – il ricorso incidentale della difesa erariale, articolato su quattro motivi, che s’imperniano sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 89/01, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. In particolare, si censura l’applicabilità della sospensione dei termini per il periodo feriale al termine decadenziale, di natura sostanziale. Si aggiunge che, qualora il termine fosse da considerarsi processuale, dovrebbe essere ammesso il ricorso alla mediazione. Il periodo feriale non sarebbe neppure applicabile al termine semestrale e vi sarebbe altresì spazio per la “mediazione facoltativa”.
Il ricorso incidentale è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c. (cfr. sulla formula definitoria, Cass. SSUU 7155/2017).
1.1. La giurisprudenza di questa Suprema Corte, con un orientamento assolutamente costante, ha affermato che, poiché fra i termini per i quali l'art. 1 della l. n. 742 del 1969 prevede la sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all'introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorché l'azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l'unico rimedio per fare valere il diritto stesso, detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto dall'art. 4 della l. n. 89 del 2001 per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo (tra le varie, v. Sez. 2, n. 21694 del 20 luglio 2023; Sez. 2, n. 14493 del 6 giugno 2018; Sez. 2, n. 5423 del 18 marzo 2016).
Il ricorso incidentale non offre elementi per rivedere taler orientamento.
2. Passando adesso all’esame del ricorso principale, col primo motivo, deducendosi la violazione dell’art. 6, comma 2 bis della legge n. 89/2001, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., si denuncia che la Corte d’appello, ai fini della considerazione del giudizio presupposto, avrebbe erroneamente preso in esame il solo procedimento di cassazione, laddove tale interpretazione non sarebbe stata avvalorata da alcun dato normativo ed avrebbe urtato con quanto stabilito dall’art. 2 bis e ter della legge n. 89/01. Pertanto, il giudizio presupposto avrebbe dovuto essere considerato nella sua interezza e non per singoli gradi.
2.a. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione degli artt. 1 ter e 2 l. n. 89/2001. L’interpretazione offerta dal decreto impugnato sarebbe stata contraria alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 2 quinquies lett. E) e successivamente dell’art. 1 bis, in relazione all’art. 2 l. n. 89/01.
2.b. Con la terza censura, nel caso in cui la Corte non reputasse la già intervenuta abrogazione dell’art. 1 ter comma 6 della legge n. 89/01, viene posta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, in relazione all’art. 1 ter, comma 6° della legge 24 marzo 2001 n. 89 per contrasto con l’art. 117 Cost. con riferimento agli artt. 6 e 13 della CEDU, così come interpretati dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Le norme della legge n. 89/01 non garantirebbero, infatti, in modo efficace ed effettivo l’accelerazione della decisione, non corrispondendo alla presentazione delle stesse alcuna effettiva diversa considerazione della vicenda processuale, sicché si tradurrebbe in un inutile adempimento formale privo di conseguenze favorevoli, ma in grado di ostacolare l’accesso al procedimento di equo indennizzo.
I tre motivi, in esito ad una trattazione unitaria – in virtù della connessione logico giuridica che li avvince – devono essere accolti.
3. L’art. 2 comma 2 bis della legge n. 81/2001 recita: “Si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità. Ai fini del computo della durata il processo si considera iniziato con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell'atto di citazione”.
Il frazionamento è dunque prospettato dallo stesso legislatore ed è perciò possibile avere riguardo esclusivamente al grado del giudizio interessato al ritardo, anche perché ciò risponde alle esigenze di individuare le specifiche lacune temporali nello svolgimento di ogni singola fase della causa, in vista dell’accertamento di eventuali responsabilità contabili. Ne consegue la correttezza del ragionamento della Corte d’appello, nel prendere in considerazione la fase processuale in cui il ritardo irragionevole si è effettivamente verificato.
3.a. Tuttavia, proprio a voler considerare la fase di legittimità, questa Corte rileva che, successivamente alla pronunzia impugnata, è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 142 del 19 luglio 2023, la quale, nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1-ter, comma 6, della legge 24 marzo 2001, n. 89, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, della predetta legge, “nella parte in cui prevede l'inammissibilità della domanda di equa riparazione nel caso di mancato esperimento del rimedio preventivo di cui all'art. 1-ter, comma 6, della medesima legge”.
3.b. La Corte Costituzionale, dopo aver osservato che i rimedi preventivi sono preferibili purché “ne consegua un rimedio effettivo, ciò che accade soltanto laddove venga realmente resa più sollecita la decisione da parte del giudice competente (in tal senso, di recente, Corte europea dei diritti dell'uomo, quinta sezione, sentenza 30 aprile 2020, Keaney contro Irlanda, e prima sezione, sentenza 28 aprile 2022, Verrascina ed altri contro Italia)” ha aggiunto “Con particolare riferimento all'istanza di accelerazione introdotta come rimedio preventivo nell'ambito del processo penale dall'art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del 2001, questa Corte ha affermato che la sua presentazione «non offre alcuna garanzia di contrazione dei tempi processuali, non innesta un modello procedimentale alternativo e non costituisce perciò uno strumento a disposizione della parte interessata per prevenire l'ulteriore protrarsi del processo, né implica una priorità nella trattazione del giudizio» (sentenza n. 175 del 2021). Le medesime considerazioni possono essere replicate in relazione all'istanza di accelerazione da depositare nel giudizio davanti alla Corte di cassazione delle disposizioni oggetto dell'odierno scrutinio. Alla luce della vigente disciplina processuale, infatti, la sua presentazione non vincola il giudice «a quanto richiestogli» (sentenza n. 88 del 2018), ossia ad instradare su un binario preferenziale il processo nel quale l'istanza di accelerazione è depositata nei termini prescritti. In altre parole, nulla esclude che il processo, «pur a fronte di una siffatta istanza, [possa] comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di sua ragionevole durata» (sentenza n. 169 del 2019), in violazione anche dell'art. 111, secondo comma, Cost. A differenza dei casi scrutinati dalle sentenze n. 107 del 2023 e n. 121 del 2020, con riferimento ai rimedi preventivi introdotti dai commi 1 e 3 dell'art. 1-ter della legge n. 208 del 2015, il deposito dell'istanza in esame non si risolve nella «proposizione di possibili, e concreti, "modelli procedimentali alternativi", volti ad accelerare il corso del processo, prima che il termine di durata massima sia maturato» (sentenza n. 121 del 2020). La disciplina processuale del giudizio davanti alla Corte di cassazione, infatti, non ricollega al deposito dell'istanza di accelerazione in esame alcun effetto significativo sui tempi del procedimento, dal momento che il legislatore non ha previsto, come conseguenza della presentazione di essa, l'attivazione, fosse pure mediata dalla valutazione del giudice, di un diverso - e, in tesi, più celere - modulo procedimentale per addivenire alla decisione della causa. La possibilità di offrire alle parti un diverso, e più sollecito, modello procedimentale non è certo agevolata dalle peculiarità del giudizio di legittimità, caratterizzato dalla mancanza di una fase istruttoria e dalla circostanza che la causa viene discussa - per essere decisa nella stessa seduta - in un'unica udienza o adunanza, a seconda che trovi applicazione il procedimento in pubblica udienza oppure quello in camera di consiglio. Tuttavia, tali caratteristiche non impediscono, in assoluto, di introdurre semplificazioni procedurali che incidano, riducendoli, sui tempi del processo……In ogni caso, il deposito dell'istanza di accelerazione in parola, in tempo utile ad evitare il superamento dei termini di ragionevole durata del processo, costituisce manifestazione della volontà di ottenere una decisione rapida. La mancata presentazione di tale istanza, quindi, «può eventualmente assumere rilievo (come indice di sopravvenuta carenza o non serietà dell'interesse al processo del richiedente) ai fini della determinazione del quantum dell'indennizzo ex lege n. 89 del 2001» (sentenza n. 169 del 2019). Quel che, invece, non risulta conforme ai parametri costituzionali evocati è che l'omesso deposito dell'istanza possa condizionare la stessa ammissibilità della domanda di equa riparazione (in senso analogo, sentenza n. 175 del 2021)”.
Il decreto impugnato va dunque cassato, per quanto di ragione, ed il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, dovrà riesaminare il periodo utile, ai fini dell’equo indennizzo, sulla scorta del principio sopra enunciato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso incidentale, accoglie il ricorso principale, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Messina in diversa composizione.