
Svolgimento del processo
1. con sentenza 15 febbraio 2021, la Corte d’appello di Genova, ha annullato il licenziamento intimato il 18 febbraio 2019 da (omissis) s.p.a. al proprio dipendente (omissis) (macellaio di III livello con contratto part time verticale pari a 32 ore settimanali) per superamento del periodo di comporto, condannato la società a reintegrarlo nel posto di lavoro e al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione non superiore a dodici mensilità, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dalla data del licenziamento a quella di effettiva reintegrazione maggiorati degli interessi legali: così riformando la sentenza di primo grado, che, in esito a rito Fornero, aveva dichiarato nullo il licenziamento intimato con applicazione della tutela prevista dal testo novellato dell’art. 18, primo comma legge n. 300/1970;
2. come il Tribunale, essa ha ritenuto illegittimo il licenziamento, per non avere il lavoratore – soggetto dall’anno 2009 a condizione di particolare morbilità dipendente da due patologie professionali riconosciute dall’Inail caratterizzate da una situazione cronica suscettibile di continue riacutizzazioni – superato il periodo di comporto contrattualmente previsto (di 104 giorni, secondo i calcoli di (omissis) s.p.a. per il regime di part time verticale misto del lavoratore), con i 110 giorni di assenze per malattia da febbraio 2018 a febbraio 2019, sommati ai pregressi degli anni precedenti. E ciò, in conseguenza della richiesta di aspettativa non retribuita (di durata massima di 120 giorni, a norma dell’art. 181 del CCNL applicato) inoltrata dal lavoratore alla società datrice, per cautelarsi dal rischio di superamento del periodo di comporto (per la sua condizione patologica cronica degenerativa in progress) ancorché in un periodo (non di malattia, ma) di prestazione di regolare servizio, con lettera datata il 28 novembre 2017, non riscontrata da (omissis) s.p.a.: non avendo essa considerato, nonostante la specifica prescrizione in tale senso dell’art. 181 citato (accompagnata da quella di contestuale comunicazione “per iscritto” del“la scadenza del periodo di aspettativa”) e la patologia del lavoratore con riacutizzazioni recidivanti, ancora valida la sua richiesta di aspettativa, con un comportamento contrario a buona fede e correttezza;
3. la Corte territoriale ha tuttavia applicato, ricorrendo i requisiti dimensionali aziendali, la specifica tutela prevista dal testo novellato dell’art. 18, settimo comma (di rinvio al quarto) della legge n. 300/1970, anziché il regime di tutela obbligatoria stabilito dall’art. 8 della legge n. 604/1966, erroneamente adottato dal Tribunale, di nullità per contrarietà a norma imperativa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418 e 2110, secondo comma c.c.;
4. con atto notificato il 14 aprile 2021, la società ha proposto ricorso per cassazione con otto motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., cui il lavoratore ha resistito con controricorso;
5. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Motivi della decisione
1. la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 175 e 181 del CCNL terziario 18 luglio 2008, richiamato dal CCNL DMO 19 dicembre 2018 e 2110 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente inteso la possibilità di richiesta dell’aspettativa non retribuita per malattia, al verificarsi di patologie croniche, anche da parte del lavoratore non assente per malattia al momento della richiesta, in quanto valevole per morbilità future, anziché nei confronti di lavoratori in malattia, senza soluzione di continuità, per la previsione di “prolungamento” della conservazione del posto di lavoro (primo motivo);
violazione e falsa applicazione degli artt. 175 e 181 del CCNL terziario 18 luglio 2008, richiamato dal CCNL DMO 19 dicembre 2018, per avere la Corte territoriale erroneamente inteso l’obbligo datoriale di riscontro della richiesta di aspettativa non retribuita del dipendente, anche se non in malattia, dovendo il datore di lavoro nella comunicazione di risposta indicare anche la scadenza del periodo di aspettativa (secondo motivo);
violazione e falsa applicazione degli artt. 175 e 181 del CCNL terziario 18 luglio 2008, richiamato dal CCNL DMO 19 dicembre 2018, 1175, 1375 e 2110 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la sussistenza dell’obbligo datoriale di avviso del dipendente della prossima scadenza del periodo di comporto, in assenza di una tale prescrizione del CCNL (terzo motivo);
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1367 in relazione agli artt. 175, 181 e 182 del CCNL terziario 18 luglio 2008, richiamato dal CCNL DMO 19 dicembre 2018, per avere la Corte territoriale, nell’inosservanza dei denunciati canoni interpretativi, erroneamente ritenuto il diritto di richiesta di aspettativa non retribuita anche del lavoratore non in malattia e il periodo di comporto non sia scaduto, con l’obbligo datoriale di rispondere a tale richiesta anche quando il dipendente sia in servizio e di avvisarlo, quando sia assente per malattia, della prossima scadenza del periodo di comporto (quarto motivo); nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., dell’art. 111 Cost. e vizio motivo, per il contrasto e l’inconciliabilità delle affermazioni, da una parte, del diritto del lavoratore di chiedere l’aspettativa non retribuita in via cautelativa, anche se non assente per malattia e, dall’altra, della possibilità datoriale di risposta tramite “un riscontro anche di non luogo a provvedere per il venir meno dell’esigenza prospettata e chiudendo in tal modo la pratica” (quinto motivo);
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la non corrispondenza alla documentazione medica, trasmessa dal lavoratore alla società datrice, della riconducibilità della malattia determinante la scadenza del comporto e il conseguente licenziamento alla stessa patologia cronica sofferta dal lavoratore, in occasione di precedenti assenze dal lavoro che lo avevano indotto alla richiesta in via cautelativa (sesto motivo);
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la difficoltà di un computo preciso del numero di assenze consentite nell’ambito di un rapporto lavorativo part time verticale misto, rilevandosi invece dalle buste paga i parametri di calcolo dei giorni di comporto residuo (settimo motivo);
violazione e falsa applicazione degli artt. 2110 c.c., 2 d.l. 663/1979 conv. in legge n. 33/1980 e 3 d.p.r. 1124/1965, per l’equiparazione della malattia professionale, collegata all’occasione di lavoro e riconosciuta dall’Inail, alla malattia cronica ai sensi della disciplina degli artt. 175 e 181 del CCNL terziario 18 luglio 2008, intesa come evento morbile produttivo di temporanea incapacità assoluta al lavoro (ottavo motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati;
3. preliminarmente, giova ribadire come a questa Corte competa esaminare direttamente le disposizioni di CCNL (in funzione cd. paranormativa), per la parifìcazione della denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, sul piano processuale, a quella delle norme di diritto, comportante, in sede di legittimità, l'interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. c.c.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell'esattezza e della congruità della motivazione (Cass. 19 marzo 2014, n. 6335; Cass. 20 dicembre 2023, n. 35607);
4. l’art. 181, primo comma del CCNL terziario 18 luglio 2008, richiamato dal CCNL DMO 19 dicembre 2018 riconosce il diritto di aspettativa non retribuita né superiore a 120 giorni (ulteriore rispetto al periodo di comporto, riconosciuto nel massimo di 180 giorni, a norma dell’art. 175, primo comma del CCNL cit. e calcolato – in specifico riferimento al rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto, come quello del lavoratore odierno – ai sensi dell’art. 77, ultimo comma CCNL cit.) “nei confronti dei lavoratori ammalati … alla condizione che siano esibiti dal lavoratore regolari certificati medici”.
L’art. 181, secondo comma onera i lavoratori che intendano beneficiarne, della “richiesta a mezzo raccomandata A.R. prima della scadenza del 180° giorno di assenza per malattia” con firma di “espressa accettazione della suddetta condizione”.
Ad essa il “datore di lavoro darà riscontro … comunicando per iscritto la scadenza del periodo di aspettativa” (art. 181 quarto comma): dovendosi intendere la locuzione “alla richiesta di cui al precedente comma” riferita, non soltanto all’ipotesi, diversa e qui non ricorrente, del terzo comma dell’art. 181 in esame (di possibilità di fruizione dal lavoratore, per il “protrarsi dell’assenza a causa di una patologia grave e continuativa che comporti terapie salva(omissis) periodicamente documentata da specialisti del Servizio Sanitario Nazionale … previa richiesta scritta, di un ulteriore periodo di aspettativa fino a guarigione clinica e comunque di durata non superiore a 12 mesi”), ma anche al caso invece qui in esame: posto che, con la richiesta di aspettativa, il lavoratore esercita una propria facoltà, specificamente riconosciutagli dal CCNL e che esige sempre, come ogni altra, una risposta da chi (il datore di lavoro) abbia il potere di soddisfarla e con le modalità di comunicazione previste;
4.1. quanto alla locuzione normativa dell’art. 181, primo comma “lavoratori ammalati”, in applicazione dei canoni interpretativi del senso letterale secondo l’intenzione delle parti e della ratio dell’istituto, nella prospettiva di una lettura in combinata disposizione degli artt. 1362 (il dato letterale) e 1363 c.c. (il dato sistematico), secondo l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità consolidato (in particolare, ribadito da: Cass. 18 novembre 2019, n. 29893, in motivazione sub p.to 3.2; Cass. 8 agosto 2023, n. 24091, in motivazione sub p.to 6), essa deve essere intesa (come, d’altronde, esattamente anche dalle Corti di merito) alla stregua di una condizione fenomenica non soltanto puntuale di morbilità in atto, ostativa alla presenza in servizio del lavoratore, bensì quale condizione patologica cronica suscettibile di continue riacutizzazioni in alternanza a fasi di stabilizzazione, compatibili con la ripresa dell’attività lavorativa (come accertato dalla Corte d’appello al terzo e quarto capoverso di pg. 6 e al primo capoverso di pg. 8 della sentenza).
Né può essere ignorato che una tale condizione abbia reso difficoltoso al lavoratore odierno controricorrente, per la natura della patologia e del rapporto di lavoro (a tempo parziale di tipo verticale o misto), il computo del periodo di comporto: secondo una valutazione plausibile e più che adeguata della Corte ligure (così al terz’ultimo e penultimo capoverso di pg. 6 della sentenza), rispetto alla quale la parte ricorrente ha contrapposto la propria, con la deduzione del settimo motivo, inammissibile per la soltanto formale enunciazione di un omesso esame, in difetto di un fatto storico, per la deduzione piuttosto di una contestazione valutativa (relativa alla difficoltà di un computo preciso del numero di assenze consentite, rilevabile dai parametri di calcolo contenuti nelle buste paga);
4.2. le superiori argomentazioni evidenziano anche l’infondatezza delle doglianze di omesso esame del sesto motivo (in ordine alla circostanza di non corrispondenza della patologia cronica ritenuta alla documentazione medica in atti) e di error in iudicando dell’ottavo motivo (erronea equiparazione di una malattia professionale, collegata all’occasione di lavoro e riconosciuta dall’Inail, ad una malattia cronica), per l’accertamento in fatto della Corte territoriale nel senso detto (dal terzo al penultimo capoverso di pg. 6 della sentenza), pure riscontrato dalla trascrizione delle allegazioni, al capo NN del ricorso introduttivo del lavoratore, di possibilità di documentare con certificazioni mediche, corredate da “schemi” riepilogativi, “i singoli certificati per diagnosi nonché i singoli certificati medici” (all’ultimo capoverso di pg. 6 del controricorso);
5. già lo si è anticipato (al superiore punto 4), ma è bene qui ribadire che la richiesta di aspettativa del lavoratore del 28 novembre 2017, contenente quella contestuale di “cortese riscontro, con comunicazione scritta, della scadenza del periodo di aspettativa” (trascritta al p.to 55 di pg. 40 del ricorso), esige(va) pertanto una risposta: nel caso di specie, mancata ancorché dovuta per la previsione dell’art. 181, quarto comma CCNL cit. sopra riportata. Sicché, non sussiste alcuna nullità della sentenza per contrasto, né inconciliabilità delle affermazioni in essa contenute (come infondatamente denunciato con il quinto motivo), in relazione alla piana e congrua valutazione del giudice di merito in ordine alla natura “cautelativa aperta” della domanda di aspettativa (all’ultimo capoverso di pg. 6 della sentenza), ricorrendo anzi la violazione dell’obbligo di correttezza e buona fede;
5.1. è risaputo che nel rapporto di lavoro i principi di correttezza e buona fede rilevino come norme di relazione con funzione di fonti integrative del contratto (art. 1374 c.c.), ove ineriscano a comportamenti dovuti in relazione ad obblighi di prestazione imposti al datore di lavoro dal contratto collettivo o da altro atto di autonomia privata; con la conseguenza che, in assenza di qualsiasi obbligo previsto dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro non ha l'onere di avvertire preventivamente il lavoratore della imminente scadenza del periodo di comporto per malattia al fine di permettere al lavoratore di esercitare eventualmente la facoltà, prevista dal contratto collettivo, di chiedere tempestivamente un periodo di aspettativa (Cass. 10 aprile 1996, n. 3351; Cass. 4 giugno 2014, n. 12563): nel caso di specie, essendo invece previsto. La comunicazione al lavoratore dell'approssimarsi del superamento del periodo di comporto risponde anche alla finalità di consentire al dipendente di porre in essere iniziative, quali le richieste di ferie o di aspettativa (argomentando da Cass. 28 giugno 2006, n. 14891; Cass. 17 agosto 2018, n. 20761; Cass. 11 settembre 2020, n. 18960, in motivazione sub p.to 10.3: nella comune prospettiva, in ragione della diversa questione devoluta, di irrilevanza della mancata conoscenza da parte del lavoratore del limite cd. esterno del comporto e della durata complessiva delle malattie; non costituendo, in mancanza di un obbligo contrattuale di comunicazione datoriale al lavoratore dell'approssimarsi del superamento del periodo di comporto, la sua omissione una violazione da parte del datore di lavoro dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto);
5.2. infine, deve essere ribadito come la questione in esame sia da ricondurre a quel “punto di equilibrio fra l'interesse del lavoratore a disporre d'un congruo periodo di assenze per ristabilirsi a seguito di malattia o infortunio e quello del datore di lavoro di non doversi fare carico a tempo indefinito del contraccolpo che tali assenze cagionano all'organizzazione aziendale” astrattamente predeterminato nell'art. 2110, secondo comma c.c. (Cass. 16 settembre 2022, n. 27334, in motivazione, sub p.to 20), rientrante nella più ampia categoria dei c.d. “accomodamenti ragionevoli”, gravanti il datore di lavoro dell'obbligo di previa verifica della possibilità di adattamenti organizzativi ragionevoli nei luoghi di lavoro ai fini della legittimità del recesso, secondo una interpretazione conforme agli obiettivi della direttiva 2000/78/CE (Cass. 9 marzo 2021, n. 6497, in motivazione, sub p.to 4);
6. pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione al difensore antistatario secondo la sua richiesta e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.