La Corte d'Appello milanese confermava la decisione del Giudice di prime cure nei confronti di Caia e Tizio per il reato di diffamazione aggravata, commesso, dalla prima, in qualità di giornalista di una nota testata giornalistica e, dal secondo, quale direttore del medesimo quotidiano.
In particolare, gli imputati...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 3 aprile 2023, la Corte d'appello di Milano ha confermato il provvedimento reso dal Giudice di primo grado nei confronti di (omissis) e (omissis)per il reato di diffamazione aggravata, commesso, dalla prima, in qualità di giornalista del (omissis) e, dal secondo, quale direttore responsabile del medesimo quotidiano, con cond(omissis) di ciascuno alla pena di euro 900 di multa, risarcimento del danno a favore della parte civile, (omissis), e provvisionale di euro 8.000.
Secondo la rubrica, gli imputati offendevano la reputazione di (omissis) -all'epoca dei fatti, magistrato presso il Tribunale di Napoli- con due articoli pubblicati in data 12 novembre 2015 sul citato quotidiano e sulla versione online dello stesso, in cui, facendo riferimento a conversazioni intercettate nell'ambito di un'inchiesta coordinata dalla Procura di Napoli, si riferivano alla persona offesa le seguenti due circostanze: 1) aver pronunciato la frase "abbiamo finita. È fatta" nel corso di una conversazione telefonica (del 17 luglio 2015) col marito, (omissis) M(omissis), occorsa durante una pausa della camera di consiglio avente a oggetto l'eventuale sospensione di (omissis) dall'incarico di Presidente della Regione Campania. Nell'articolo di stampa, a firma di (omissis), tale frase veniva posta in correlazione con manovre illecite del marito della persona offesa, tese a ottenere una decisione favorevole al Presidente (omissis) in cambio di un incarico dirigenziale per (omissis) stesso presso la Regione Campania; la persona offesa partecipava a quella camera di consiglio in qualità di giudice relatore. Nel medesimo articolo si riferiva, inoltre, al magistrato-persona offesa 2) una conversazione (del 2 agosto 2015) con il marito (conversazione in realtà avvenuta tra (omissis) e sua sorella (omissis)) nel corso della quale si discuteva dei possibili incarichi in Regione Campania che (omissis) avrebbe ottenuto, avendo egli stesso favorito il ricorso del Presidente (omissis) presso il Tribunale di Napoli.
I Giudici di merito hanno ritenuto che le parti più significative dei due articoli di stampa contenessero riferimenti a fatti risultati non veri e che l'autrice avesse evitato di procedere a una rigorosa verifica delle fonti. Con riferimento alla frase "abbiamo finita. È fatta", si è sostenuto che mai, in nessuna parte della conversazione intercettata, quella frase è stata pronunciata; la sintesi utilizzata dall'autrice corrisponderebbe a un'interpretazione soggettiva delle parole intercettate e non può ritenersi, pertanto, scriminata dal diritto di cronaca, in quanto resa in violazione del principio di verità. Eguale conclusione è stata raggiunta con riferimento alla seconda conversazione, non corrispondendo a verità la notizia nella parte in cui l'interlocutrice di M(omissis) viene indicata in (omissis), trattandosi, invece, di (omissis) M(omissis), sorella di (omissis). La scriminante invocata dalla difesa, ha affermato la Corte d'appello, non può ravvisarsi neppure sotto il profilo putativo; sicché tutto ciò che, in tale occasione, è stato detto circa la correlazione tra l'ottenimento dell'incarico in Regione a favore del M(omissis) e l'esito del ricorso del Presidente (omissis), favorevole a quest'ultimo, è circostanza che ha coinvolto unicamente (omissis) e sua sorella, non anche la persona offesa.
2. Avverso la sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, con atto unico a firma dell'Avv. (omissis), affidando le proprie censure ai sei motivi, preceduti da una premessa più generale, tesa a evidenziare un vizio motivazionale di fondo che inficerebbe la tenuta logica dell'impugnata sentenza. I giudici del merito avrebbero valutato il caso di specie alla luce di un evento successivo ai fatti di cui è causa, vale a dire l'assoluzione della persona offesa, (omissis), dal reato di corruzione in atti giudiziari, di cui quest'ultima era stata era imputata quale concorrente col marito (omissis) M(omissis). L'assoluzione della persona offesa è stata infatti decisa con provvedimento del 10 febbraio 2022; le due sentenze conformi -di primo e secondo grado- relative alla diffamazione di cui al presente ricorso sono entrambe successive rispetto alla pronuncia di assoluzione di (omissis).
Secondo la difesa, l'assoluzione dell'odierna persona offesa avrebbe dunque dispiegato un'influenza decisiva e distorsiva sulla pronuncia qui impugnata, indirizzando i Giudici di merito verso un'inammissibile valutazione ex post, che trapela in più parti della motivazione dell'impugnata sentenza.
2.1 Tanto premesso, si deduce, con il primo motivo vizio di motivazione, per manifesta illogicità e contraddittorietà della stessa, oltre che per travisamento di prova. La Corte territoriale avrebbe infatti ignorato il compendio probatorio, prodotto dalla difesa in appello, idoneo a legittimare l'applicazione dell'invocata scriminante del diritto di cronaca, nella forma piena o putativa. La produzione documentale prodotta dalla difesa contemplava, tra l'altro, copie del decreto autorizzativo di intercettazioni telefoniche della Procura di Roma, di informative della Questura di Napoli, dell'avviso all'inda9ata della conclusione di indagini preliminari, e di dichiarazioni rese in udienza dalla stessa (omissis). Ebbene, da siffatto compendio documentale sarebbe stato agevole evincere come l'imputata (omissis) si fosse limitata a riportare nell'articolo, in forma sintetica, l'ipotesi accusatoria della Procura di Roma, che aveva correlato le due conversazioni intercettate -di cui al capo d'imputazione- a manovre illecite del M(omissis), marito del giudice (omissis), tese a ottenere una decisione giudiziale favorevole al Presidente (omissis) in cambio di un incarico dirigenziale per (omissis) presso la Regione Campania. Stralci delle intercettazioni posti a base di tale ipotesi accusatoria sono stati ripresi nell'articolo di stampa.
Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d'appello, la giornalista non si è sostituita agli inquirenti, pubblicando conclusioni proprie e non veritiere.
2.2 Col secondo motivo, si eccepisce vizio di motivazione in relazione all'invocata scriminante del diritto di cronaca, per avere la Corte territoriale illogicamente ritenuto, da un lato, che la sintesi della prima conversazione tra la persona offesa e (omissis) (quella del 17 luglio 2015), riportata nell'articolo, fosse fedele al contenuto dell'intercettazione e del materiale investigativo dell'epoca, e, dall'altro, che l'autrice avesse riversato nell'articolo le proprie, soggettive conclusioni dopo aver proceduto al vaglio del materiale investigativo.
2.3 Col terzo motivo motivo, si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 21 Cost., 51 e 595 cod. pen., e 530 del codice di rito, per non avere la Corte d'appello assolto l'imputata perché il fatto non costituisce reato e il direttore perché il fatto contestato non sussiste.
L'esimente del diritto di cronaca, su cui è incentrato il motivo, è stata negata sull'erroneo presupposto della falsità dei fatti riferiti. Nel valutare il contenuto dei fatti riportati nell'articolo di stampa, la Corte avrebbe errato sia perché ha individuato, in quell'articolo, un dato -in realtà mai menzionato dalla giornalista vale a dire la conoscenza, in capo alla persona offesa, delle manovre poste in essere del marito, sia perché ha ritenuto che la giornalista non avesse correttamente contestualizzato le due conversazioni attraverso il riferimento alle successive telefonate intercettate, intercorse tra i medesimi interlocutori e con altre persone. In realtà -contesta la difesa- nell'articolo, da un lato, si fa invece riferimento a successive conversazioni tra (omissis) e persone dello staff del Governatore e, dall'altro, si chiarisce che il solo a essere convinto di ottenere la promozione fosse (omissis), come risulta anche dalla seconda conversazione indicata nel capo d'imputazione.
La Corte territoriale avrebbe operato malgoverno dei principi elaborati da questa Corte circa l'esimente del diritto di cronaca giudiziaria e, segnatamente, del principio in base al quale è sufficiente la corrispondenza tra quanto scritto dal giornalista e il relativo atto giudiziario, essendo il criterio della verità della notizia strettamente correlato con gli sviluppi delle indagini e non potendo richiedersi al giornalista di dimostrare la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria; e del principio per cui la verità dei fatti oggetto della notizia non è scalfita da inesattezze secondarie che non alterino, nel contesto dell'articolo, la portata informativa dello stesso rispetto al soggetto al quale sono riferibili.
2.4 Il quarto motivo ha a oggetto la mancata, erronea esclusione della scriminante nella forma putativa, posto che la giornalista -fatto salvo l'involontario errore sulla identità dell'interlocutrice donna nella seconda telefonata- ha riportato i dati nella legittima convinzione di darne una lettura corretta, del resto sovrapponibile alla lettura degli stessi fornita dalla Procura.
2.5 Col quinto motivo, si lamenta violazione di legge in relazione alla mancata assoluzione (perché il fatto sussiste o non costituisce reato) dell'altro imputato, il direttore L.F., per non avere la Corte d'appello considerato che quest'ultimo non aveva motivi di dubitare della correttezza dell'operato della giornalista. Il titolo e il sottotitolo dell'articolo erano del testo in linea con i contenuti dello stesso. Né il direttore è tenuto a ripercorrere l'iter delle verifiche fatte dall'autore di un articolo. Attesa la totale assenza di condotte penalmente rilevanti imputabili al direttore, la difesa chiede quindi che il Collegio si pronunci a favore della sua assoluzione perché il fatto non sussiste (in caso di assoluzione della giornalista) o, quanto meno, perché il fatto non costituisce reato, in caso contrario.
2.6 Col sesto motivo, si deduce vizio di motivazione in relazione alla disposta liquidazione della provvisionale, per avere la Corte d'appello erroneamente trascurato 1) l'intero compendio probatorio (già oggetto di disamina sub motivo primo del ricorso) 2) il fatto che mai la parte civile ha chiesto rettifica della notizia data dal (omissis), 3) e per avere, infine, contraddittoriamente ritenuto che la parte civile sia stata travolta dalla vicenda non già a causa della divulgazione di notizie, ma per la pendenza del procedimento penale a suo carico.
3. All'udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Sono state trasmesse, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, a) le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, (omissis), la quale ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilità del ricorso; b) memoria nell'interesse degli imputati, con la quale si chiede, in via subordinata alla richiesta di accoglimento del ricorso, dichiararsi la prescrizione degli ascritti reati; c) conclusioni della difesa degli imputati in replica alla requisitoria scritta del Sostituto procuratore generale.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato, per le ragioni di seguito illustrate.
1.1 Coglie nel segno la difesa a lamentare un'insufficienza del confronto della Corte d'appello col compendio probatorio agli atti, ciò che rende fondato il primo motivo di ricorso. Da quel confronto era possibile evincere, in effetti, che nel momento in cui l'articolo è apparso su (omissis), la persona offesa del presente procedimento era effettivamente indagata dalla Procura di Roma per corruzione in atti giudiziari e tale circostanza era documentalmente provata da atti probatori allegati dalla difesa.
Ora, in tema di diritto di cronaca giornalistica, la verità della notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste qualora essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, sicché è sufficiente che l'articolo pubblicato corrisponda al contenuto degli atti e dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria, non potendo richiedersi al giornalista di dimostrare la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria. Infatti, il criterio della verità della notizia deve essere riferito agli sviluppi di indagine ed istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell'articolo e non già secondo quanto successivamente accertato in sede giurisdizionale (Sez. 5, n. 43382 del 16/11/2010, Lillo, Rv. 248950 - 01; si veda anche Sez. 1, n. 36244 del 08/07/2004, Calabrese, Rv. 229841 - 01, secondo cui in tema di diffamazione a mezzo stampa, nell'ambito della cronaca giudiziaria la verità della notizia non può che essere riferita agli sviluppi di indagine quali risultano al momento della pubblicazione dell'articolo, così come la verifica di fondatezza della notizia, effettuata all'epoca dell'acquisizione di essa, non può che essere aggiornata al momento diffusivo, in ragione del naturale e non affatto prevedibile percorso processuale della vicenda; diversamente, nel caso in cui il giornalista riporti una notizia tratta da un procedimento penale risalente nel tempo e sul particolare onere di verificarne gli esiti giudiziali, onde accertare se la stessa si sia poi rivelata priva di fondamento, tanto da comportare l'assoluzione dell'accusato, v. Sez. 5, n. 21703 del 05/05/2021, Vrenna, Rv. 2:81211 - 01).
Ritiene il Collegio che tali principi giurisprudenziali non siano stati correttamente applicati al caso di specie. Fin dall'incipit della parte motiva dell'impugnata sentenza, la Corte d'appello sottolinea che le notizie pubblicate avevano a oggetto "atti di un procedimento penale, in un momento successivo all'iscrizione" della persona offesa "nel registro degli indagati e alla notificazione del decreto di conclusione delle indagini, ma anteriore alla discovery degli atti" (p. 13 dell'impugnata sentenza).
Traspare, da tali puntualizzazioni, un'inopportuna accentuazione di quanto sarebbe stato accertato in sede giurisdizionale successivamente ai fatti per cui è causa (con la conseguente assoluzione della persona offesa, (omissis), dal reato di corruzione in atti giudiziari, di cui quest'ultima era stata era imputata quale concorrente col marito (omissis) M(omissis)). In tal senso, coglie nel segno la difesa a lamentare quel che potrebbe definirsi un'errata precomprensione della vicenda, un pregiudizio di fondo, che ha viziato la struttura logica dell'intera decisione.
E traspare anche una malintesa interpretazione ed errata applicazione dei menzionati principi giurisprudenziali, laddove la Corte territoriale ricorda che le informazioni riportate nell'articolo costituivano oggetto di "un materiale investigativo che un Tribunale della Repubblica avrebbe dovuto, a seguito di un rinvio a giudizio, sottoporre a un esame nel contraddittorio delle parti e analizzare alla luce di ulteriori emergenze istruttorie, al fine di pervenire alla pronuncia di una decisione, a sua volta soggetta a impugnazione nei successivi gradi di giudizio" (ivi, p. 15).
Ai fini di un corretto esercizio del diritto di cronaca giudiziaria nel momento corrispondente alla fase delle indagini preliminari, al giornalista è richiesto -proprio in ragione della fluidità e incertezza ontologica del contenuto delle investigazioni ez. 5, n. 15587 del 23/01/2017, Di Gregorio e a., n. m., con riferimento a Rv. 262169) - di raccontare i fatti senza enfasi o indebite anticipazioni di colpevolezza, ispirandosi al criterio della verità della notizia: tale criterio, come già illustrato, deve essere tuttavia riferito agli sviluppi di indagine ed istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell'articolo e non già secondo quanto successivamente accertato in sede giurisdizionale.
Ebbene, nel caso di specie, la giornalista, senza concedersi «aprioristiche scelte di campo o sbilanciamenti di sorta a favore dell'ipotesi accusatoria, capaci di ingenerare nel fruitore della notizia facili suggestioni» (Sez. 5, n. 15587 del 23/01/2017, Di Gregorio, cit.), si è limitata a esprimere un dubbio: dopo aver spiegato l'ipotesi investigativa accolta dalle autorità inquirenti in quel preciso momento storico, (omissis) scrive: "e qui c'è un primo dubbio che i pubblici ministeri [...] devono chiarire: la giudice (omissis) è consapevole di quello che il suo consorte sta tramando?." A tal proposito, il Collegio condivide quanto sostenuto dalla difesa nella premessa del ricorso, laddove osserva che l'imputata, nel formulare quel dubbio, avesse inteso non già suggerire al lettore un'ipotesi orientata in chiave colpevolista, bensì sottolineare unicamente come l'ipotesi accusatoria della Procura circa la responsabilità del giudice Scognamiglio fosse ancora da accertare.
1.2 I motivi secondo, terzo e quarto del ricorso -congiuntamente esaminabili in quanto basati, tutti, sull'esimente del diritto di cronaca- sono fondati e assorbono i motivi quinto e sesto. Occorre ricordare che «in tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di cronaca giudiziaria è configurabile, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, quando l'attribuzione del fatto illecito ad un soggetto sia rispondente a quella presente negli atti giudiziari e nell'oggetto dell'imputazione, sia sotto il profilo dell'astratta qualificazione che della sua concreta gravità, con la conseguenza che essa non è invocabile se il cronista attribuisca ad un soggetto un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione (Sez. 5, n. 13782 del 29/01/2020, Kanellos, Rv. 278990 - 01).
Ciò posto, ritiene il Collegio che i fatti, per come descritti nell'articolo per cui è causa, non siano stati travisati, né stravolti, corrispondendo bensì, nel loro nucleo, a quelli oggetto delle indagini dell'epoca. La Corte d'appello concentra le proprie censure soprattutto sull'espressione "abbiamo finito. È fatta", trascurando tuttavia di valorizzare il contenuto dell'intero articolo, alla luce del quale quell'espressione doveva essere valutata. Eppure, nel replicare all'atto d'appello, la Corte territoriale ha rievocato brani tratti dalle intercettazioni delle conversazioni tra i due coniugi, in cui si faceva riferimento ad "aspettative" ("tutto a posto là, tutto fila ... secondo le aspettative?", p. 14 dell'impugnata sentenza, dove il riferimento è alla conversazione del 17 luglio 2015). Rispetto a tali e altri dati (si veda, ad es., il seguente passaggio dell'articolo: "le telefonate dimostrano che lei lo informa in tempo reale di tutto quello che fa. Tanto che lo chiama anche 1'11 settembre, quando deve pronunciarsi su un ricorso sulla stessa materia presentato da un consigliere di Forza Italia"),. la giornalista aveva operato una sintesi, proponendo al lettore, come già ricordato, non già una certezza, bensì il dubbio circa la consapevolezza, in capo alla persona offesa S., delle ambizioni lavorative e di carriera del marito.
Peraltro, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d'appello, non è rimproverabile a un giornalista il fatto di aver operato una sintesi delle conversazioni captate, anziché riportarne l'intero testo, posto che non sempre lo spazio del giornale concesso a un singolo articolo si presta a un'integrale riproposizione di un'intera conversazione. La sintesi stigmatizzata dai giudici di merito risulta, in ogni caso, adeguatamente contestualizzata, attraverso il riferimento, operato nell'articolo, a telefonate successive (rispetto a quelle indicate nel capo d'imputazione) tra marito e moglie (in cui, a seguito di un incontro in Regione, il primo informa la seconda di essere "stato segnato su una specie di bloc notes": con riferimento, nell'articolo, a una telefonata del 3 agosto). Non può pertanto condividersi la censura della Corte d'appello relativa alla mancata contestualizzazione della conversazione del 17 luglio 2015 "alla luce delle successive telefonate intercorsi tra gli stessi soggetti, ovvero con altri" o al mancato riferimento al contesto temporale" delle conversazioni riportate (p. 16). Per quanto appena ricordato, la lettura dell'articolo consegna, invero, un quadro diverso, in cui l'imputata non ha tratto deduzioni soggettive dagli atti di indagine incorso, esercitando bensì il diritto di cronaca nei limiti previsti dall'ordinamento (v. art. 21 Cost., art. 10 Cedu, art. 2, I. 69/1963, che obbliga i giornalisti al "rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede"), precisati dalla giurisprudenza costituzionale (v., ad es., Corte cast. n. 175 del 1971) e di legittimità (ex plur., Sez. 5, n. 39503 del 11/05/2012, Clemente, Rv. 254789); un diritto che, come ricordato dalla Corte d'appello nell'incipit della motivazione, è al tempo stesso un potere e, si aggiunge, un dovere (di informare), dato l'interesse pubblico alla conoscenza della notizia e alla sua attitudine a contribuire alla formazione della pubblica opinione, (si veda, ad es., Sez. 5, n. 51235 del 09/10/2019, Marincola, Rv. 278299; Sez. 5, n. 38096 del 07/10/2010, Patruno, Rv. 248902 - O).
Quanto all'imprecisione della notizia relativa all'interlocutore del M(omissis) nella seconda telefonata menzionata nell'articolo (quella del 2 agosto 2015, intercorsa non già tra S. e M(omissis), bensì tra quest'ultimo e sua sorella (omissis)), può accogliersi l'eccezione difensiva relativa alla marginalità di detta imprecisione rispetto al contesto delle indagini in corso all'epoca e al loro sviluppo in quel preciso momento storico, posto che alcuna conseguenza negativa, ulteriore rispetto a quelle derivanti dalla posizione processuale, può essere derivata dalla diffusione della notizia parzialmente inesatta. Come ricordato dalla stessa Corte territoriale, tra le circostanze certe emergenti all'epoca, non suscettibili di interpretazioni personali, figurava "la conoscenza da parte di (omissis) delle mire del marito, nonché l'interesse dimostrato dalla stessa circa l'esito dell'incontro del marito coi funzionari della Regione in data 3 aprile 2015" (p. 17- 18). La dedotta eccezione è, pertanto fondata, dal momento che in tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini dell'operatività dell'esimente «dell'esercizio del diritto di cronaca, non determinano il superamento della verità del fatto modeste e marginali inesattezze che concernano semplici modalità del fatto senza modificarne la struttura essenziale» (Sez. 5, n. 28258 del 08/04/2009, Frignani, Rv. 244200 - 01).
3. Per le ragioni fin qui esposte, ritiene il Collegio che l'imputata (omissis) vada assolta, ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., perché il fatto non costituisce reato; dal che consegue l'esclusione di qualsivoglia responsabilità penale per omesso controllo in capo al direttore, (omissis)(«il delitto di diffamazione commesso dal giornalista con il mezzo della stampa si configura quale evento di quello attribuibile, ex art. 57 cod. pen., al direttore responsabile la cui condotta omissiva consiste nel non aver esperito i dovuti controlli al fine di evitare che, attraverso il periodico da lui diretto, venisse dolosamente lesa la reputazione di terze persone; sicché, in caso di assoluzione del giornalista dall'imputazione di diffamazione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato, deve altresì escludersi alcuna responsabilità penale in capo al direttore (Sez. 5, n. 22850 del 29/04/2019, Rossi, Rv. 275556 -- 01).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato. Revoca le statuizioni civili.