Svolgimento del processo
1. E.B., nata in Brasile il 5 dicembre 1988, ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati con memoria, contro la sentenza indicata in epigrafe con cui la Corte d’appello di Venezia ha respinto l’appello avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia di rigetto della sua impugnazione del provvedimento dell’Ufficiale di Stato Civile del Comune San Fior (Treviso) che aveva dichiarato improcedibile la sua istanza di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis a causa di una interruzione nella linea di discendenza utile allo scopo.
Il Ministero intimato non ha svolto difese ed ha depositato mero atto di costituzione, al fine della eventuale partecipazione alla udienza di discussione.
Con ordinanza n.16355 pubblicata l’8 giugno 2023, questa Corte ha disposto la trattazione del ricorso in pubblica udienza sul rilievo che «le questioni poste con il ricorso (in particolare, il difetto di continuità della stirpe e discendenza dal capostipite G.B:, cittadino italiano emigrato in Brasile, per mancanza di prova del rapporto di filiazione con V., bisnonno della ricorrente, sebbene riconosciuto da G.B. e dalla moglie brasiliana nel successivo atto di matrimonio), involgendo anche la normativa brasiliana (la corte d’appello cita solo l’art. 1.603 del codice brasiliano, per cui la filiazione è comprovata analogamente al nostro codice civile, menziona anche il principio di prova scritta, proveniente dai genitori, congiuntamente o separatamente, ovvero forti presunzioni derivanti da fatti già certi), meritino un approfondimento in pubblica udienza».
Alla Pubblica udienza, il Procuratore Generale ha ribadito le conclusioni rassegnate in forma scritta.
Il difensore della ricorrente ha concluso, chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
2.1. – Nel ricorso sonno svolti i seguenti motivi: I) erronea applicazione della legge brasiliana, essendo invece applicabile la legge italiana ai sensi degli art. 33 ss. della legge n. 218 del 1995; in particolare si censura l’affermazione con cui è stata ritenuta applicabile la legge brasiliana trattandosi di cittadina brasiliana e, ai sensi dell’art. 1.603 del codice civile brasiliano, si è ritenuto che la filiazione dovesse essere provata dal certificato di nascita registrato nel registro civile; deduce la ricorrente che il rapporto controverso non riguarda la ricorrente cittadina brasiliana, bensì quello tra i coniugi B.-B. e il figlio V. (donde l’applicabilità degli artt. 33 e 35 della legge n. 218 del 1995); II) nullità della sentenza per omessa/apparente motivazione del capo in cui si afferma che, ai fini dell’attribuzione dello status di figlio legittimo del bisnonno V.B., mancherebbe o non sarebbe sufficiente il riconoscimento successivo alla nascita, effettuato dai genitori nell’atto di matrimonio; III) erroneità dell’affermazione secondo la quale, per i figli nati fuori del matrimonio, la filiazione non può essere provata con il riconoscimento successivo contenuto nell’atto di matrimonio, ma solo con l’atto di nascita trascritto nei registri dello stato civile, quando invece, secondo la legge italiana, la filiazione fuori del matrimonio può essere provata con qualsiasi
2.2.- Le questioni sollevate si collocano nell’ambito della domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana proposta dalla ricorrente in qualità di discendente di un cittadino italiano, emigrato in Brasile nella seconda metà del 1800.
Su questo più ampio tema, recentemente - e proprio con riferimento al Brasile - sono autorevolmente intervenute le Sezioni Unite, ed hanno affermato che l'istituto della perdita della cittadinanza italiana, disciplinato dal codice civile del 1865 e dalla legge n. 555 del 1912, ove inteso in rapporto al fenomeno della cosiddetta «grande naturalizzazione» degli stranieri presenti in Brasile alla fine dell'Ottocento, implica un'esegesi restrittiva delle norme afferenti, nell'alveo dei sopravvenuti principi costituzionali, essendo quello di cittadinanza annoverabile tra i diritti fondamentali, ciò perché, secondo la tradizione giuridica italiana, nel sistema delineato dal codice civile del 1865, dalla successiva legge sulla cittadinanza n. 555 del 1912 e dall'attuale legge n. 91 del 1992, la cittadinanza per fatto di nascita si acquista a titolo originario iure sanguinis, e lo status di cittadino, una volta acquisito, ha natura permanente, è imprescrittibile ed è giustiziabile in ogni tempo in base alla semplice prova della fattispecie acquisitiva integrata dalla nascita da cittadino italiano; a chi richieda il riconoscimento della cittadinanza spetta di provare solo il fatto acquisitivo e la linea di trasmissione, mentre incombe alla controparte, che ne abbia fatto eccezione, la prova dell'eventuale fattispecie interruttiva.
In questa prospettiva, l'art. 11, n. 2, c.c. del 1865, nello stabilire che la cittadinanza italiana è persa da colui che abbia “ottenuto la cittadinanza in paese estero”, sottintende, per gli effetti sulla linea di trasmissione iure sanguinis ai discendenti, che si accerti il compimento, da parte della persona all'epoca emigrata, cittadinanza straniera - per esempio integrato da una domanda di iscrizione nelle liste elettorali secondo la legge del luogo -, senza che l'aver stabilito all'estero la residenza, o anche l'aver stabilizzato all'estero la propria condizione di vita, possa considerarsi bastevole, unitamente alla mancata reazione al provvedimento generalizzato di naturalizzazione, a integrare la fattispecie estintiva dello status per accettazione tacita degli effetti di quel provvedimento. A tal fine, va rammentato che dagli artt. 3, 4, 16 e seg. e 22 Cost., dall'art. 15 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 e dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, si ricava che ogni persona ha un diritto soggettivo permanente e imprescrittibile allo stato di cittadino, che congloba distinti ed egualmente fondamentali diritti; ciò rileva anche in relazione all'esegesi delle norme dello Stato precostituzionale, ove ancora applicabili; il diritto si può perdere per rinuncia, ma purché volontaria ed esplicita, in ossequio alla libertà individuale, e quindi mai per rinunzia tacita, a sua volta desumibile da una qualche forma di accettazione tacita di quella straniera impartita per provvedimento generalizzato di naturalizzazione (Cass. Sez. U, n. 25317 e 25318/2022; Cass. n. 12894/2023).
3.1.- Compiuta questa premessa di inquadramento generale, vanno esaminati i motivi di ricorso.
3.2.- Il primo motivo è fondato e va accolto.
Nell’affrontare la questione controversa, cioè l’accertamento del rapporto di filiazione tra il trisavolo della ricorrente G.B., cittadino italiano emigrato in Brasile e il bisnonno della ricorrente medesima V.B., nato in Brasile, la sentenza impugnata ha errato, anzitutto, nel considerare applicabile la legge brasiliana.
Va rammentato che, ai sensi degli artt. 33 e 35 della legge n. 218 del 1995, ai fini dell’accertamento dello status di figlio, è applicata la legge nazionale di quest’ultimo o, se più favorevole, quella dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino al momento della nascita.
Poiché, come detto, la causa inerisce all’accertamento del rapporto di filiazione tra G.B., cittadino italiano, e V.., nato in Brasile, al caso di specie va applicata la legge italiana, che è connotata da un favor per il riconoscimento della filiazione.
3.3.- Anche il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente per connessione, sono fondati.
Sulla anzidetta premessa, concernente la legge applicabile, e cioè quella nazionale italiana, si palesa con immediatezza la apparenza motivazionale della sentenza impugnata.
Invero, come evidenziato nelle conclusioni rassegnate dalla Procura Generale, l’asserzione della Corte d’appello, obiettivamente apodittica - secondo cui non avrebbe rilevanza la circostanza documentale che nel certificato di matrimonio brasiliano del 1896 venne indicato che i contraenti B.G. e L.B. avevano dichiarato di aver già contratto matrimonio con rito religioso e che non avevano ancora contratto matrimonio alla presenza dell’autorità civile per motivi estranei al loro volere e che dalla loro unione il giorno 6 agosto del 1895 era nato un bambino battezzato con il nome di V. - deve ritenersi in contrasto con la normativa nazionale.
Se, come nel caso di specie, il figlio è nato fuori dal matrimonio, le generalità di uno dei genitori (o di entrambi) possono essere indicate nell’atto di nascita solo in caso di riconoscimento, in mancanza del quale l’atto di nascita documenta soltanto la nascita e non la filiazione.
Il nostro ordinamento giuridico prevede che il possesso continuo dello stato di figlio rilevi quale prova legale in tutti i casi in cui manchi l’atto di nascita o qualora il figlio sia stato iscritto come nato da genitori ignoti.
L’art. 237 c.c. è collocato nel capo dedicato alle prove della filiazione (l’aggettivo “legittima” è stato cancellato dal d.gs. n. 154/2013, con l’intento di unificare la disciplina delle prove della filiazione) e rappresenta, insieme all’art. 236 c.c., la norma più significativa in materia di possesso di stato. L’art. 236 dispone al primo comma che la filiazione si prova con l’atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile e al secondo comma che, in mancanza di questo titolo, basta il possesso continuo dello stato di figlio, così come specificato al successivo art. 237, articolo che, a sua volta, ci dice che il possesso di stato risulta da una serie di fatti – dei quali il secondo comma indica gli indispensabili – «che nel loro complesso valgano a dimostrare le relazioni di filiazione e di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere». I fatti costitutivi del possesso di stato bastano, in mancanza dell’atto di nascita, a provare la filiazione. Nel caso in esame – e a prescindere da come vada interpretata la parola mancanza, ossia come semplice vizio o assenza, originaria o sopravvenuta, dell’atto –ci troviamo di fronte a un atto di nascita mancante o invalido.
Come si è detto, gli artt. 236 e 237 c.c. sono collocati nel capo destinato a disciplinare le prove della filiazione, così che il loro ambito è dal legislatore circoscritto alla sfera probatoria, atteso che in materia familiare il possesso non costituisce la fonte dello status, ma si limita a svolgere un ruolo strumentale nel quadro della funzione di accertamento dello status medesimo (Cass. n. 6820 del 20
Essendovi stato, nel caso di specie, un riconoscimento non seguito dalla registrazione della nascita, quanto versato in atti dalla ricorrente, segnatamente quanto documentato dall’Ufficiale di stato civile brasiliano nell’atto di matrimonio di G.B. e L.B. circa la nascita del figlio V. e, successivamente, nel certificato di morte di V., attestato che quest’ultimo era figlio legittimo di G.B. e L.B., avrebbe dovuto essere specificamente valutato dalla Corte di appello in quanto teoricamente idoneo a provare il possesso continuativo dello stato di figlio.
4.- In conclusione, il ricorso va accolto; la sentenza va cassata e la causa va rinviata alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione per il riesame e l’applicazione dei principi espressi e per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
- Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.