
L'attuale ricorrente lavorava presso una società fino a quando non è stato licenziato per motivi disciplinari.
Al ricorrente veniva contestato il fatto che, durante un periodo di congedo straordinario di 323 giorni consecutivi, fruito per assistere la madre invalida,
Secondo l'uomo tale licenziamento sarebbe ritorsivo, così citava in giudizio la società chiedendo l'annullamento del licenziamento.
I Giudici di merito rigettavano il reclamo proposto dall'ex dipendente.
Secondo la Suprema Corte, in totale conformità rispetto a quanto statuito dal Giudice di seconde cure, ha precisato che per usufruire del congedo straordinario è richiesta un'assistenza personale, continuativa e ininterrotta con il familiare disabile.
Il beneficiario è infatti obbligato ad «instaurare una convivenza che garantisca al genitore disabile l'assistenza permanente e continuativa».
Quindi può costituire giusta causa di licenziamento la fruizione di questo congedo per finalità diverse dall'assistenza al disabile, atteso che questo beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute prevalenti dal legislatore.
Nel caso in cui manchi del tutto il nesso causale fra assenza dal lavoro e assistenza del disabile, il diritto potestativo non è esercitato in modo coerente con la sua funzione, sicché si configura un abuso del diritto, oppure una grave violazione dei doveri di correttezza e di buona fede nei confronti sia del datore di lavoro, sia dell'ente assicurativo.
È vero che l'assistenza che legittima il beneficio non può intendersi come esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, ma occorre pur sempre tutelare i connotati essenziali di un intervento assistenziale che deve avere carattere permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione del disabile.
È necessario quindi verificare in concreto se vi è stato esercizio abusivo di questo diritto.
Nel caso di specie è emerso che nel dicembre 2013, a circa un anno dall'inizio del congedo fruito ininterrottamente, la società ha verificato l'effettività dell'assistenza del ricorrente alla madre disabile e quindi ha incarico una società di investigazioni per effettuare un monitoraggio sulle 24 ore ogni giorno presso l'abitazione della madre, per 10 giorni.
Dal monitoraggio è emerso che l'uomo non era stabilmente convivente con la madre, non è stato mai avvistato nei pressi dell'abitazione della donna ad eccezione di un giorno quando ha sostato nell'androne del palazzo solo per 10 minuti per il ritiro della corrispondenza, senza mai accedere all'appartamento della signora.
Durante questi 10 giorni l'uomo è stato visto fare la spesa e vari acquisti con la moglie e la figlia per il centro del paese e fermarsi e chiacchierare con conoscenti.
Inoltre, durante quei giorni è emerso che il ricorrente ha sempre dormito e dimorato nell'abitazione dove risiete la famiglia e non si è mai recato presso l'abitazione della madre, dove pur formalmente risiedeva, per svolgere l'assistenza richiesta.
In conclusione, risulta provata la totale mancanza di nesso causale fra assenza dal lavoro e assistenza al disabile, poiché il ricorrente non conviveva con la madre disabile, né le garantiva in alcun modo assistenza, tanto meno permanente, continuativa e globale.
Pertanto, la Corte di Cassazione con ordinanza n. 14237 del 22 maggio 2024, dichiara inammissibile il ricorso e precisa che la gravità oggettiva della condotta discende dall'aver il lavoratore utilizzato il congedo riconosciuto per la sola assistenza del disabile per scopi ad esso estranei, ponendo in essere una frode ai danni dell'INPS e arrecando pregiudizio anche organizzativo al datore di lavoro e quindi come tale integra una giusta causa di licenziamento.
Svolgimento del processo
1.- (omissis) aveva lavorato presso (omissis) srl fino al 09/04/2014, quando era stato licenziato per motivi disciplinari, sulla base della contestazione disciplinare del 09/01/2014, durante un periodo di congedo straordinario di 323 giorni consecutivi, fruito per l’assistenza della madre (invalida ex art. 3, co. 3, L. n. 104/1992), ai sensi dell’art. 42 d.lgs. n. 151/2001, per avere “disatteso agli obblighi di assistenza e convivenza posti dalla normativa vigente a presupposto del beneficio della sospensione della prestazione di lavoro”.
Adìva il Tribunale di Latina chiedendo la declaratoria di nullità del licenziamento perché ritorsivo (perché in precedenza aveva giudizialmente reagito a molte condotte datoriali tutte risultate illegittime) e/o discriminatorio per motivi religiosi (era un testimone di Geova); in subordine ne chiedeva l’annullamento per insussistenza dell’infrazione contestata; chiedeva infine le tutele di cui all’art. 18 L. n. 300/1970.
2.- Il Tribunale rigettava l’impugnazione del licenziamento sia nella fase c.d. sommaria del rito introdotto dalla L. n. 92/2012, sia nella fase a cognizione piena, ritenendo dimostrati i fatti nella loro materialità sulla base delle indagini investigative disposte dalla società, nonché nella loro rilevanza disciplinare.
3. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il reclamo proposto dal (omissis).
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) il lavoratore lamenta il carattere ritorsivo del licenziamento, sostenendo che sia l’ultima di una moltitudine di condotte illegittime poste in essere negli anni dalla società (come comprovato dai precedenti giudiziari in atti), consistite nell’intimazione di due licenziamenti, poi revocati o annullati dal giudice, un trasferimento illegittimo e un’illegittima messa in cassa integrazione guadagni a zero ore, sicché il licenziamento sarebbe l’illecita reazione datoriale al suo comportamento, volto legittimamente a tutelare i propri interessi in sede giudiziale;
b) va considerato che per aversi motivo illecito ex art. 1345 c.c. occorre che quello ritorsivo sia unico, ossia esclusivo, e determinante, sicché può pure concorre con un motivo formalmente lecito, ma solo nel senso che quest’ultimo sia stato formalmente addotto, ma poi sia risultato inesistente nel riscontro giudiziale (Cass. n. 9468/2019);
c) l’onere della prova del motivo illecito unico e determinante grava sul lavoratore;
d) sulla base di questo principio di diritto, le condotte datoriali pregresse possono essere valutate come contesto significativo per interpretare le condotte successive, ma laddove risulti provata la giusta causa di recesso, oppure il giustificato motivo, viene meno l’esclusività del motivo illecito;
e) nella specie l’accertata sussistenza delle condotte contestate esclude la configurabilità di un motivo ritorsivo, ossia di un motivo illecito, che non sarebbe unico né quindi determinante e quindi non rileverebbe ex art. 1345 c.c.;
f) il reclamante ha fruito di un periodo di congedo straordinario per l’assistenza alla madre, dal 04/12/2012 al 18/12/2013;
g) il congedo fruito è disciplinato dall’art. 42 d.lgs. n. 151/2001;
h) con sentenza n. 232/2018 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del co. 5 dell’art. 42 cit. nella parte in cui non annovera fra i beneficiari del congedo straordinario il figlio che, al momento della richiesta, ancora non conviva con il genitore in situazione di grave disabilità, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri legittimati a richiede il beneficio in via prioritaria, secondo l’ordine determinato dalla legge;
i) questa è la situazione nel caso di specie, ma il ricorrente, in spregio della norma, ha conseguito la medesima residenza della madre solo in data 30/04/2013, ossia solo alcuni mesi dopo la concessione del beneficio (dicembre 2012);
j) ai fini del congedo straordinario è richiesta un’assistenza personale, continuativa e ininterrotta con il familiare disabile, tanto che solo ai diversi fini del godimento dei permessi di cui all’art. 33 L. n. 104/1992 il legislatore ha eliminato dapprima il requisito della convivenza, poi della continuità e dell’esclusività dell’assistenza;
k) proprio C. Cost. n. 232/2018 ha valorizzato la convivenza ed ha evidenziato che la norma, al fine di estendere la possibilità di fruire del congedo straordinario al figlio originariamente non convivente, lo obbliga, ove gli sia concesso il beneficio, ad “instaurare una convivenza che garantisca al genitore disabile l’assistenza permanente e continuativa” (così C. Cost. cit.);
l) trattasi di un diritto potestativo al congedo, le cui modalità di esercizio possono essere oggetto di verifica nel suo momento funzionale;
m) dunque può costituire giusta causa di licenziamento la fruizione di questo congedo per finalità diverse dall’assistenza al disabile, atteso che questo beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute prevalenti dal legislatore;
n) ove manchi del tutto il nesso causale fra assenza dal lavoro e assistenza del disabile, il diritto potestativo non è esercitato in modo coerente con la sua funzione, sicché si configura un abuso del diritto, oppure una grave violazione dei doveri di correttezza e di buona fede nei confronti sia del datore di lavoro, sia dell’ente assicurativo (Cass. n. 9217/2016);
o) è vero che l’assistenza che legittima il beneficio non può intendersi come esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, ma occorre pur sempre salvaguardare i connotati essenziali di un intervento assistenziale che deve avere carattere permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione del disabile (Cass. n. 29062/2017);
p) occorre allora verificare in concreto se vi è stato esercizio di questo diritto potestativo con modalità abusive, ossia difformi da quelle postulate dalla natura e dalle finalità per il cui congedo straordinario è consentito;
q) nel caso di specie è emerso che nel dicembre 2013, a circa un anno dall’inizio del congedo fruito ininterrottamente, la società ha inteso verificare l’effettività dell’assistenza del (omissis) alla madre disabile e quindi ha incarico una società di investigazioni per effettuare un monitoraggio sulle 24 ore ogni giorno presso l’abitazione della madre, per la durata di dieci giorni a partire dal 09/12/2013;
r) dal monitoraggio è emerso che il (omissis) non era stabilmente convivente con la madre, non è stato mai avvistato nei pressi dell’abitazione della madre ad eccezione del giorno 12/12/2013, quando ha sostato nell’androne del palazzo solo per dieci minuti per il ritiro della corrispondenza, senza mai accedere all’appartamento della madre;
s) durante questi dieci giorni il (omissis) è stato visto recarsi a fare la spesa e acquisti vari con coniuge e figlia, passeggiare nel centro di Fondi, fermarsi e chiacchierare con conoscenti, recarsi presso varie abitazioni in (omissis) e (omissis), citofonando ai residenti e intrattenendosi a parlare con loro;
t) il titolare dell’agenzia investigativa ((omissis)) ha confermato le risultanze dell’indagine trasfuse nella relazione in atti con allegati fotografici e ha dichiarato di aver personalmente compiuto il monitoraggio con l’aiuto di alcuni collaboratori;
u) in quei dieci giorni è altresì emerso che il (omissis) ha sempre dormito e dimorato nell’abitazione di Via (omissis)e non si è mai recato presso l’abitazione della madre (Via (omissis)), dove pur formalmente risiedeva, per svolgere l’assistenza richiesta;
v) l’attendibilità del teste (omissis) non può essere inficiata dall’asserito motivo ritorsivo del datore di lavoro, vista l’estraneità di questo rispetto all’attività professionale svolta dal testimone come investigatore;
w) in ogni caso la deposizione è stata molto specifica, in quanto il teste ha riferito circostanze concrete, tutte suffragate da allegati fotografici;
x) bene ha fatto il Tribunale a ritenere invece inattendibili i testimoni (omissis)e (omissis), sia perché legati al (omissis) da vincoli di parentela e di amicizia, sia perché hanno reso dichiarazioni smentite dalle risultanze della relazione investigativa;
y) in conclusione, risulta provata la totale mancanza di nesso causale fra assenza dal lavoro e assistenza al disabile, poiché il (omissis) non conviveva con la madre portatrice di handicap, né le garantiva in alcun modo assistenza, tanto meno permanente, continuativa e globale;
z) la gravità oggettiva della condotta discende dall’aver il lavoratore utilizzato il congedo riconosciuto per la sola assistenza del disabile per scopi ad esso estranei, ponendo in essere una frode ai danni dell’INPS e arrecando pregiudizio anche organizzativo al datore di lavoro e quindi come tale integra una giusta causa di licenziamento (Cass. n. 16207/2008).
4.- Avverso tale sentenza (omissis) (omissis)ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
5.- (omissis)(omissis) srl ha resistito con controricorso.
6.- Il ricorrente ha depositato memoria.
7.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 5 L. n. 604/1966, 2697 c.c., 116 c.p.c., 42, co. 5, d.lgs. n. 151/2011, 3, co. 11, L. n. 104/1992, 3 L. n. 604/1966 per avere la Corte territoriale individuato il fatto nel congedo straordinario dal 04/12/2012 al 18/12/2013.
Deduce che la sua istanza di congedo venne accolta dall’INPS in data 10/05/2013 e che pertanto il periodo di congedo è iniziato il 13/05/2013 fino al 30/09/2013, poi sulla base di ulteriore istanza proseguito dall’01/10/2013 fino al 31/03/2014, sebbene interrotto dalla sua malattia in data 17/01/2014 per un suo ricovero presso l’ospedale di Formia.
Aggiunge che nel periodo dal 03/12/2012 al 05/04/2013 la società lo aveva posto in cassa integrazione, sia pure illegittima come accertato dal Tribunale di Latina con sentenza n. 1186/2016, e questo conferma che il congedo non era iniziato a dicembre 2012, bensì a maggio 2013.
Il motivo è inammissibile sia per la confusa promiscuità dei parametri normativi invocati, sia perché investe solo parti minusvalenti della motivazione spesa dalla Corte territoriale, il cui nucleo centrale è invece rappresentato dal convincimento raggiunto sulla base della relazione investigativa con allegati fotografici e della deposizione testimoniale resa dal titolare dell’agenzia investigativa, che ha confermato tutte le risultanze investigative.
2.- Con il secondo motivo (che il ricorrente qualifica “DI APPELLO”: v. ricorso per cassazione, p. 14), proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il (omissis) lamenta “violazione o falsa applicazione” degli artt. 116 c.p.c., 42, co. 5, d.lgs. n. 104/1992, 3 L. n. 604/1966, per avere la Corte territoriale attribuito alla relazione investigativa una rilevanza decisiva “esattamente contraria al suo contenuto” (v. ricorso per cassazione, p. 4).
Il motivo è inammissibile, perché sollecita a questa Corte un nuovo apprezzamento e una nuova e diversa valutazione di quell’elemento probatorio, attività che sono invece riservate al giudice di merito e quindi interdette in sede di legittimità.
3.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. in via subordinata rispetto al secondo, il ricorrente lamenta “violazione o falsa applicazione” degli artt. 116 c.p.c. e 3 L. n. 604/1966, per essere la Corte territoriale incorsa in un grave travisamento della prova, con conseguente errata ricostruzione del fatto ed errata applicazione della norma di diritto.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente si limita a censurare la valutazione di irrilevanza espressa dalla Corte d’Appello circa il fatto che all’investigatore era sfuggito che nei dieci giorni di osservazione h. 24 il (omissis) si era recato una volta presso il CTM di Fondi.
L’ulteriore censura – secondo cui la Corte avrebbe omesso di rilevare che in data 09/12/2013 egli si era recato presso l’ospedale di Formia insieme al fratello per contattare uno psichiatra che potesse visitare la propria madre a domicilio e non essendo riuscito nel proprio intento, il giorno dopo 10/12/2013 si era recato presso il CTM di Fondi per contattare il dott. (omissis) per la stessa esigenza – è parimenti inammissibile, sia perché attiene ad un unico episodio, la cui ipotetica veridicità non scalfirebbe il risultato complessivo dell’istruttoria nei termini in cui è stato ricostruito e valutato dai giudici d’appello, né quindi l’esito del loro convincimento, sia perché sollecita a questa Corte, ancora una volta, la valutazione delle risultanze istruttorie interdetta in sede di legittimità.
4.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l’omessa considerazione del fatto che i testimoni escussi hanno confermato la sua presenza all’interno dell’abitazione della madre.
Il motivo è inammissibile, perché ha ad oggetto non un fatto storico, bensì il contenuto di alcune deposizioni testimoniali, per le quali, inoltre, la Corte territoriale ha espresso un motivato giudizio di inattendibilità, dimostrando con ciò stesso di averle esaminate, contrariamente alla doglianza del ricorrente.
5.- Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l’omesso esame della pregressa e continuativa attività ritorsiva posta in essere dalla società ai suoi danni.
Il motivo è inammissibile, sia perché la Corte territoriale l’ha presa in considerazione e l’ha ritenuta insufficiente a dimostrare l’asserita ritorsività del licenziamento, sia perché comunque non si tratterebbe di fatto “decisivo”, posto che l’accertata sussistenza, in concreto, della giusta causa toglie qualunque rilievo a quel fatto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
In caso di diffusione deve essere omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti e dei terzi coinvolti nel presente giudizio, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 196/2003.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
In caso di diffusione dispone che sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti e dei terzi coinvolti nel presente giudizio, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 196/2003.