
Inoltre, deve essere citata nei successivi gradi di giudizio ancorché non impugnante, in quanto l'immanenza viene meno solo nel caso di revoca espressa ovvero nei casi di revoca implicita che non possono essere estesi al di là di quelli tassativamente previsti dall'art. 82, comma secondo, c.p.p..
Gli attuali ricorrenti presentavano domanda di equa riparazione con riferimento alla durata irragionevole di un processo penali nei suoi vari gradi, in cui gli stessi, quali persone offese, si erano poi costituiti parti civili.
I Giudici di merito rigettava tale istanza, conseguendone il ricorso per cassazione.
Tra i motivi di doglianza, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell'
Inoltre, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per non aver la Corte d'Appello motivato sul perché la mancata produzione degli atti di impugnazione avrebbe dovuto far ritenere assolutamente impossibile e radicalmente impraticabile la valutazione della durata dell'intero processo penale come irragionevole.
Per la Cassazione le doglianze in esame sono fondate. Nelle sue argomentazioni, la Corte ribadisce il principio di immanenza della
Pertanto, presupposta l'applicabilità del principio dell'immanenza della costituzione di parte civile anche per i gradi successivi al primo (ove non intervenga una revoca espressa), la Corte osserva quanto segue: nel caso di specie i ricorrenti erano rimasti parti civili nel corso dei vari gradi di giudizio del processo penale presupposto. Ne deriva che ha sbagliato la Corte d'Appello ha ritenere che il mancato assolvimento dell'onere probatorio - da considerarsi incombente sugli stessi ricorrenti, malgrado essi rivestissero la sola qualità di parti civili - circa la computabilità del periodo complessivo del processo penale (e, quindi, della sua durata irragionevole) fosse riconducibile alla mancata produzione degli atti di impugnazione.
Infatti le circostanze circa l'effettività e la data di proposizione di tali atti e la definizione delle date delle varie fasi e dei diversi gradi si sarebbero potute comunque evincere dalle relative sentenze dei distinti giudici prodotte nel procedimento di equa riparazione.
Per questi motivi, la Cassazione rigetta il ricorso con ordinanza n. 14557 del 24 maggio 2024.
Svolgimento del processo
1. I soggetti di cui intestazione hanno proposto un congiunto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi avverso il decreto n. cronol. 2186/2022 della Corte d’appello di Napoli (in composizione collegiale), depositato in data 14 luglio 2022.
Ha resistito con controricorso il Ministero della Giustizia.
La Corte d’appello, decidendo - con il richiamato decreto - sull’opposizione ex art. 5-ter della legge n. 89/2001 formulata, tra gli altri, dagli odierni ricorrenti, ha confermato il provvedimento del consigliere delegato, con cui era stata respinta la domanda di equa riparazione dagli stessi avanzata con riferimento alla durata irragionevole di un processo penale nei suoi vari gradi (instaurato per i reati di disastro colposo, omicidio colposo e lesioni colpose nei confronti dei dirigenti della società Montefibre s.p.a., di cui erano stati dipendenti), in cui gli stessi, quali persone offese, si erano poi costituiti parti civili.
In particolare, la Corte partenopea osservava, con riferimento alla mancata produzione – anche dinanzi alla stessa – da parte degli opponenti di tutti gli atti di impugnazione, che il principio di “immanenza della parte civile” (a cui i medesimi avevano posto riguardo) avrebbe dovuto ritenersi irrilevante allo scopo in esame, poiché esso non implica pure che, ai fini del calcolo dell’eventuale durata irragionevole del processo penale, si debba prendere in considerazione, una volta costituita e ammessa la parte civile, tutta la sua durata cronologica al lordo del tempo decorso dalla definizione di ciascun grado di giudizio fino all’impugnazione della relativa decisione. Pertanto, non avendo gli opponenti prodotto tutti gli atti di impugnazione relativi ai diversi gradi e fasi del procedimento penale in oggetto, non era stato possibile calcolare con precisione l’eventuale durata irragionevole dello stesso e, cioè, in particolare dei suddetti diversi gradi di giudizio, non essendo possibile desumerla puntualmente dalle relative sentenze allegate, le quali non avrebbero potuto essere indirettamente utilizzate per tale finalità, poiché i relativi atti di impugnazione (che sarebbe stato necessario produrre in copia conforme) costituivano gli unici ed esclusivi documenti da cui poter evincere con certezza i precisi dati cronologici di cui alla legge n. 89/2001, necessari per il computo della suddetta eventuale durata irragionevole.
Il rigetto di questo motivo principale aveva comportato l’assorbimento degli altri che ne dipendevano.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 2-quater, della legge n. 89/2001 in relazione all’art. 76 c.p.p., con riferimento al principio di immanenza della parte civile nel processo penale, oltre in relazione all’art. 597 c.p.p. circa i limitati poteri di impugnazione della parte civile, ai fini del calcolo della irragionevole durata del processo penale.
In altri termini, ad avviso dei ricorrenti, la Corte di appello non avrebbe tenuto conto, nel rigettare l’opposizione, che la parte civile deve ritenersi comunque presente una volta che la relativa costituzione sia intervenuta in primo grado, senza che la costituzione stessa debba essere rinnovata anche nei successivi gradi di giudizio, in tal senso dovendosi ritenere presente nell’ordinamento processuale penale il principio della sua immanenza. Hanno aggiunto, poi, i ricorrenti che – proprio per effetto della posizione riservata alla parte civile e del riconoscimento limitato dei suoi poteri processuali – si sarebbe dovuto considerare erroneo attribuire a loro carico l’onere della produzione degli atti di impugnazione al cui esercizio essi non erano legittimati, dovendosi, perciò, ritenere sufficientemente assolto l’onere probatorio sugli stessi incombente, ai fini del computo della irragionevole durata del processo penale nei suoi vari gradi e fasi, con la sola allegazione delle sentenze dei vari gradi di giudizio e dei relativi verbali di causa.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. in conseguenza della motivazione apparente ed intrinsecamente contraddittoria per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, in relazione all’art. 2 della legge n. 89/2001, per non avere la Corte di appello motivato sul perché la mancata produzione degli atti di impugnazione avrebbe dovuto far ritenere assolutamente impossibile e radicalmente impraticabile la valutazione della durata dell’intero processo penale come irragionevole, essendo comunque emerso che aveva pacificamente superato il limite (perché durato circa venti anni) “ragionevole” contemplato dall’art. 2-bis della legge n. 89/2001, potendosi considerare che le sentenze prodotte, quali atti pubblici dotati dell’efficacia del giudicato, davano comunque conto delle tempistiche delle impugnazioni, quali attività preliminari di rito, prima di passare all’esame del merito dei motivi con le stesse proposti.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 738 c.p.c. in relazione al mancato esercizio dei poteri d’ufficio per l’acquisizione degli atti di causa a fronte della documentazione rilasciata dagli uffici giudiziari, nonché il vizio di omessa motivazione in ordine all’omesso esercizio – da parte della stessa Corte di appello – del relativo potere officioso, malgrado fosse stato appositamente sollecitato da essi ricorrenti.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. - l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti in relazione alla mancata valutazione, quantomeno, della irragionevole durata del giudizio di primo grado e di quello di appello successivo alla sentenza della Corte di cassazione.
5. Con il quinto ed ultimo motivo i ricorrenti hanno prospettato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 2, della legge n. 89/2001, nella parte in cui il decreto impugnato di rigetto non aveva tenuto conto della giurisprudenza della Corte EDU in ordine all’interpretazione dell’art. 6 della Carta EDU, con erronea pronuncia dell’assorbimento degli altri motivi di opposizione.
6. Rileva il collegio che i primi due motivi, esaminabili congiuntamente in quanto connessi, sono fondati per le ragioni che seguono.
Occorre, innanzitutto, ricordare che l'art. 6, paragrafo 1, della CEDU, in relazione alla cui inosservanza l'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89 accorda l’equa riparazione (ove si sia prodotto un danno patrimoniale o non patrimoniale), stabilisce il diritto di ogni persona di ottenere entro un termine ragionevole una pronuncia sui diritti o doveri oggetto di giudizio (civile, amministrativo, contabile, ecc.) o sulla fondatezza dell'accusa penale che gli venga addebitata.
Anche l'eccessiva durata del processo penale può essere, dunque, foriera di danno che legittima l’equa riparazione, oltre che per l'imputato sottoposto ad accusa, anche per la persona offesa dal reato, pur se soltanto ed a partire dal momento in cui quest'ultima abbia avanzato nel processo stesso domanda di riconoscimento dei propri diritti di natura civile, con l'iniziativa prescritta dalla legge per l'insorgenza del potere-dovere del giudice penale di statuire su tali diritti, vale a dire con la costituzione di parte civile.
L'irragionevole prolungarsi del processo penale, pertanto, può implicare il riconoscimento dell’equo indennizzo ai sensi della citata l. n. 89/2001 in favore dell'offeso dal reato solo in relazione al tempo successivo alla sua costituzione come parte civile (cfr. Cass. n. 11480/2003, Cass. n. 5294/2012, Cass. n. 26625/2015 e, da ultimo, Cass. n. 13579/2022), mediante atto idoneo a segnare esercizio della domanda di restituzione o risarcimento del danno inerente al reato (risulti poi fondata o meno la domanda medesima), non anche in relazione al periodo in cui tale costituzione manchi (ovvero sia da reputarsi "tamquam non esset", per inosservanza di formalità essenziali o termini perentori, e non possa così determinare la predetta estensione delle attribuzioni giurisdizionali del giudice penale nei rapporti civili derivanti dal reato).
La giurisprudenza penale di questa Corte ha poi stabilito che, nel nostro ordinamento, vige il principio di immanenza della costituzione di parte civile, previsto dall'art. 76, comma secondo, c.p.p., in virtù del quale la parte civile, una volta costituita, deve ritenersi presente nel processo anche se non compaia e deve essere citata nei successivi gradi di giudizio ancorché non impugnante, sicché l'immanenza viene meno solo nel caso di revoca espressa ovvero nei casi di revoca implicita che non possono essere estesi al di là di quelli tassativamente previsti dall'art. 82, comma secondo, c.p.p.
Pertanto, presupposta l’applicabilità del principio dell’immanenza della costituzione di parte civile anche per i gradi successivi al primo (ove non intervenga una revoca espressa) ed essendo pacifico che i ricorrenti lo fossero rimasti nel corso dei vari gradi di giudizio del processo penale presupposto (senza che, peraltro, il decreto impugnato abbia motivato sulla possibile manifesta infondatezza della pretesa risarcitoria sottesa alla costituzione stessa, motivo sul quale si era anche basato il decreto di rigetto del consigliere monocratico), l’aver la Corte di appello ritenuto il mancato assolvimento dell’onere probatorio - da considerarsi incombente sugli stessi ricorrenti, malgrado essi rivestissero la sola qualità di parti civili - circa la computabilità del periodo complessivo del processo penale (e, quindi, della sua durata irragionevole) riconducibile alla mancata produzione degli atti di impugnazione costituisce una valutazione erronea in punto di diritto.
Infatti le circostanze circa l’effettività e la data di proposizione di tali atti (demandata alle parti principali del processo penale, PM e imputato) e la definizione delle date delle varie fasi e dei diversi gradi si sarebbero potute comunque evincere dalle relative sentenze dei distinti giudici (pacificamente) prodotte nel procedimento di equa riparazione: da tali documenti era comunque evincibile che la durata dell’intero processo penale (nei suoi vari gradi) era stata di circa venti anni, onde per la parte di durata irragionevole certamente riscontrabile si sarebbe potuto riconoscere l’equo indennizzo in favore degli attuali ricorrenti (costituitisi parte civile), indipendentemente dall’assoluzione degli imputati (in disparte l’esercitabilità, ad opera della Corte di appello su sollecitazione della parte interessata, del potere officioso integrativo sul piano probatorio, per effetto dell’applicabilità delle forme del procedimento camerale – e, specificamente, dell’art. 738, comma 3, c.p.c. - richiamato dal comma 3 dell’art. 5-ter della stessa l. n. 89/2001).
7. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, devono essere accolti i primi due motivi, con conseguente assorbimento dei restanti.
Da ciò consegue la cassazione del decreto impugnato, con il derivante rinvio del procedimento alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione collegiale, che, oltre ad attenersi ai principi di cui sopra, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbiti i restanti.
Cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione collegiale.