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30 maggio 2024
Non è onere del condannato individuare l’ente presso cui svolgere il lavoro di pubblica utilità
Spetta infatti all'autorità giudiziaria, e non al condannato, l'avvio del procedimento finalizzato allo svolgimento dell'attività lavorativa individuata, sicché, in applicazione di tale principio, il giudice dell'esecuzione non può revocare la sanzione sostitutiva sulla base della sola inerzia del condannato senza verificare se l'organo giudiziario abbia avviato la fase esecutiva con la notifica all'interessato dell'ordine di esecuzione e la contestuale ingiunzione ad attenersi a quanto prescritto in sentenza.
di La Redazione

Il GIP del Tribunale di Ravenna, in funzione di giudice dell'esecuzione, revocava la sanzione di lavoro di pubblica utilità applicata a Caio per guida in stato d'ebbrezza.

Alla base del provvedimento di revoca il GIP considerava la poliennale inerzia del condannato rispetto all'obbligo di eseguire la sanzione sostitutiva, con la conseguente cristallizzazione dell'inadempimento da parte sua.

Avverso l'ordinanza di revoca il condannato ricorre per cassazione, rilevando che non risulta assolutamente provata la sussistenza di una sua volontaria sottrazione alla sanzione sostitutiva.

Giunti in sede di legittimità, la Suprema Corte, con la sentenza n. 21170 del 29 maggio 2024, accoglie il ricorso del ricorrente con rinvio.

In particolare, la Corte precisa che il giudice dell'esecuzione, a ragione del provvedimento, ha osservato che rilevava l'art. 136 disp. att. c.p.p. in virtù del quale l'effetto estintivo previsto dall'art. 445, c. 2, c.p.p. non si applica a chi volontariamente si sottrae all'esecuzione della pena.
Da tale indicazione normativa ha fatto discendere l'effetto che, siccome nel caso di specie il condannato aveva serbato un comportamento tale da integrare la volontaria sottrazione al lavoro di pubblica utilità, non avendo egli espletato, negli oltre 5 anni trascorsi dall'irrevocabilità della decisione, nemmeno un'ora della sanzione sostitutiva, nessun effetto estintivo si era verificato in favore della posizione del condannato, con la conseguente necessità di disporre la revoca della sanzione sostitutiva e il ripristino della pena sostituita, come irrogata dal giudice della cognizione.
Tale ragionamento ha dato per assodato l'inadempimento da parte del condannato, obbligato allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, senza però offrire adeguata motivazione, se non il riferimento al tempo inutilmente trascorso, dell'inadempimento stesso, il quale, però, presupponeva l'avvenuto impulso ufficioso della fase esecutiva.
La Corte precisa che la riforma Cartabia ha introdotto, fra le pene sostitutive di carattere generale, anche il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, in virtù del quale, «in tema di guida in stato di ebbrezza, ove sia stata operata la sostituzione della pena principale con il lavoro di pubblica utilità e a questa non sia stato dato corso a causa dell'inerzia dell'organo che ne deve promuovere l'esecuzione, si applica il principio generale della prescrizione delle sanzioni inflitte, per la natura sostanzialmente afflittiva di tale misura e per l'equiparabilità, in virtù del richiamo operato dall'art. 186, comma 9-bis, cod. strada al d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, del lavoro di pubblica utilità alla pena sostituita (ex art. 58, comma 1, d.lgs. cit.), con la specificazione che l'estinzione per decorso del tempo non impedisce la revoca della sanzione sostitutiva, ove ne ricorrano gli estremi, con reviviscenza delle sanzioni amministrative accessorie della sospensione della patente e della confisca del veicolo».
Ciò posto, è evidente che, al fine di verificare l'effettività dell'inadempimento dell'obbligato, occorreva accertare che l'organo giudiziario deputato a promuovere la concreta esecuzione del lavoro di pubblica utilità avesse dato impulso alla relativa fase.
Pertanto, la Cassazione precisa che, sempre in tema di guida in stato di ebbrezza, ove sia stata operata la sostituzione della pena principale con il lavoro di pubblica utilità, è onere dell'autorità giudiziaria, e non del condannato, l'avvio del procedimento finalizzato allo svolgimento dell'attività lavorativa individuata, sicché, in applicazione di tale principio, il giudice dell'esecuzione non può revocare la sanzione sostitutiva sulla base della sola inerzia del condannato senza verificare se l'organo giudiziario avesse avviato la fase esecutiva con la notifica all'interessato dell'ordine di esecuzione e la contestuale ingiunzione ad attenersi a quanto prescritto in sentenza.
La legge inoltre, non richiede che l'imputato indichi l'istituzione presso cui intende svolgere l'attività e le modalità di esecuzione della misura, gravando tale obbligo sul giudice che dispone il beneficio.
Pertanto, il giudice dell'esecuzione ha sbagliato a revocare la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità senza verificare se fosse stato dato l'impulso officioso alla fase esecutiva e alla sua concreta effettuazione e, quindi, se l'obbligato si fosse alla stessa indebitamente sottratto.
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