La Cassazione risponde in senso negativo affermando un nuovo principio di diritto.
In un giudizio avente ad oggetto la condanna per il reato di maltrattamenti ai danni del coniuge in presenza dei figli minori, l'imputato ricorre per cassazione censurando l'ordinanza con la quale è stata respinta la richiesta avanzata dalla difesa ex art. 545-bis c.p. ed erronea applicazione dell'
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello dì Roma, a seguito dì gravame interposto dall'imputato S.E. avverso la sentenza emessa in data 17 giugno 2021 dal locale Tribunale, in riforma della decisione ha rideterminato la pena inflitta all'imputato riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 572, 61 n. 11 cod. pen. ai danni del coniuge in presenza dei figli minori, commesso in epoca successiva e prossima al 1998 e con condotta perdurante al 2/07/2018 e dì cui all'art. 572, commi 1 e 2, cod. pen., commesso dal novembre 2019 sino al 30/01/2020, confermando nel resto la prima decisione.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato che con atto del difensore deduce i seguenti motivi:
2.1. Con il primo motivo violazione di legge in relazione alla ordinanza con la quale è stata respinta la richiesta di rinvio avanzata dalla difesa ai sensi dell'art. 545-bis cod. pen. alla udienza del 10 marzo 2023 ed erronea applicazione dell'art. 56 legge n. 689/81, avendo la Corte ritenuto di non accogliere l'istanza di rinvio - che appariva legittima in ragione dell'inerzia manifestata dall'ente interessato alla richiesta di individuazione di un ente disponibile ove prestare il lavoro di pubblica utilità - immotivatamente soprassedendo dal ritenere possibile l'accesso dell'imputato alla sanzione sostitutiva quantomeno della detenzione domiciliare.
2.2. Con il secondo motivo violazione di legge in relazione alla mancata assunzione di prova decisiva e nullità della ordinanza di diniego della rinnovazione della ulteriore perizia psichiatrica. La Corte ha omesso di considerare che le risultanze dei precedenti accertamenti tecnici e peritali avrebbero imposto l'accertamento peritale richiesto, eventualmente ai sensi dell'art. 70 cod. proc. pen., non ostando che la richiesta fosse stata formulata soltanto in apertura del dibattimento di appello. Inoltre, non si rivelavano certamente decisivi ì precedenti accertamenti al fine di escludere, almeno, la semplice esistenza del vizio parziale di mente.
2.3. Con il terzo motivo travisamento della prova e vizio cumulativo della motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità, tenuto conto che soltanto tre erano gli episodi degni di nota in relazione al primo periodo esteso oltre dieci anni e uno quello afferente al secondo periodo in contestazione, episodi riconducibili a periodi di acuzie delle problematiche di cui era ed è afflitto l'imputato e ora compensate. La Corte di appello, sorvolando sulle predette deduzioni difensive, ha omesso di valutare compiutamente la integrazione della fattispecie contestata, segnatamente per quanto riguarda l'elemento soggettivo, collocandosi i singoli episodi in tempi di estremo disagio seguiti da comportamenti inconciliabili con intenti prevaricatori e vessatori.
2.4. Con ìl quarto motivo violazione dì legge penale e vizio della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio con riguardo al diniego delle attenuanti generiche, assertivamente motivato.
3. Il Procuratore generale ha depositato memoria a sostegno della inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
1. Ii ricorso è fondato per quanto di ragione.
2. Devono essere esaminati, per ragioni di ordine logico-giuridico, il secondo, terzo e quarto motivo.
3. Il secondo motivo è genericamente proposto per ragioni in fatto.
La censura del rigetto della istanza di perizia psichiatrica in ordine alla capacità processuale dell'imputato è genericamente proposta rispetto al giudizio di assenza di novità nella documentazione sanitaria prodotta dalla difesa rispetto alle emergenze del precedente doppio accertamento medico-legale, in considerazione del principio secondo il quale in tema di accertamenti sulla capacità dell'imputato di partecipazione cosciente al processo, il giudice non è tenuto a disporre perizia, perché può formare il suo convincimento anche sulla base degli elementi già acquisiti agli atti (Sez. 6, n. 31662 del 26/02/2008, Nereo, Rv. 241105;conf. Sez. 4, n. 13293 del 09/03/2023, Lauria, Rv. 284560).
Quanto poi alla capacità di intendere e di volere, la censura è del tutto genericamente proposta per ragioni in fatto rispetto all'incensurabile valutazione da parte del giudice di merito del dato peritale acquisito in sede di giudizio abbreviato, conforme a quello tecnico svolto in sede dì indagini preliminari, che aveva evidenziato che il disturbo della personalità ossessivo-compulsivo da cui è affetto l'imputato non era di tale gravità da produrre, al momento dei fatti, una esclusione o diminuzione della capacità di intendere e di volere. In particolare, vi era assenza di patologie mentali di pregnante significato clinico e la esistenza di un disturbo di personalità con aspetti misti di tipo paranoide, narcisistico, borderline, passivo-aggressiva, caratterizzato da impulsività; specificandosi che tale disturbo della personalità appariva di tipo strutturale, quantitativo e non qualitativo e mai scompensatosi in una franca dimensione psicotica (v. pg. 11/12 della sentenza impugnata).
Il doppio conforme giudizio di merito si conforma al principio di legittimità secondo il quale ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i "disturbi della personalità", che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di "infermità", purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di "infermità" (Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, Raso, Rv. 230317); ancora, in tema di imputabilità, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, i disturbi della personalità possono rientrare nel concetto di infermità, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere dell'autore del reato, e a condizione che sussista un nesso eziologico per effetto del quale il fatto di reato possa ritenersi causalmente determinato dal disturbo mentale (Sez. 6, n. 43285 del 27/10/2009,Bolognani, Rv. 245253).
4. Il terzo motivo è del tutto genericamente proposto riproducendo i profili di merito già sottoposti e correttamente vagliati dal Giudice di merito che ha ricostruito - attraverso le convergenti plurime fonti probatorie - la pluriennale abituale condotta vessatoria tenuta dal ricorrente (v. pg. 4/8 della sentenza impugnata) puntualmente disattendendo la prospettazione difensiva (v. pg. 9, ibidem) e la ricorrenza del dolo in ordine ai sistematici comportamenti vessatori ed a!le sofferenze dei familiari conviventi (v. pg. 10, ibidem).
5. Il quarto motivo costituisce generica censura al corretto esercizio dei poteri discrezionali demandati al giudice di merito che ha condiviso il diniego del primo giudice in ordine alle attenuanti generiche in considerazione della concreta modalità delle condotte, anche nei confronti dei figli o in loro presenza, della reiterazione delle stesse, dell'intensità del dolo non rinvenendo comportamenti specifici positivamente valutabili in favore dell'imputato (v. pg. 12, ibidem)
6. Il primo motivo è, invece, fondato.
6.1. La Corte di appello, all'esito della lettura del dispositivo di conferma della sentenza impugnata, a seguito della istanza difensiva di applicazione della pena sostitutiva, ha disposto rinvio alla successiva udienza del 26 maggio 2023, nella quale ha confermato della decisione sul rilievo secondo il quale – nonostante l'inoltro della richiesta da parte del difensore - a causa del mancato pervenimento del programma da parte dell'UEPE o da altro ente convenzionato non ricorrevano le condizioni per procedere alla applicazione della pena sostitutiva.
6.2. Ritiene questa Corte che la decisione assunta deve essere censurata e, per questa parte, la conferma della pena detentiva deve essere annullata.
L'art. 95 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ha disposto che la disciplina introdotta dalla riforma Cartabia in materia di pene sostitutive sia applicabile anche aì processi in corso all'entrata in vigore della disciplina normativa (30 dicembre 2022) che si trovino ìn primo grado e in appello.
Nei confronti degli stessi trova dunque applicazione il disposto dell'art. 545- bis cod. proc. pen., ìl cui comma 1 stabilisce che «Quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all'articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ne dà avviso alle partì».
Dunque, l'applicazione delle pene sostitutive avviene attraverso un meccanismo articolato, con dispositivo c.d. a struttura bifasica, in cui il giudice, valutata discrezionalmente, alla stregua dei parametri di cui all'art. 133 cod. pen., la ricorrenza delle condizioni per l'accesso dell'imputato alle pene individuate dall'art. 20-bis cod. pen. - la cui disciplina è contenuta negli artt. 53 e ss. legge n. 689 del 1981 - instaura una fase dì contraddittorio con le parti stesse e, ove necessario, con l'apporto dell'ufficio esecuzione penale esterna, definisce ed applica la pena più adeguata, dettagliandone obblighi e prescrizioni.
6.3. Ascrivendo al mancato pervenimento del programma di trattamento, pur richiesto dalla difesa, la insussistenza delle condizioni per accedere alla pena sostitutiva la Corte territoriale ha dato rilievo ostativo all'accesso alla pena sostitutiva a una evenienza - quale quella del mancato pervenimento del programma di trattamento - che non ha fondamento nel dato normativo.
Essa non trova riscontro, in particolare, nell'art. 545-bis, comma 1, cod. proc. pen, laddove prevede che il giudice, quando non sia possibile decidere immediatamente, debba fissare una udienza apposita successiva, e, al comma successivo, che possa innestarsi una procedura partecipata, in cui, al fine di decidere sulla pena, nonché al fine della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni relative, il giudice possa acquisire dall'ufficio di esecuzione penale esterna e, se del caso, dalla polizia giudiziaria, tutte le informazioni ritenute necessarie; potendo, ancora, richiedere all'ufficio di esecuzione penale esterna il programma di trattamento della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità con la relativa disponibilità dell'ente.
6.4. Come condivisibilmente ricordato da Sez. 2, n. 8794 del 14/02/2024, Pesce, Rv. 286006, «occorre rammentare che il legislatore della c.d. Riforma Cartabia ha inserito una importante innovazione del sistema delle pene sancita dall'introduzione dell'art. 20-bis del codice penale, intitolato "Pene sostitutive delle pene detentive brevi" e secondo cui "Salvo quanto previsto da particolari disposizioni di legge, le pene sostitutive della reclusione e dell'arresto sono disciplinate dal Capo 111 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e sono le seguenti:
1) la semilibertà sostitutiva; 2) la detenzione domiciliare sostitutiva; 3) il lavoro di pubblica utilità sostitutivo; 4) la pena pecuniaria sostitutiva". La valutazione della portata innovativa della suddetta norma deve essere interpretata analizzando, innanzi tutto, la volontà del legislatore; secondo la Relazione Illustrativa "La legge delega attribuisce al giudice di merito il potere di sostituire la pena detentiva anticipando alla fase della cognizione, a titolo di vera e propria pena (anche se sostitutiva), alcune forme di esecuzione extra-carceraria che nell'ordinamento penitenziario vigente sono definite come "misure alternative alla detenzione". Il giudice della cognizione, in altri termini, in caso di condanna a pena detentiva breve, è chiamato ad un compito ulteriore e nuovo rispetto agli schemi classici della commisurazione e applicazione della pena principale, ossia a valutare se non vi siano modelli sanzionatori, sostitutivi della pena detentiva, che contribuiscano in modo più adeguato alla rieducazione del condannato, purché assicurino, anche attraverso opportune prescrizioni, la prevenzione del pericolo che il condannato commetta altri reati. Per adempiere a tale compito, tuttavia, il giudice ha bisogno di un bagaglio di informazioni ulteriori rispetto a quelle comunemente acquisite nel giudizio di cognizione e per questo la legge delega ha previsto il coinvolgimento degli uffici di esecuzione penale esterna. Il meccanismo elaborato è ispirato al modello del sentencing di matrice anglosassone, ma non è del tutto estraneo al nostro ordinamento, che lo conosce nei processi davanti al giudice di pace.... Solo dopo la pubblicazione del dispositivo (ai sensi del vigente art. 545, co. 1, c.p.p.) sia il giudice sia le parti sono in grado di effettuare una prima valutazione circa la possibile applicazione delle pene sostitutive... Nel caso in cui non vi siano preclusioni circa la possibilità astratta di disporre la sostituzione delle pene detentive brevi, al fine di dare evidenza allaJ possibilità di sostituzione della pena, il giudice, subito dopo la lettura del dispositivo, è gravato dell'onere di dare avviso alle parti (nuovo art. 545- bis, co. 1, primo periodo, c.p.p.)". Ad avviso del legislatore della riforma, quindi, a seguito della pronuncia di condanna sul giudice che emette la sentenza ad una sanzione inferiore ad anni quattro grava un preciso onere di valutare la possibile applicazione di pene sostitutive che assicurando forme di limitazione delle libertà personale extra carcerarie, appaiano ugualmente idonee ad assicurare la funzione rieducativa1pur prevenendo il pericolo di commissione di ulteriori reati». Cosicché, prosegue la richiamata decisione, «può... affermarsi che sul giudice della condanna grava un preciso obbligo di verificare la sussistenza delle condizioni per disporre la sostituzione delle pene detentive brevi; e si tratta di un onere di particolare rilievo poiché funzionale a quell'obiettivo di "decarcerizzazione" del sistema penale che è stato indicato quale finalità da realizzare al fine di promuovere il reinserimento del condannato e favorire il minore sovraffollamento delle carceri». Quanto all'esercizio di tale potere discrezionale, rileva quindi il contenuto degli artt. 53, 58 e 59 della legge 681/1989 come riformata dal D. Lgs 150/2022. Segnatamente - annota la sentenza - «fondamentale è l'articolo 58, significativamente intitolato:" Potere discrezionale del giudice nell'applicazione e nella scelta delle pene sostitutive"; la norma richiama i parametri dettati dall'art. 133 cod. pen. stabilendo che (valutati detti criteri il giudice può applicare le pene sostitutive quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando anche attraverso opportune prescrizioni, assicurino la prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati. Lo stesso articolo aggiunge poi che la pena detentiva non può essere sostituita quando sussistano fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato. Infine, è l'art. 59 che detta testualmente le condizioni soggettive per la sostituzione della pena detentiva escludendo la possibilità di applicarla per chi: ha commesso il reato per cui si procede entro tre anni dalla revoca della sanzione sostitutiva o durante l'esecuzione della stessa; deve essere sottoposto a misura di sicurezza personale; risulta condannato per uno dei reati di cui all'art. 4-bis ordinamento penitenziario...La condizione ostativa per la concessione delle pene sostitutive, espressamente prevista dal legislatore, è invece quella dettata dall'art. 58 primo comma cit. secondo cui la pena detentiva non può essere sostituita quando: non assicura la prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati; sussistano fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato». «Va poi ricordato - prosegue ancora la decisione - che ai sensi dell'art. 95 D. Lgs 150/2022 "le norme previste dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell'entrata in vigore del presente decreto", con la conseguenza che tutta la disciplina in precedenza esaminata in tema di pene sostitutive è divenuta immediatamente applicabile ai giudizi pendenti in fase di appello, incombendo, pertanto, anche su tale giudice l'obbligo, ove ritualmente investito, di valutare la sussistenza delle condizioni per l'applicazione delle pene sostitutive (si veda al proposito Sez. 4, n. 636 del 29/11/2023 (dep. 09/01/2024) Rv. 285630 - 01; Sez. 6, n. 46013 del 28/09/2023, Rv. 285491 - 01). Ricostruito in tal modo l'obbligo gravante sul giudice della condanna, deve pertanto ritenersi che il giudice di appello ritualmente investito della questione della applicabilità delle pene sostitutive inflitte con la sentenza di condanna di primo grado... deve procedere all'analisi delle condizioni per la concessione delle stesse; in tale contesto, quindi, il sistema prevede un doppio richiamo ai criteri direttivi di cui all'art. 133 cod. pen. dapprima ai fini della determinazione della pena e, poi, ai fini della individuazione della pena sostitutiva così come richiamato dal citato art. 58 L.689/81».
6.5. Deve, quindi, essere riconosciuto che il quadro di riferimento della introduzione dell'art. 545-bis cod. pen. e la stessa lettera della legge che affida uno specifico potere-dovere al giudice di merito non consentono di dare alcun rilievo ostativo ad evenienze quale quello del mancato pervenimento del programma di trattamento incombendo al giudice, al fine dell'effettivo esercizio dei suoi poteri, l'obbligo di compulsare l'ente competente al fine di acquisire ogni elemento utile ai fini della determinazione prevista dall'art. 545-bis, comma 3, cod. proc. pen.
Deve essere affermato il seguente principio di diritto: «ai fini della decisione sulla istanza di pena sostitutiva ai sensi dell'art. 545-bis cod. proc. pen. non osta alla sostituzione della pena la sola circostanza del mancato pervenimento del programma di trattamento, ove ritenuto necessario, alla cui formulazione l'ente competente deve essere compulsato da parte del giudice investito della decisione».
7. Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla sostituzione della pena detentiva applicata con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
L'imputato deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Roma con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sostituzione della pena detentiva applicata con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Roma con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.