Il Tribunale di sorveglianza di Genova respingeva l'opposizione proposta da Caio, detenuto presso l'istituto penitenziario di Chiavari in espiazione della pena di cui al provvedimento di cumulo della Procura di Lucca, avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza di Genova aveva disposto nei suoi confronti l'espulsione a titolo di sanzione alternativa, ai...
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di sorveglianza di Genova, con ordinanza in data 17/05/2023, ha respinto l'opposizione proposta da (omissis), detenuto presso l'istituto penitenziario di Chiavari in espiazione della pena di cui al provvedimento di cumulo della Procura di Lucca, avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza di Genova, il 07/02/203, aveva disposto nei suoi confronti l'espulsione a titolo di sanzione alternativa, ai sensi dell'art. 16 comma 5 d.lgs. n. 286 del 1998.
Il Tribunale osservava, a ragione della decisione, dopo aver richiamato le argomentazioni poste a fondamento del decreto impugnato e illustrato le censure opposte dalla difesa, che la posizione soggettiva del (omissis), «straniero che abbia richiesto la proroga del permesso di soggiorno e se la sia vista rifiutare», rientrava tra i casi legittimanti l'espulsione espressamente menzionati dall'art. 13 comma 2 lett. b) d.lgs. n. 286 del 1998; nonché che appariva indimostrata la sussistenza di cause ostative all'espulsione di cui all'art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998, stante l'assenza di patologie in grado di pregiudicare il diritto alla salute e la mancanza di rapporti familiari da salvaguardare.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione (omissis), a mezzo del difensore avv. (omissis), che deduce erronea applicazione della legge in relazione agli artt. 13 e 16 d. lgs. 186 del 1998, nonché contraddittorietà della motivazione.
Osserva la Difesa come il Tribunale non abbia dato adeguata risposta al vizio, già contenuto nel provvedimento del Magistrato di sorveglianza, e denunciato in sede di opposizione, circa l'assenza di specificazione in ordine alla condizione soggettiva del condannato legittimante l'espulsione, non essendo stato chiarito in quali condizioni di irregolarità, tra quelle previste dall'art.13 d. lgs. 186 del 1998, il (omissis) versasse. Erroneamente il Tribunale affermava che il condannato aveva chiesto la «proroga» del permesso di soggiorno, ottenendone un rifiuto, dal momento che l'istituto della proroga attiene soltanto al visto di ingresso, mentre con riferimento al permesso di soggiorno il T.U. Immigrazione prevede il diverso istituto del rinnovo; quand'anche tuttavia si ritenesse che l'imprecisione terminologica del Tribunale sottendesse un riferimento al mancato rinnovo del permesso, comunque il Tribunale avrebbe errato dal momento che anche tale condizione soggettiva non corrisponde ad alcuna delle fattispecie tassativamente indicate nell'art. 13 comma 1 lett. b) d. lgs. 186 del 1998. Non avendo il Tribunale di sorveglianza attivato i propri poteri istruttori, all'esito del giudizio di merito risulta ancora impossibile stabilire quale condizione di irregolarità abbia consentito l'espulsione del (omissis).
3. Il Procuratore Generale, dr. (omissis), con requisitoria scritta, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, che attiene alla contestata sussistenza delle condizioni per disporre, nei confronti del ricorrente, la misura della espulsione dal territorio dello Stato e all'iter argomentativo che ha sorretto la decisione impugnata, è infondato.
2. Va premesso, in punto di fatto che il Magistrato di sorveglianza di Genova ha applicato al ricorrente, ai sensi dell'art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, l'espulsione quale misura alternativa alla espiazione nel territorio nazionale della pena detentiva fissata con il provvedimento di cumulo del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lucca, che riunisce due condanne per violazione alla legge stupefacenti del 2018, ritenuta la sussistenza delle condizioni legittimanti l'espulsione, di cui all'art. 13 d.lgs. n. 286 del 1998, e la non ricorrenza dei divieti di espulsione, di cui all'art. 19 dello stesso decreto, e che il Tribunale di sorveglianza, chiamato a pronunciarsi sull'opposizione proposta avverso detta decisione, ne ha disposto la conferma.
Va anche chiarito, sempre in premessa, come alcun dubbio sussista in ordine alla posizione soggettiva del ricorrente (omissis): emerge con chiarezza dall'esame del provvedimento impugnato che il condannato, già titolare di permesso di soggiorno in Italia sino al 2013, si sia visto rifiutare il rinnovo dello stesso: è chiaro che il Tribunale di sorveglianza di Genova, nell'utilizzare in senso improprio la locuzione «proroga del permesso di soggiorno», intendesse riferirsi al mancato rinnovo del permesso di soggiorno, come peraltro risulta essere stato chiarito in sede di opposizione formulata dal ricorrente al provvedimento del magistrato di sorveglianza.
3. Ciò premesso, la questione di diritto che si pone all'attenzione di questa Corte è se, ai sensi del combinato disposto degli artt. 16 e 13, comma 2 lett. b) d.lgs. n. 286 del 1998, possa essere adottato dal Magistrato di sorveglianza il provvedimento di espulsione dal territorio dello Stato del cittadino straniero, privo di titolo di soggiorno, che debba espiare pena detentiva di durata inferiore a due anni, quando allo stesso già titolare di permesso di soggiorno, sia stata rigettata l'istanza di rinnovo del permesso stesso.
4. L'espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena, prevista dall'art. 16, comma 5, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, riservata alla competenza del giudice di sorveglianza ed avente natura amministrativa, costituisce un'atipica misura alternativa alla detenzione, finalizzata ad evitare il sovraffollamento carcerario, della quale è obbligatoria l'adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge e fatta salva la ricorrenza di una tra le cause ostative previste dal successivo art. 19 del medesimo plesso normativo (Sez. 1, n. 45601 del 14/12/2010, Turtulli, Rv. 249175).
L'art. 16, comma 5, prevede che tale espulsione possa essere disposta nelle ipotesi previste dal precedente art. 13, comma 2, e, dunque, al cospetto di una delle seguenti condizioni: a) che lo straniero sia entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non sia stato respinto ai sensi dell'articolo 10; b) che si sia trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all'articolo 27, comma 1- bis, o senza avere richiesto la proroga del visto o il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando la proroga del visto o il permesso di soggiorno siano stati revocati o annullati o rifiutati ovvero quando il permesso di soggiorno sia scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo ovvero se lo straniero si è trattenuto sul territorio dello Stato in violazione dell'articolo 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007, n. 68, o nel caso in cui sia scaduta la validità della proroga del visto; c) che lo straniero stesso appartenga a una delle categorie indicate negli articoli 1, 4 e 16, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
5. Il ricorrente denuncia l'errore di diritto in cui sarebbe incorso il Tribunale di sorveglianza di Genova nell'affermare (pag. 2) che «l'art. 13, comma 2, T.U. IMM., lettera b, esplicitamente menziona come espellibile lo straniero che abbia richiesto la proroga del permesso di soggiorno e se la sia vista rifiutare», osservando in particolare come, in realtà, la citata condizione soggettiva dello straniero non corrisponda ad alcuna delle fattispecie elencate nell'art. 13, comma 2 lett. b) d.lgs. n. 286 del 1998.
Richiama a tale proposito una pronuncia di questa Corte (Sez. 1, n. 20014 del 04/04/2013, Ben Makhlouf, Rv. 256029 - 01), che aveva affermato il principio per cui «è illegittima l'espulsione dello straniero, motivata, a norma degli artt. 16, comma quinto, e 13, comma secondo, D. Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (testo unico in materia di immigrazione), dal rigetto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno».
6. Ritiene questo Collegio che il citato orientamento debba essere rivalutato, alla luce di un'analisi sistematica e coordinata dei principi e delle norme che governano la materia.
È senz'altro vero che una lettura formalistica dell'art. 13, comma 2 lett. b) d.lgs. n. 286 del 1998 non consentirebbe di ricomprendere la posizione del cittadino extracomunitario, il cui permesso di soggiorno non venga rinnovato, in quella dello straniero entrato in Italia sottraendosi ai controlli o trattenutosi senza aver chiesto il permesso di soggiorno o privato di quello rilasciato perché revocatogli o non avente chiesto il rinnovo nel termine di legge.
Va tuttavia osservato come l'elencazione contenuta nel citato art. 13 comma 2 lett. b), apparentemente tassativa, debba essere coordinata con quella dell'art. 5, comma 5 d.lgs. n. 286 del 1998, secondo la quale il rinnovo del permesso di soggiorno è rifiutato allorché vengano meno i requisiti di legittimo trattenimento in Italia; la norma, infatti, tratta come equipollenti le ipotesi di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, equiparando quindi la posizione soggettiva del soggetto cui il permesso di soggiorno è stato revocato (ipotesi espressamente contemplata dall'art, 13 comma 2 lett. b) d.lgs. n. 286 del 1998) a quella dello straniero cui sia stato rifiutato il rinnovo, trattandosi sostanzialmente e anche formalmente, di soggetto privo del ridetto permesso.
L'equiparazione soggettiva tra le diverse ipotesi, testualmente prevista dall'art. 5 comma 5 d. lgs. 286 del 1998, si fonda sul presupposto che a legittimare l'espulsione quale misura alternativa alla detenzione di cui all'art. 16 comma 5 d. lgs. 286 del 1998, sia la presenza irregolare dello straniero sul territorio dello Stato.
Non è peraltro ultroneo ricordare come, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale (ordinanza n. 485 del 2000) la ratio sottesa all'espulsione amministrativa nei casi previsti dall'art. 13, comma 2) d.lgs. n. 286 del 1998 sia quella di assicurare una razionale gestione dei flussi di immigrazione nel nostro Paese: proprio sulla base di tale presupposto la Consulta, con la citata pronuncia, ha ritenuto non irragionevole la scelta legislativa di equiparare la posizione degli stranieri privi di permesso, per non averlo mai ottenuto, e gli stranieri il cui permesso sia scaduto senza essere rinnovato.
La prospettata esegesi trova conferma e conforto nella risalente ma mai contrastata giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione civile.
È stato in particolare affermato che «quando il permesso di soggiorno dello straniero sia stato annullato, o revocato ovvero (come nella specie) ne sia stato negato il rinnovo, il Prefetto è tenuto a disporre, in applicazione dell'art. 13, comma secondo, lett. b), del D.Lgs. n. 286 del 1998, l'espulsione dello straniero» (Cass. civ., Sez. 1, n. 5127 del 03/04/2003, Rv. 561759 - 01); ed ancora nello stesso senso Cass. civ., Sez. 1, n. 1214 del 20/01/2005; Rv. 578893 - 01: «quando il permesso di soggiorno dello straniero sia stato annullato, o revocato ovvero ne sia stato negato il rinnovo, il Prefetto è tenuto a disporre, in applicazione dell'art. 13, comma secondo, lett. b), del D.Lgs. n. 286 del 1998, l'espulsione dello straniero, ossia un provvedimento amministrativo il cui sindacato di legittimità da parte della Corte è limitato alla verifica degli eventuali vizi di motivazione e del malgoverno delle regole di ermeneutica contrattuale, se e in quanto analogicamente applicabili»; e Cass. civ. Sez. 1, n. 19447 del 20/09/2007, Rv. 598932 - 01): «l'espulsione che tragga ragione dalla presenza irregolare dello straniero nello Stato ai sensi dell'art. 13, comma 2, lett. b), del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, determinata dalla revoca del permesso di soggiorno o dal rigetto dell'istanza di rinnovo del esso, fermi restando sia l'azionabilità innanzi al Giudice Amministrativo dei vizi propri dell'atto di revoca o di rigetto, tra i quali le carenze comunicatorie, sia l'assenza di alcuna pregiudizialità dell'impugnazione di tali atti rispetto alla opposizione alla espulsione, deve, nel rispetto dell'obbligo di cui all'art. 3, comma 3, della legge n. 241 del 1990 - norma applicabile ai procedimenti di espulsione -, indicare specificamente a pena di nullità - anche "per relationem", purché in modo specifico e ciò preluda alla messa a disposizione dell'interessato dell'atto richiamato - l'atto di revoca o di rigetto, che costituisce non già il necessario antecedente logico-giuridico della condizione di soggiornante illegale dello straniero stesso, bensì la condizione fattuale e giuridica per il valido esercizio della potestà espulsiva».
Il consolidato approdo ermeneutico della Suprema Corte civile equipara quindi la posizione soggettiva dello straniero a cui sia stato negato il rinnovo del permesso di soggiorno a quello dello straniero che tale permesso non abbia mai avuto o se lo sia visto revocare e annullare: ciò che rileva ai fini della legittimità della espulsione, è il requisito del mancato possesso in capo al ricorrente di permesso di soggiorno rilasciato dallo Stato italiano, essendo la presenza irregolare sul territorio dello stato dello straniero, la condizione che, ex art. 13, comma 2, lett. b), del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, legittima l'espulsione prevista dall'art. 16 comma 5 d. lgs. 286 del 1998.
7. Va osservato, ancora, come non si tratti di applicare analogicamente ed in malam partem la legge penale, ma di compiere una esegesi razionale della normativa di riferimento, la cui ratio è quella non solò di collegare la liceità del soggiorno in Italia al possesso del relativo permesso, ma di armonizzare la concessione dell'atto amministrativo ai requisiti di regolare condotta generalmente richiesti.
Nel caso in esame, peraltro, non viene in rilevo un'applicazione analogica di una norma incriminatrice, dal momento che è pacifica la natura giuridica sostanzialmente amministrativa dell'espulsione prevista dall'art. 16 comma 5 d.lgs. 286 del 1998, come anche affermato da Corte cost. con la decisione n. 226 del 2004.
Deve quindi affermarsi il seguente principio di diritto «la condizione personale dello straniero irregolare che abbia subito il diniego del rinnovo è equiparabile a quella di chi abbia visto revocare, annullare o rifiutare il permesso di soggiorno e non abbia impugnato il provvedimento sfavorevole per identità dei effetti concreto e giuridici e per la non riferibilità alla materia dell'espulsione quale misura di sicurezza amministrativa del divieto di applicazione analogica in malam partem della disposizione di legge di riferimento, che non è norma incriminatrice».
5. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.