Il cittadino albanese ricorre avverso la decisione del
Svolgimento del processo
Il Giudice di Pace di Fermo, con l’ordinanza indicata in epigrafe ha respinto l’impugnazione proposta da (omissis), cittadino dell’Albania, avverso il decreto prefettizio di espulsione, notificato in data 07/09/2022, adottato ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 286 del 1998, ritenendo il cittadino straniero riconducibile ad una delle categorie indicate nell’art. 1 d.lgs. n. 159 del 2011.
Il cittadino straniero ha proposto ricorso per Cassazione avverso tale statuizione, affidandosi a due motivi di impugnazione.
Gli intimati non si sono difesi con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la seguente censura: «Ex. Art. 360, comma 1 n. 3, Violazione e Falsa applicazione delle norme di Diritto. Violazione e mancata applicazione dell’Art. 20 D. Lgs. 30/2007.».
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la seguente censura: « 1. Ex. Art. 360, comma 1 n. 3, Violazione e Falsa applicazione delle norme di Diritto. Violazione degli artt. 19, e degli artt. 2 e 10 del D. L. 30/2007. Mancata valutazione della situazione familiare.»
2. Il primo motivo è inammissibile.
2.1. Parte ricorrente ha dedotto che il giudice di merito ha del tutto omesso di pronunciarsi sull’eccezione, costituente uno specifico motivo di impugnazione, riferita alla ritenuto vizio del decreto di espulsione per essere stato adottato in una fattispecie in cui avrebbe, semmai, dovuto emettersi, in presenza dei presupposti, un provvedimento di allontanamento, ai sensi dell’art. 20 d.lgs. n. 30 del 2007, tenuto conto che, pur essendo attualmente separato, il ricorrente si era unito in matrimonio con una cittadina italiana (dalla quale aveva avuto una figlia, affidata ad entrambi i genitori in affido condiviso). Sulla base di tale premessa, la parte ha proposto la censura, prospettando la violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., affermando che, in quanto familiare di cittadino italiano, non avrebbe potuto essere espulso, ma allontanato, in presenza di presupposti diversi e con l’applicazione di norme anche processuali del tutto differenti.
2.2. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall'art. 360, comma 1, c.p.c., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l'omessa pronuncia, da parte dell'impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., con riguardo all'art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; v. da ultimo Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018; più rigorosa ancora è Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 11603 del 14/05/2018).
2.3. Nel caso di specie, il ricorrente ha semplicemente premesso l’omessa pronuncia per poi illustrare le ragioni della ritenuta violazione di legge, sicché il motivo si presenta del tutto inammissibile.
3. Il secondo motivo di ricorso è in parte infondato e in parte inammissibile .
3.1. Il ricorrente ha innanzitutto contestato la mancata ammissione delle prove richieste, senza dedurre uno specifico motivo di ricorso che indicasse lo specifico vizio, diverso da quello enunciato, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.
La critica si basa peraltro su argomentazioni tutte di merito, volte a sottoporre inammissibilmente al giudice di legittimità nuova valutazioni in fatto.
3.2. Lo stesso ricorrente ha, poi, dedotto che il decreto di espulsione è da ritenersi viziato perché, come pure aveva affermato davanti al Giudice di Pace, l’istante non poteva essere espulso, in forza del disposto dell’art. 19, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 286 del 1998, combinato all’art. 28 d.P.R. n. 394 del 1999, essendo coniuge e padre di cittadine italiane (dando rilievo anche al disposto degli artt. 2 e 10 del d.lgs. n. 2007, per la definizione di familiare) ed evidenziando l’evoluzione normativa e interpretativa in ambito nazionale e sovranazionale, in generale, nella materia della coesione familiare. Ha quindi aggiunto che, contrariamente a quanto riferito dalla moglie, e fatto proprio dal Giudice di Pace, non era vero che non vi fosse mai stata vera comunione di vita con la donna che aveva sposato né che non avesse cura della bambina.
Ha, infine, rilevato che non è stato espulso con provvedimento del Ministro dell’interno ai sensi dell’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 286 del 1998, sicché non vi era ostacolo all’applicazione dell’art. 19, comma 2, d.lgs. cit., nonostante avesse commesso alcuni reati, tenuto conto che non era stato mai classificato come soggetto socialmente pericoloso nei giudizi penali che l’avevano interessato, aggiungendo che il reato commesso il 19/12/2019 (furto in abitazione aggravato e in concorso), per il quale era stato tratto in arresto, era ancora sub iudice, e il Gip del Tribunale di Ancona, nell’applicare la misura cautelare aveva evidenziato il fatto che egli possedeva una dimora ed un nucleo familiare, in cui era inserito, e differenziava la sua posizione da quella degli altri indagati, sottolineando anche il fatto che lo stesso aveva confessato pienamente, e senza riserve, i fatti e che la sua posizione era più marginale rispetto ai correi.
3.3. Con riferimento alla ritenuta inespellibilità, occorre tenere presente che l’art. 19, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 286 del 1998, prevede quanto segue: «Non è consentita l’espulsione, salvo che nei casi previsti dall’art. 13, comma 1» - si tratta dell’ipotesi in cui l’espulsione è disposta dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, nella specie non integrata - «degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana».
Il ricorrente non ha dedotto di vivere con la moglie, dalla quale è separato, ma ha ritenuto che deve ritenersi convivente con la figlia minore, poiché il giudice, in sede di separazione, aveva disposto l’affidamento condiviso della bambina e nessun problema era mai emerso nel rapporto con la figlia.
Si deve, tuttavia, tenere distinto l’affidamento del figlio - che può essere, appunto, condiviso tra i genitori - dalla convivenza, la quale si sostanzia in una situazione di fatto, connotata dalla effettiva e ordinaria condivisione della vita quotidiana nella stessa dimora.
Tale ultima situazione non è stata dedotta dal ricorrente, neppure attraverso le richieste istruttorie formulate, avendo il medesimo, infatti, riferito quanto segue: «A seguito della separazione personale con la moglie, (omissis) tornava a vivere con il fratello, la sua famiglia e la loro madre, a Servigliano (FM), in Via (omissis), che lo ha accolto (Doc. 14) Successivamente, il fratello si trasferiva a (omissis), in Via (omissis), mentre (omissis) si trasferiva a (omissis), via (omissis), in un’immobile che prendeva in affitto (Doc. 15). Nonostante abitino in case separate, la famiglia di E. continua a prendersi cura di (omissis), anche dal punto di vista economico (Doc. 16).» (p. 5 del ricorso per cassazione).
Con riferimento a tale censura, dunque, il motivo si rivela infondato, dovendo applicarsi il seguente principio:
«In materia di espulsione del cittadino straniero, il disposto dell’art. 19, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 286 del 1998, che vieta l’espulsione del cittadino straniero convivente con un familiare di cittadinanza italiana, non vieta l’espulsione del cittadino straniero per il solo fatto che sia genitore di un minore italiano, a lui affidato in via condivisa con la madre, in sede di separazione personale dei coniugi, senza essere designato genitore collocatario, essendo necessaria la convivenza, che si sostanzia nella effettiva e ordinaria condivisione della vita quotidiana nella stessa dimora.»
3.4. Con riferimento alla contestazione riferita alla ritenuta pericolosità sociale del ricorrente e alla prospettazione della prevalenza dell’interesse al mantenimento del rapporto familiare, occorre tenere presente che il giudice di merito, dopo aver affermato la necessità di valutare nel concreto e nell’attualità la pericolosità sociale del ricorrente ha confermato la sussistenza dei presupposti per l’espulsione ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. c.), d.lgs. n. 286 del 1998, ritenuto quanto segue: «alla luce di tali principi, nel caso di specie, va osservato che, oltre alla sussistenza di numerosi precedenti penali riferiti a tipologie di reati anche gravi (quali lo spaccio di sostanze stupefacenti), l’analisi della personalità del (omissis) e delle sue condotte di vita depongono per un giudizio oggettivo che giustifica il provvedimento emesso nei suoi confronti, il quale non coltiva alcun rapporto con la minore se non in rarissime occasioni e solo a seguito di provvedimenti dell’A.G. Il distacco affettivo si estende anche nei confronti della ex moglie tanto che la stessa ha sospettato che il (omissis) si sia riavvicinato a lei solo per ottenere i permessi di soggiorno in Italia. Riferisce infatti che con l’ex marito non vi è mai stata una vera e propria convivenza se non durante i primi anni di matrimonio, ma anche in tal caso, in considerazione che il (omissis) scontava una misura restrittiva degli arresti domiciliari e successivamente l’obbligo di dimora presso l’abitazione della Felici. In quest’ottica non appaiono fondate le ragioni per una inespellibilità del ricorrente.»
La censura si sostanzia in una richiesta di riesame in fatto degli avvenimenti e delle circostanze già valutate dal giudice di merito, all’esito di un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal medesimo giudice sulla base delle prove acquisite, apprezzamento che non può, di certo, essere rivisitato in sede di legittimità.
4. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
5. Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non avendo gli intimati svolto difese.
6. Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione l'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.