
La Corte territoriale di Brescia confermava la decisione del Tribunale, il quale rigettava il ricorso di Tizio di impugnativa del licenziamento intimatogli dalla società per superamento del periodo di comporto.
In particolare, la Corte d'Appello rilevava che il CCNL applicato al rapporto stabiliva un periodo di comporto di 6 mesi...
Svolgimento del processo
1. la Corte d'Appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede di rigetto del ricorso di (omissis) di impugnativa del licenziamento intimatogli dalla società (omissis) con lettera del 16.7.2018 per superamento del periodo di comporto;
2. la Corte di merito, in particolare, rilevato che l’art.39 CCNL Industria Gomma Plastica applicato al rapporto stabiliva un periodo di comporto di sei mesi per i lavoratori con anzianità di servizio quali il ricorrente, escludeva che non si dovessero computare in tale periodo 17 giorni nei quali il medesimo era rimasto assente per quarantena, prescritta dal medico, essendo la figlia risultata affetta da TBC;
3. per la cassazione della sentenza d’appello propone ricorso il lavoratore con unico articolato motivo; resiste la società con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
Motivi della decisione
1. parte ricorrente deduce violazione dell’art. 2110 c.c., in relazione all’art. 10 della legge n. 419/1975; sostiene che non possono computarsi i giorni di assenza dal lavoro per profilassi antitubercolare della figlia minore del lavoratore straniero tra le assenze dovute a malattia, perché il comporto ex lege per la profilassi antitubercolare si aggiunge e non si sostituisce a quello ordinariamente previsto dalla contrattazione collettiva per il mero caso di malattia comune o infortunio non sul lavoro;
2. il motivo non è fondato;
3. la norma di cui all’art. 10 della n. 419/1975 (Miglioramento delle prestazioni economiche e sanitarie a favore dei cittadini colpiti da tubercolosi) stabilisce che “Le amministrazioni statali anche ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici e tutti i datori di lavoro del settore privato aventi un numero di dipendenti superiore a quindici unità hanno l'obbligo di conservare il posto ai lavoratori subordinati affetti da tubercolosi fino a sei mesi dopo la data di dimissione dal luogo di cura per avvenuta guarigione o stabilizzazione, con mansioni ed orario adeguati alle residue capacità lavorative”;
4. come osservato dalla giurisprudenza, anche risalente, in materia, tale disposizione (la quale prevede, in favore dei lavoratori affetti da tubercolosi, l'obbligo di conservazione del posto per un periodo di sei mesi dalla data di dimissione del dipendente dal luogo di cura per avvenuta guarigione o stabilizzazione) ha introdotto una ulteriore e specifica forma di comporto ex lege, la cui armonizzazione con il comporto ordinario (sia esso "secco" o "per sommatoria) implica un prolungamento di quest'ultimo, ove il medesimo sia venuto a scadere nel periodo semestrale anzidetto; infatti, ispirandosi ad una realistica considerazione della situazione patologica, comportante l'indeterminabilità della prognosi e della relativa terapia, il legislatore ha fissato in sei mesi (decorrenti dalla dimissione dalla casa di cura, per guarigione o stabilizzazione della malattia) il periodo durante il quale il datore di lavoro ha l'obbligo di conservare il posto al lavoratore affetto da tubercolosi, in tal modo apprestando un regime di tutela a lui più favorevole, come è ulteriormente dimostrato dalla clausola che prevede l'assegnazione del lavoratore, ancorché non definitivamente guarito, allo svolgimento di mansioni compatibili con le sue condizioni di salute (Cass. n. 134/1997, n. 5296/1983);
5. tali principi sono stati ribaditi recentemente da Cass. n. 19936/2023, nel senso che l'art. 9 della legge n. 1088 del 1970 (confermato in tale parte dall'art. 10 della legge n. 419 del 1975), che ha previsto la sospensione del rapporto di lavoro per tutto il periodo in cui il lavoratore è affetto da tubercolosi fino a sei mesi dopo la data di dimissioni dal luogo di cura per avvenuta guarigione o stabilizzazione della malattia, deve essere interpretato nel senso che la garanzia della conservazione del posto di lavoro non è limitata all'ipotesi di ricovero del lavoratore in un istituto di cura specializzato (sanatorio od ospedale), ma comprende qualsiasi modalità di cura, anche ambulatoriale o domiciliare, atteso che la finalità della citata norma è quella di vincolare il mantenimento del posto di lavoro per tutta la durata in cui il lavoratore ammalato risulti bisognoso di cure, nonché per ulteriori sei mesi dopo il verificarsi di uno dei due suddetti eventi (guarigione o stabilizzazione della malattia);
6. tale consolidata lettura della norma speciale è piuttosto chiaramente collegata alla tutela del lavoratore ammalato di tubercolosi, alla specificità della patologia, alle sue peculiari tempistiche di guarigione;
7. posto che la ratio della speciale protezione è strettamente collegata alla persona del lavoratore, la tesi di parte ricorrente, che propugna la sterilizzazione dell'assenza dal lavoro per tale malattia di un familiare (e non del lavoratore stesso) ai fini del comporto e della speciale tutela per i lavoratori affetti da tubercolosi, non è condivisibile, perché disancorata dal dato normativo e dalla sua ratio;
8. la normativa pertinente prevede uno specifico prolungamento del comporto, con obbligo di conservazione del posto per il periodo fissato dalla legge, nel caso di malattia del lavoratore, a protezione del medesimo; del tutto diversa è l’assenza qui considerata, per malattia della figlia (e non del lavoratore stesso), che ha comportato un’assenza dal lavoro del genitore indubbiamente giustificata, anche in relazione a generali esigenze di profilassi, ma che non rientra nell’ipotesi di prolungamento del comporto, per carenza del requisito della malattia tubercolare del lavoratore in vista della sua guarigione, evento tutelato dalla norma in esame;
9. il ricorso deve, pertanto, essere respinto, con regolazione delle spese del grado, liquidate come da dispositivo, secondo il regime della soccombenza; al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi di parte ricorrente a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03.