Quando il diritto al risarcimento può essere trasferito ai congiunti del titolare del bene vita? Risponde la Cassazione con ordinanza n. 16348 /2024 .
È necessario provare che la vittima si trovasse in uno stato di «lucida agonia» affinché i congiunti possano pretende il risarcimento dei danni derivati dal suo decesso. Lo chiarisce la Cassazione nell'ordinanza n. 16348/2024 che decide sul ricorso dei parenti di una ragazza morta a seguito di un incidente stradale. La macchina...
Svolgimento del processo
1.Il giorno 27.3.2003, sulla strada comunale via S. nel comune di C., l’autovettura Fiat Tg omissis, condotta da I.N.O., finiva fuori strada urtando violentemente un albero. In conseguenza del sinistro decedeva la trasportata, A.O.. Più in particolare in conseguenza dell’urto la vittima finiva in stato di coma profondo ed il decesso interveniva tre giorni dopo. Lo stato di morte cerebrale veniva dichiarato in data 1.4.2003, dopo che il giorno prima i parenti avevano autorizzato l’espianto degli organi.
2. In parziale accoglimento della domanda attorea formulata dagli eredi della giovane deceduta, Il Tribunale di Cassino con sentenza n. 576/2014, , accertata la responsabilità del convenuto O.N.I. nella causazione del sinistro occorso in data 27 marzo 200, condannava detto convenuto, nonché V.O. e la Nuova Tirrena Assicurazioni s.p.a., in solido tra loro, al pagamento, in favore del P., dell’importo di euro 10.804,5 e, in favore della R., dell’importo di euro 6.808,00, compensando tra le parti le spese processuali e ponendo a carico di entrambe le parti in misura eguale le spese relative alla espletata c.t.u.
3.A seguito di appello proposto da tutti gli originari attori (e cioè non soltanto dai genitori della vittima L.P. e T.R., ma anche dai fratelli C.P., M.P. e M.P.), la Corte d’appello di Roma – con sentenza n. 5/2021, emessa nel contraddittorio della compagnia assicuratrice Groupama Assicurazioni s.p.a. e nella dichiarata contumacia degli appellati I.N.O. e V.O. – respingeva l’appello nella parte in cui gli appellanti insistevano a) nella domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno biologico da morte, che asserivano essere a loro dovuto quali eredi di A.P.; b) nella domanda di risarcimento del danno parentale, che era stata ritenuta implicitamente rinunciata dal giudice di primo grado. Al contrario, la corte territoriale accoglieva l’appello in relazione alla errata compensazione delle spese processuali di primo grado e di consulenza tecnica.
4.Avverso la sentenza della corte territoriale hanno proposto ricorso gli originari attori. Ha resistito con controricorso la compagnia assicuratrice, che ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione
1.L.P. e R.T., nonché C., M., M. P. articolano in ricorso due motivi.
1.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano «in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare per erronea e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 185 c.p» nella parte in cui, che riproducono, la corte territoriale non ha accolto la loro domanda di risarcimento del danno iure haereditatis. Sostengono che la corte territoriale non ha applicato i principi affermati da Cass. n. 1361/2014, che non sono stati esplicitamente esclusi dalle Sezioni Unite con successiva sentenza n. 15350/2015.
Osservano che: a)«costituisce danno non patrimoniale risarcibile anche il danno da perdita della vita, quale bene supremo dell’individuo, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile garantito in via primaria da parte dell’ordinamento, anche sul piano della tutela civilistica»; b) detto danno, in ragione del diverso bene tutelato, è diverso dal danno alla salute, e, pertanto, si differenzia sia dal danno biologico terminale che dal danno morale terminale (detto anche catastrofale o catastrofico) della vittima; c) detto danno va riconosciuto «a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia» e, quindi, anche in caso di morte così detta «immediata o istantanea», senza che assumano, pertanto, al riguardo rilievo né il presupposto della persistenza in vita per un apprezzabile lasso di tempo successivo al danno evento da cui è derivata la morte né il criterio della intensità della sofferenza subita dalla vittima per la cosciente e lucida percezione dell’ineluttabile sopraggiungere della propria fine; d) il diritto al ristoro del danno da perdita della vita viene acquisito dalla vittima istantaneamente al momento della lesione mortale (e, quindi, anteriormente, all’exitus letale); e) il diritto al risarcimento del danno da morte è trasmissibile iure hereditatis: sia perché solo chi è in vita può morire; sia perché sarebbe contraddittorio risarcire il danno conseguente alla perdita del bene della salute ma non anche quello conseguente alla perdita del bene della vita, che del costituisce l’ineludibile presupposto; sia perché tale diritto, tramite la successione ereditaria, contribuisce ad incrementare l’eredità lasciata dalla vittima ai propri congiunti, per cui il danno resta pur sempre rapportato ad un soggetto legittimato a far valere il credito risarcitorio. Aggiungono che, in caso di lesione dell’integrità fisica con esito finale - come per l’appunto nella specie, nel quale il decesso si è verificato dopo alcuni giorni di stato comatoso - non può dirsi che il soggetto è venuto meno nello stesso momento in cui è sorto il credito risarcitorio.
1.2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano «in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92, 2° co. C.p.c.» nella parte in cui la corte territoriale, rigettando lo specifico motivo di appello, da essi proposto al riguardo, non ha liquidato il danno parentale. Sostengono che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale, nel caso di specie non era intervenuta alcuna rinuncia inequivoca a detto capo della domanda, in quanto il loro precedente procuratore non solo in sede di udienza di precisazione delle conclusioni aveva fatto riferimento all’accoglimento delle conclusioni indicate in atto di citazione (e, quindi, implicitamente anche a quelli che si riferiscono al danno morale e/o al danno parentale) ma a dette conclusioni aveva fatto riferimento anche in sede di successiva comparsa conclusionale 26 gennaio 2012 (alle pagine 1 e 2, nonché alle pagine 12 e 13). In sintesi, secondo parte ricorrente, la sentenza di secondo grado sarebbe errata e contraddittoria perché, dopo aver dato atto che la mancata riproposizione di una specifica domanda in sede di precisazione delle conclusioni non comporta necessariamente rinuncia alla domanda stessa, avrebbe tuttavia respinto il motivo di appello, condividendo sul punto la decisione del Tribunale.
2.Il ricorso è infondato.
2.1. Infondato è il primo motivo. Invero, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 15350/15, superando quanto affermato da Cass. n. 1361/14 – hanno affermato che il bene vita in quanto tale è «bene autonomo fruibile solo in natura dal titolare» e, a fronte di tale statuizione, che è stata seguita negli anni successivi dalla giurisprudenza di legittimità a sezioni semplici, il ricorso non offre nuovi elementi validi per un suo eventuale mutamento. D’altronde, la corte territoriale, confermando quanto già affermato dal Tribunale, non ha respinto la domanda risarcitoria jure hereditatis solo perché il decesso è intervento a breve distanza di tempo dal sinistro, ma anche in considerazione del fatto che la vittima, nel momento stesso del sinistro, è finita in uno stato di coma profondo e poi il decesso è intervento senza soluzione di continuità, ragion per cui «non vi fu quindi una lucida agonia». Al riguardo il ricorrente deduce che lo stato di coma non esclude di per sé che la persona in coma possa avvertire «lo stato di compressione psicofisica che l’ha colpita ed il disagio per la morte imminente». Senonché l’affermazione, in sé fondata, non è stata provata: non risulta cioè provato in atti che la vittima, pur in stato di coma profondo, abbia avvertito il disagio per la morte imminente.
2.2. Inammissibile per plurime ragioni è il secondo motivo in ordine alla mancata liquidazione del danno parentale. In primo luogo, il motivo assume nella intestazione la violazione e falsa applicazione dell’art. 92, secondo comma, c.p.c., ma poi nell’illustrazione non ne contiene affatto la denuncia. Si duole, infatti, di altro, cioè di un errore della corte nel rigetto del secondo motivo di appello e riguardo ad esso non fornisce alcuna indicazione della norma asseritamente violata. Inoltre, se anche si superasse tale rilievo, il motivo risulterebbe inammissibile per palese inosservanza dell’art. 366 n. 6 c.p.c. Infatti, gli atti processuali sui quali si fonda, che vengono evocati dalla motivazione della sentenza e sulla cui esegesi la corte capitolina avrebbe errato, non sono riprodotti né direttamente né indirettamente e neppure sono localizzati e ciò nemmeno nel modo indicato da Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011. Infine, si deve comunque osservare che, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, entrambi i giudici di merito non hanno inteso rinunciata la domanda risarcitoria avente ad oggetto il danno parentale in ragione del fatto che la stessa non era stata esplicitata in sede di precisazione delle conclusioni, ma hanno ritenuto abbandonata la domanda in ragione dell’intero comportamento assunto dagli attori nel corso di tutto il giudizio ed in ragione del fatto che tale voce di danno era già stata risarcita dalla compagnia, secondo gli importi di cui alle tabelle del Tribunale di Roma (importi che peraltro non erano stati neppure contestati). Precisamente, il Tribunale ha ritenuto la domanda rinunciata in base ad una serie di «elementi indiziari quali: la specificità delle poste liquidatorie di cui si chiedeva la definitiva attribuzione determinate nel quantum; la mancata contestazione specifica della comparsa di costituzione della Nuova Tirrena sull’avvenuta liquidazione del danno morale in sede extraprocessuale; la memoria di replica, in data 16-4-2014, con cui gli attori avevano definitivamente affermato – per sfuggire alla censura di duplicazione – non si tratta di una richiesta congiunta di attribuzione di risarcimento sia del danno biologico che del danno morale, ma del danno biologico da morte iure proprio». D’altra parte, la corte territoriale ha confermato la statuizione del giudice di primo grado precisando che «nella comparsa conclusionale, riproduttiva delle conclusioni a verbale, come si è esposto, la parte non chiedeva in realtà la separata liquidazione del danno morale/parentale sebbene la personalizzazione delle poste liquidatorie già indicate, precisando infine nella replica che il danno richiesto era il danno biologico da morte iure proprio. Né appare apprezzabile la confusione che gli appellanti fanno sul danno biologico da morte e sul danno parentale, cercando di imputare gli importi risarcitori percepiti alla prima voce. Danno della cui insussistenza si è detto e sulla cui negazione subito aveva replicato la Nuova Tirrena, in sede di costituzione precisando che il danno liquidato era quello morale degli eredi».
Orbene tale ampia, articolata ed assorbente motivazione, che costituisce la ratio decidendi, non risulta affatto censurata da parte ricorrente che con essa non si confronta, lamentando sostanzialmente difformità rispetto alle proprie attese e deduzioni sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati. In tal caso la censura si risolve in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito, finalizzata ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. n.25843/2018).
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali e la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. n. 4315/2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore di parte resistente, spese che liquida in euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.