La futura madre ha il diritto al risarcimento se non le è stata comunicata una possibile deformazione del nascituro. Lo stabilisce la Cassazione con l'ordinanza n. 12000/2024 sulla base di orientamenti consolidati .
Un caso di omessa diagnosi di malformazione del feto apre la questione sulla possibilità di risarcimento. In questo occasione la Corte di Cassazione, con sentenza n. 12000/2024 chiarisce, inoltre, la differenza tra danno da mancato esercizio dell'autodeterminazione e quelli causati dall'assenza di consenso informato.
La sentenza in esame, vede come attori due genitori che agiscono per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa di una diagnosi imprecisa che non ha permesso di rendere nota la malformazione del feto. Era emerso, infatti, dai rapporti del ctu che vi era stata una refertazione incompleta del sanitario, che non aveva specificato che, a seguito della posizione del feto, non era stato possibile vedere le caratteristiche tipiche delle malattie genetiche, una situazione che avrebbe dovuto indurre a effettuare ulteriori e più specifici esami.
I Giudici di merito non accoglievano la richiesta di risarcimento degli attori affermando che i futuri genitori non avevano allegato le prove che avrebbero dimostrato la loro intenzione di interrompere la gravidanza nel caso in cui fossero emersa una malformazione fetale. Anzi, secondo quanto addotto dall'organo decidente il fatto che non avessero richiesto esami più approfonditi, come l'amniocentesi lasciavano presumere che il suo stato di salute non fosse rilevante ai fini di un'eventuale decisione abortiva.
I coniugi ricorrono quindi in Cassazione, denunciando l'errore della Corte territoriale che non aveva considerato che il difetto di refertazione non li aveva messi nelle condizioni di una corretta formazione del consenso, ledendo così il diritto di autodeterminazione del paziente. Citando alcune precedenti pronunce dello stesso organo di legittimità, gli Ermellini evidenziano un'errata sovrapposizione nel giudizio di merito, tra l'autodeterminazione e il consenso informato, che ha lasciato scoperto il profilo risarcitorio de quo. Secondo gli ultimi orientamenti della Corte: «i danni risarcibili in conseguenza della lesione del diritto all'autodeterminazione della gestante non si limitano a quelli correlati alla nascita indesiderata, estendendosi anche agli altri che siano connessi alla perdita delle possibilità di predisporsi ad affrontare consapevolmente tale nascita, quali, ad esempio, il ricorso, per tempo a una psicoterapia o quanto meno la tempestiva organizzazione della vita in modo compatibile con le future esigenze di cura del figlio». Di conseguenza la sentenza viene cassata e rinviata alla Corte d'Appello che deciderà sulla base di quanto espresso dalla Cassazione.
Svolgimento del processo
A.A. e B.B. ricorrono, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 5573 del 2020, della Corte di appello di Roma, esponendo, per quanto ancora qui di utilità, che:
- i deducenti, anche quali esercenti la potestà genitoriale sul minore D.D., avevano convenuto la Srl Medeia e la dottoressa C.C. per ottenere il risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, indicati come conseguenti a un'omessa diagnosi di malformazioni del feto in sede di ecografia morfologica;
- la società che gestiva la casa di cura, resistendo col dedurre che si era limitata a mettere a disposizione del medico le strumentazioni necessarie alla sua attività, aveva proposto domanda di regresso nei confronti della dottoressa che, anch'essa resistendo, aveva chiamato in garanzia assicurativa i Lloyd's of London, a propria volta costituiti eccependo l'inoperatività della polizza perché volta a garantire solo il danno erariale e, comunque, sottoscritta dopo la richiesta risarcitoria;
- il Tribunale aveva rigettato la domanda con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare:
- la perizia officiosa svolta aveva evidenziato una refertazione incompleta del sanitario convenuto, poi appellato, avendo omesso di specificare che, poiché il feto era in posizione cefalica, non erano state possibili le proiezioni sagittale e coronale, le uniche che avrebbero permesso di vedere l'agenesia del corpo calloso, spesso presente nelle malattie genetiche, così da indurre ragionevolmente a effettuare ulteriori approfondimenti, opportunamente più specifici di quello ecografico effettuato;
- la descritta responsabilità omissiva non poteva però condurre all'accoglimento della domanda, non essendo stato allegato e provato, seppure con presunzioni, che la parte, qualora compiutamente informata, avrebbe deciso d'interrompere la gravidanza ricorrendone i dimostrati presupposti, anzi essendo diversamente risultato che non erano state richieste ed effettuate neppure analisi più approfondite in questo senso, quale l'amniocentesi;
- il rigetto della domanda nei confronti della dottoressa conduceva a quello della pretesa di affermazione della responsabilità, in ipotesi solidale, della società di gestione della casa di cura;
- non poteva essere accolta la domanda "iure proprio" del minore, non essendo ipotizzabile un diritto a non nascere se non sano;
resistono con controricorso C.C.T i.e la Medeia Srl;
sono rimasti intimati gli Assicuratori Lloyd's London;
le parti hanno depositato memorie;
Motivi della decisione
con il primo motivo si prospetta l'omesso esame di un fatto decisivo e discusso, consistente in un più compiuto apprezzamento della risultata carenza colposa nella refertazione, in uno alla mancata considerazione delle richieste istruttorie a fronte dell'affermato "deficit" probatorio in ordine alla volontà d'interruzione, nel caso, della gravidanza;
con il secondo motivo si prospetta l'errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello mancando di considerare che il difetto di refertazione non aveva permesso una corretta formazione del consenso, ledendo il diritto all'autodeterminazione della paziente;
con il terzo motivo si prospetta l'errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello mancando di affermare la responsabilità della società di gestione della casa di cura, per il danno da spedalizzazione, non essendo mai stato contestato il rapporto con la dottoressa C.C., a sua volta alla base della comune responsabilità omissiva che aveva indotto all'ulteriore errore rappresentato dalla gravosa e punitiva condanna alla rifusione delle spese di lite;
con il quarto motivo si prospetta, in particolare, per quanto di comprensibile utilità, l'errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello disattendendo la domanda risarcitoria "iure proprio" del minore con cui, lungi dal pretendere danni per la lesione del diritto negativo della nascita, era stato chiesto il ristoro per il danno alla salute incisa;
Considerato che
preliminarmente dev'essere evidenziato che parte ricorrente, nel riassumere i fatti processuali, riferisce di un mutamento dell'udienza fissata, in secondo grado, per la precisazione delle conclusioni, in udienza ai sensi dell'art. 281-sexies, cod. proc. civ., disposto dal Collegio di appello: la difesa in parola non ne fa, però, un motivo di censura, e prospetta in modo inammissibilmente perplesso il dubbio sulla possibile lesione del diritto di difesa "se non" errore processuale (v. in specie a pag. 7 del ricorso, i primi due righi);
si tratta, pertanto, di profilo non devoluto in termini di censura e, come tale, non suscettibile di scrutinio;
sempre in via preliminare si rimarca che il controricorso di C.C. non risulta procedibile ai fini delle spese di lite, perché depositato il 29 aprile 2021, oltre il termine stabilito dall'art. 370, secondo comma, cod. proc. civ., rispetto al tempo di notifica del ricorso del 3 marzo 2021;
nel residuo merito cassatorio vale quanto segue;
il primo motivo di ricorso è inammissibile;
la censura incontra il limite della indeducibilità della violazione dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nell'ipotesi di doppia decisione conforme dei giudici di merito, a mente dell'art. 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ., "ratione temporis" applicabile, peraltro al contempo reintrodotto dal D.Lgs. n. 149 del 2022, come previsto dall'art. 360, quarto comma, cod. proc. civ.;
né parte ricorrente ha dimostrato che le ragioni di fatto poste a base delle due decisioni di merito sono state diverse (Cass., 22/12/2016, n. 26774, Cass., 28/02/2023, n. 5947);
va comunque rimarcato che non vi è stata alcuna mancata valutazione dell'omessa refertazione, anzi ritenuta dalla Corte territoriale sussistente e colposa, atteso che il rigetto della domanda è stato motivato in ragione del difetto di prova sulla volontà abortiva, qualora vi fosse stata un'informata consapevolezza delle malformazioni o delle loro probabilità;
al contempo, la censura fa riferimento alla mancata valutazione d'istanze istruttorie che, però, non costituiscono "fatti" non esaminati, e che, comunque, non sono riportate né circostanziate nei loro contenuti, in aperta violazione dell'art. 366, n. 6, cod. proc. civ., anche in tal caso "ratione temporis" applicabile (Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469, e succ. conf.); il secondo morivo è fondato per quanto di ragione;
fermo quanto appena osservato in ordine all'accertamento fattuale della volontà d'interrompere, nell'ipotesi descritta, la gravidanza (su cui di recente v. Cass., 27/06/2023, n. 18327), dev'essere osservato che la Corte di appello sovrappone tale profilo a quello, invece distinto, inerente all'autodeterminazione;
infatti, l'acquisizione del "consenso informato" del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione diversa rispetto a quella avente ad oggetto l'intervento medico, con la conseguenza che l'errata esecuzione di quest'ultimo dà luogo, in ipotesi, a un danno suscettibile di ulteriore e autonomo risarcimento rispetto a quello dovuto per la violazione dell'obbligo d'informazione, anche in ragione della diversità dei diritti - rispettivamente, alla "autodeterminazione" delle scelte mediche e all'integrità psicofisica - pregiudicati nelle due differenti ipotesi (Cass., 25/06/2019, n. 16892: è stata per questa ragione cassata la decisione con cui il giudice di merito, nel rigettare la domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla omessa rilevazione e comunicazione della malformazione del feto, aveva pronunziato esclusivamente in ordine ai danni da mancata interruzione della gravidanza, per carenza di prova riguardo alla volontà della donna di non portare a termine la stessa, omettendo del tutto di valutare gli altri e diversi danni e le relative conseguenze, nella specie indicate nell'impossibilità di prepararsi, come genitori, psicologicamente e materialmente alla nascita di un figlio malformato);
in altri termini, come dedotto nella censura, i danni risarcibili in conseguenza della lesione del diritto all'autodeterminazione della gestante non si limitano a quelli correlati alla nascita indesiderata, estendendosi anche agli altri che siano connessi alla perdita della possibilità di predisporsi ad affrontare consapevolmente tale nascita, quali, ad esempio, il ricorso, per tempo, a una psicoterapia o quanto meno la tempestiva organizzazione della vita in modo compatibile con le future esigenze di cura del figlio (Cass.,
31/01/2023, n. 2798, in linea con la ricostruzione ed esposizione sistematica riassunta da Cass., 12/06/2023, n. 16633);
in questo senso si è concluso che "il sanitario che formuli una diagnosi di normalità morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali che non ne hanno consentito, senza sua colpa, la visualizzazione nella sua interezza, ha l'obbligo d'informare la paziente della possibilità di ricorrere ad un centro di più elevato livello di specializzazione, in vista dell'esercizio del diritto della gestante di interrompere la gravidanza, ricorrendone i presupposti (Cass. n. 30727/2019). ... Ad una corretta informazione consegue la facoltà di predisporsi ad affrontare consapevolmente le conseguenze dell'intervento, ove queste risultino, sul piano postoperatorio riabilitativo, particolarmente gravose e foriere di sofferenze prevedibili quanto inaspettate per il paziente a causa dell'omessa informazione" (Cass., n. 2798 del 2023, cit., pag. 15);
sul punto l'erronea sovrapposizione della Corte territoriale, che pure, richiamando il Tribunale, discorre di "autodeterminazione"e non solo di "consenso informato" (pag. 6), ha impedito la valutazione del profilo, pertanto inteso incluso, nella domanda svolta, dal medesimo giudice di merito, senza specifiche censure, in tesi in via subordinata, dalle parti controinteressate;
dev'essere sottolineato che si tratta, come desumibile da quanto osservato, di profilo del tutto distinto da quello dell'imputabilità al medico - logicamente insussistente - delle malformazioni genetiche;
il terzo motivo è inammissibile;
la censura è apodittica e non si misura con la ragione decisoria della responsabilità solidale della Medeia, che opererà, nell'ipotesi, anche riguardo alle conseguenze dell'accertamento demandato a séguito dell'accoglimento del secondo motivo;
si sottolinea che il profilo attinente alle spese di lite, dedotto dalla difesa ricorrente solo apoditticamente e come conseguenza delle ritenute proprie ragioni, non costituisce, pertanto, autonoma censura;
il quarto motivo è infondato;
posta l'inimputabilità al medico, e pertanto alla struttura, della malformazione in parola, è evidente che non residua un danno alla salute diverso da quello della "mancata nascita" stessa;
sul punto è noto che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che "il nato disabile non può agire per il risarcimento del danno, neppure sotto il profilo dell'interesse ad avere un ambiente familiare preparato ad accoglierlo, giacché l'ordinamento non conosce il "diritto a non nascere se non sano", né la vita del bambino può integrare un danno-conseguenza dell'illecito omissivo del medico"(Cass., Sez. U., 22/12/2015, n. 25767);
spese al giudice del rinvio;
va disposto che, ai sensi dell'art. 52, D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti ricorrenti;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il primo e terzo motivo, infondato il quarto, accoglie per quanto di ragione il secondo, cassa in relazione la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma perché, in diversa composizione, pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità. Oscuramento dei dati come in motivazione.