Il Tribunale di Firenze sollevava, in riferimento agli
Il rimettente precisava di dover provvedere sull'istanza di ammissione al gratuito patrocinio presentata dall'imputato, cittadino del Gambia, arrestato per furto pluriaggravato e poi rimesso in libertà all'esito dell'udienza di convalida. Nella stessa udienza di convalida, l'imputato si riservava di presentare istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, dichiarando «di essere l'unico componente della propria famiglia, di essere in possesso delle condizioni di reddito richieste per l'ammissione al Patrocinio a spese dello Stato, autocertificando di non aver percepito nell'ultimo anno alcun reddito, di non possedere beni mobili e immobili né sul territorio italiano né sul territorio di origine, di non incorrere in alcuna delle cause di esclusione per l'ammissione al Patrocinio a spese dello Stato».
Il rimettente riferiva che l'imputato non aveva allegato la certificazione dell'autorità consolare competente, prevista dall'
Il Tribunale riteneva, così, necessario investire questa Corte del dubbio di legittimità costituzionale dell'
- Per il Tribunale l'articolo 79 sopra citato sarebbe costituzionalmente illegittimo perché violerebbe il principio di eguaglianza nell'accesso alla tutela giurisdizionale, in quanto determinerebbe una disparità di trattamento tra i cittadini italiani o appartenenti all'Unione europea e tutti gli altri, venendo richiesta solo a questi ultimi la produzione di documentazione ulteriore (certificazione consolare) per l'accesso al beneficio in questione.
- Inoltre, violerebbe il principio di uguaglianza «nella misura in cui comporta una diversità di trattamento per situazioni uguali, fondata esclusivamente sul requisito della
cittadinanza », piuttosto che sul criterio della residenza. - Per il rimettente sarebbe altresì violato l'art. 3 Cost., sia sotto il profilo dell'irragionevolezza intrinseca, che sotto quello della ingiustificata disparità di trattamento.
- In primo luogo, perché la richiesta di produrre l'ulteriore documentazione costituita dalla certificazione consolare si fonderebbe sulla presunzione che il soggetto richiedente, in quanto straniero, abbia redditi all'estero.
- In secondo luogo, perché la previsione di tale regime speciale, più gravoso, comporterebbe una diversità di trattamento di situazioni uguali, fondata esclusivamente sul requisito della
cittadinanza piuttosto che sul criterio della residenza.
Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta nel giudizio, la disposizione censurata sarebbe pienamente legittima, considerato che, in base alla previsione di cui all'
Per questa Corte le questioni quindi non sono fondate.
- Per comprovare il presupposto reddituale, i cittadini italiani e di Stati appartenenti all'Unione europea devono produrre, «a pena di inammissibilità», una «dichiarazione sostitutiva di certificazione, che attesti «la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell'articolo 76», tanto per i redditi prodotti in Italia, tanto per quelli prodotti all'estero.
- Per i cittadini di Stati non appartenenti all'UE, l'
art. 79, c. 2, del d.P.R. n. 115/2002 richiede invece che, per «i redditi prodotti all'estero», l'istanza sia corredata «con una certificazione dell'autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato». In caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta, aggiunge l'art. 94, c. 2, citato, questa andrà sostituita, sempre a pena di inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva di certificazione.
La Corte infatti esclude la denunciata violazione dell'
Con riguardo, invece, alla prospettata violazione dell'art. 3 Cost., sotto il duplice profilo dell'irragionevolezza intrinseca e della ingiustificata disparità di trattamento, è proprio la facoltà, concessa allo straniero extra UE dallo stesso sistema normativo denunciato dal rimettente, di avvalersi di una dichiarazione sostitutiva, ove risulti impossibile produrre la certificazione consolare, ad escludere la violazione, attenuando considerevolmente l'onere documentale contestato dal giudice a quo.
Coerentemente, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, nel caso in cui l'interessato, cittadino di uno Stato extra UE, abbia direttamente allegato all'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato l'autocertificazione prevista dall'
Svolgimento del processo
1.– Con ordinanza del 26 ottobre 2023 (reg. ord. n. 153 del 2023), il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui richiede ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, per i redditi prodotti all’estero, di corredare l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato con l’autocertificazione dell’autorità consolare competente, «e conseguentemente delle norme di cui agli artt. 94 commi 2 e 3, 112 comma 1 lett. c) e 114, comma 1 (limitatamente al riferimento all’ipotesi di cui all’art. 112 comma 1 lett. c), D.P.R. 115/2002)»; in subordine, «del combinato disposto delle norme di cui agli artt. 94 commi 2 e 3, 112 comma 1 lett. c) e 114 comma 1 (limitatamente al riferimento all’ipotesi di cui all’art. 112 comma 1 lett. c) D.P.R. 115/2002)»; nonché, in ulteriore subordine, «della norma di cui all’art. 79 comma 2 D.P.R. 115/2002 nella parte in cui richiede la prescritta certificazione consolare anche ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea che siano residenti in Italia e lo fossero già nell’ultimo anno per il quale sia maturato l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale (o in subordine del combinato disposto di tale norma e degli artt. 94 commi 2 e 3, 112 comma 1 lett. c) e 114 comma 1)».
2.– Il rimettente premette di essere chiamato a provvedere sull’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata dall’imputato Y. J., cittadino del Gambia, arrestato in (quasi) flagranza di reato per furto pluriaggravato e poi rimesso in libertà all’esito dell’udienza di convalida del 31 luglio 2023, con rinvio del processo all’udienza del 2 novembre 2023. Nella stessa udienza di convalida, l’imputato si riservava di presentare istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, poi depositata tramite il difensore d’ufficio in data 3 agosto 2023, dichiarando peraltro in detta istanza «di essere l’unico componente della propria famiglia, di essere in possesso delle condizioni di reddito richieste per l’ammissione al Patrocinio a spese dello Stato, autocertificando di non aver percepito nell’ultimo anno alcun reddito, di non possedere beni mobili e immobili né sul territorio italiano né sul territorio di origine, di non incorrere in alcuna delle cause di esclusione per l’ammissione al Patrocinio a spese dello Stato» e riservandosi di presentare eventuale documentazione mancante entro venti giorni dal deposito della domanda.
Il rimettente riferisce che l’imputato non ha allegato la certificazione dell’autorità consolare competente, prevista dall’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, né ha provato la presentazione alla medesima autorità dell’istanza per il rilascio della suddetta certificazione e neppure ha documentato, o anche solo dedotto, l’impossibilità a presentarla; null’altro è stato depositato ad integrazione della domanda di ammissione al beneficio. Ha quindi ritenuto necessario investire questa Corte del dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, che, per i redditi prodotti all’estero, richiede ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea di corredare l’istanza con la certificazione dell’autorità consolare competente. In subordine, ha censurato la medesima disposizione «nella parte in cui richiede la citata certificazione anche ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea che siano e fossero già residenti in Italia nell’ultimo anno per il quale sia maturato l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale».
3.– In punto di rilevanza, il giudice a quo, dopo aver ampiamente richiamato la motivazione della sentenza di questa Corte n. 101 del 2012, evidenzia che, se non fosse per la disposizione normativa censurata, l’imputato dovrebbe essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato sulla base delle dichiarazioni rese nell’istanza, sia che la si consideri come presentata da un soggetto detenuto – poiché l’interessato, pur non essendo detenuto al momento della presentazione della domanda (3 agosto 2023), era in stato di arresto all’udienza del 31 luglio 2023, nel corso della quale aveva fatto riserva di presentare l’istanza nel rispetto del termine di venti giorni ai sensi dell’art. 109 del d.P.R. n. 115 del 2002 – sia che la si consideri come presentata da un soggetto libero.
Per il rimettente, solo la richiesta declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 consentirebbe di accogliere l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Allo stesso modo, la rilevanza della questione sollevata in ulteriore subordine riposerebbe sulla circostanza che l’imputato risulta «anagraficamente residente in Italia quanto meno dal 12.4.2017».
4.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo e terzo comma, Cost., nella parte in cui comporterebbe un irragionevole vulnus al principio di eguaglianza nell’accesso alla tutela giurisdizionale, in quanto determinerebbe una disparità di trattamento tra i cittadini italiani o appartenenti all’Unione europea e tutti gli altri, venendo richiesta solo a questi ultimi la produzione di documentazione ulteriore (certificazione consolare) per l’accesso al beneficio in questione.
Dopo aver richiamato la sentenza n. 157 del 2021 di questa Corte, al fine di ricostruire la finalità sottesa alla disciplina sul patrocinio a spese dello Stato, e quella n. 223 del 2022, per evidenziare le peculiarità del processo penale, il rimettente, citando altresì la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul diritto dell’accusato ad essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio ai sensi dell’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU (sentenza 14 gennaio 2010, Tsonyo Tsonev contro Bulgaria), sottolinea l’inviolabilità del diritto di difesa, che non tollererebbe differenziazioni fondate, tra l’altro, «sul mero dato della cittadinanza», richiamando a tal fine la pronuncia n. 120 del 1967 di questa Corte e l’art. 2, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero).
Secondo il giudice a quo, la disposizione censurata, introducendo, per i soli cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, un adempimento ulteriore e rafforzato rispetto a quanto dichiarato in punto di redditi maturati, determinerebbe un aggravio procedimentale, con conseguente indebita disparità di trattamento, essendo trattati diversamente soggetti nelle medesime condizioni di partenza e aspiranti allo stesso beneficio.
4.1.– Pur riconoscendo che il rigore della previsione normativa censurata è attenuato dalla possibilità di presentare una dichiarazione sostitutiva per il caso di impossibilità a produrre la certificazione consolare, come disposto dall’art. 94, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, il rimettente ritiene «tuttavia» che la norma violi comunque l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo della irragionevolezza intrinseca, sia sotto quello del principio di uguaglianza.
Con riguardo al primo profilo, la previsione di un onere aggiuntivo per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato, «sebbene temperato nei casi di impossibilità (di cui peraltro il richiedente è onerato di fornire prova)», sarebbe fondata sulla mera circostanza che il soggetto richiedente sia un cittadino extracomunitario, e «ciò, secondo il diritto vivente, “sulla presunzione che lo straniero abbia redditi all’estero”»; presunzione che, per quanto non assoluta, implicherebbe un onere gravoso, specie quando la prova abbia un contenuto negativo come l’insussistenza di redditi, attesa altresì la «estrema genericità» dell’art. 79 del d.P.R. n. 115 del 2002, che non circoscriverebbe l’onere documentale al solo possesso dei redditi nel Paese di origine del soggetto istante, potendosi la norma interpretare «per qualsivoglia reddito prodotto all’estero, compresi quelli realizzati in Paesi dell’Unione».
Con riguardo al secondo profilo, la previsione di un regime speciale, più gravoso, violerebbe il principio di uguaglianza «nella misura in cui comporta una diversità di trattamento per situazioni uguali, fondata esclusivamente sul requisito della cittadinanza», piuttosto che sul criterio della residenza. Secondo il giudice a quo, non vi sarebbero ragioni che giustifichino il diverso trattamento riservato ai cittadini extracomunitari rispetto a quelli italiani e appartenenti all’Unione europea, che ben potrebbero aver maturato redditi in Paesi extra UE per i quali le autorità italiane incontrerebbero le stesse difficoltà di accertamento a prescindere dalla cittadinanza del soggetto percettore.
Sarebbe inoltre evidente il carattere discriminatorio dell’onere aggiuntivo a carico dei soli cittadini non appartenenti all’Unione europea (è richiamata a tal fine la sentenza di questa Corte n. 9 del 2021), in quanto la circostanza del possesso di redditi all’estero potrebbe riguardare anche cittadini italiani o appartenenti all’Unione europea invece esclusi dall’applicazione della norma sospettata d’illegittimità costituzionale.
L’irragionevolezza, per il Tribunale rimettente, sarebbe ancora più evidente nell’ipotesi in cui lo straniero extracomunitario sia residente in Italia e già lo fosse nell’ultimo anno per il quale sia maturato l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale (cioè nell’anno in relazione al quale il reddito rilevi ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato), poiché il radicamento dello straniero nel territorio dello Stato italiano giungerebbe a recidere, in ottica presuntiva, il suo ipotetico collegamento con il proprio Paese di provenienza.
4.2.– La disposizione censurata violerebbe, inoltre, l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU, in base al quale «ogni accusato ha diritto di: [...] se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia», atteso che la richiesta per gli stranieri extracomunitari di produrre necessariamente la certificazione consolare, salvo i casi di impossibilità, confliggerebbe con la possibilità, riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (sentenze 25 aprile 1983, Pakelli contro Germania; 9 giugno 1998, Twalib contro Grecia; 14 gennaio 2010, Tsonyo Tsonev contro Bulgaria), che la carenza dei mezzi finanziari sia provata liberamente, anche sulla base di elementi di natura meramente indiziaria.
5.– Secondo il rimettente, non risulterebbero percorribili interpretazioni costituzionalmente conformi della norma censurata, salvo potersi ovviare per via interpretativa «solo all’anomalia più marchiana della disposizione in esame, cioè l’apparente richiesta ai cittadini extracomunitari di una certificazione consolare per qualunque reddito prodotto all’estero, anche in Paesi diversi da quello di origine».
5.1.– Quindi, dopo aver precisato che «la censura viene qui mossa in via diretta alla norma di cui all’art. 79 co. 2 D.P.R. 115/2002», il rimettente, per l’ipotesi di rigetto della questione sollevata in ordine alla previsione della necessaria certificazione consolare, invoca la declaratoria d’illegittimità costituzionale, in via subordinata, delle disposizioni che prevedono le conseguenze della mancata presentazione di tale documentazione, così individuate: «combinato disposto degli artt. 79 co. 2 e 94 co. 2 DPR 115/2002 per i soggetti non detenuti; combinato disposto degli artt. 79 co. 2, 94 co. 3, 112 lett. c) e 114 comma 1 – limitatamente al riferimento all’ipotesi di cui all’art. 112 comma 1 lett. c) – D.P.R. 115/2002 per i soggetti detenuti»; nonché, in ulteriore subordine, «della norma di cui all’art. 79 comma 2 D.P.R. 115/2002 nella parte in cui richiede la prescritta certificazione consolare anche ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea che siano residenti in Italia e lo fossero già nell’ultimo anno per il quale sia maturato l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale (o in subordine del combinato disposto di tale norma e degli artt. 94 commi 2 e 3, 112 comma 1, lett. c) e 114, comma 1)».
6.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, non fondate.
6.1.– Secondo l’interveniente, le questioni prospettate sarebbero inammissibili, in quanto dirette ad ottenere una pronuncia additiva o manipolativa «non costituzionalmente obbligata», in ambiti riservati alla discrezionalità del legislatore, peraltro senza adeguatamente argomentare sulla possibilità di offrire un’interpretazione costituzionalmente conforme delle disposizioni censurate.
6.2.– In via gradata, le stesse questioni sarebbero comunque non fondate alla luce delle diverse pronunce di questa Corte sull’istituto del patrocinio a spese dello Stato e dei principi in esse affermati, di cui l’interveniente riporta ampi stralci (sentenze n. 157 del 2021, n. 80 e n. 47 del 2020, n. 237 del 2015).
In tale quadro, secondo l’Avvocatura, la disposizione censurata sarebbe pienamente legittima, considerato che, in base alla previsione (specifica per il settore penale) di cui all’art. 94, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, il cittadino straniero può presentare certificazione sostitutiva inerente ai propri redditi, nel caso in cui non sia possibile produrre la documentazione richiesta dal citato art. 79, comma 2.
Motivi della decisione
1.– Con ordinanza del 26 ottobre 2023, il Tribunale di Firenze, prima sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui richiede ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, per i redditi prodotti all’estero, di corredare l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato con la certificazione dell’autorità consolare competente, «e conseguentemente delle norme di cui agli artt. 94 commi 2 e 3, 112 comma 1 lett. c) e 114 comma 1 (limitatamente al riferimento all’ipotesi di cui all’art. 112 comma 1 lett. c) D.P.R. 115/2002)».
1.1.– Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata comporterebbe un irragionevole vulnus al principio di eguaglianza nell’accesso alla tutela giurisdizionale, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in quanto determinerebbe una disparità di trattamento tra i cittadini italiani o appartenenti all’Unione europea e tutti gli altri, venendo richiesta solo a questi ultimi la produzione di documentazione ulteriore per l’accesso al beneficio in questione.
1.2.– Sarebbe altresì violato l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo dell’irragionevolezza intrinseca, che sotto quello della ingiustificata disparità di trattamento.
In primo luogo, perché la richiesta di produrre l’ulteriore documentazione costituita dalla certificazione consolare si fonderebbe su di una generale, ma tutt’altro che insuperabile, presunzione che il soggetto richiedente, in quanto straniero, abbia redditi all’estero.
In secondo luogo, perché la previsione di tale regime speciale, più gravoso, comporterebbe una diversità di trattamento di situazioni uguali, fondata esclusivamente sul requisito della cittadinanza.
1.3.– La disposizione violerebbe, infine, anche l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU, in quanto la richiesta per i cittadini non appartenenti all’Unione europea di produrre necessariamente la certificazione consolare, salvi i casi di impossibilità, confliggerebbe con il diritto, riconosciuto dalla giurisprudenza CEDU, di provare liberamente, in ogni altro modo, la carenza dei mezzi finanziari.
2.– In subordine, il Tribunale rimettente ha anche sollevato questione di legittimità costituzionale «del combinato disposto delle norme di cui agli artt. 94 commi 2 e 3, 112 comma 1 lett. c) e 114 comma 1 (limitatamente al riferimento all’ipotesi di cui all’art. 112 comma 1 lett. c) D.P.R. 115/2002)».
2.1.– In ulteriore subordine, ha poi prospettato, per violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’irragionevolezza, questione di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, «nella parte in cui richiede la prescritta certificazione consolare anche ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea che siano residenti in Italia e lo fossero già nell’ultimo anno per il quale sia maturato l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale».
Secondo il giudice a quo, in tale ipotesi, è «evidente come il radicamento dello straniero nel territorio dello Stato italiano giunga a recidere, in ottica presuntiva, il suo ipotetico collegamento con il proprio Paese di provenienza», su cui invece si fonderebbe la presunzione di abbienza sottesa alla disciplina di cui all’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002.
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio, eccependo preliminarmente l’inammissibilità delle questioni prospettate.
3.1.– Secondo l’interveniente, in primo luogo, il rimettente mirerebbe ad ottenere una pronuncia additiva o manipolativa non costituzionalmente obbligata, in una materia riservata alle scelte discrezionali del legislatore.
L’eccezione non è fondata.
Vero è che, come più volte ribadito da questa Corte, la disciplina in materia di patrocinio a spese dello Stato ha natura processuale, nella cui conformazione il legislatore gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate (da ultimo, sentenze n. 228 del 2023, n. 223 del 2022 e n. 166 del 2022). Tuttavia – a prescindere dalla considerazione che, anche in materie in cui il legislatore gode di ampia discrezionalità, il sindacato di questa Corte non può considerarsi precluso allorquando non sia dato individuare nell’ordinamento soluzioni costituzionalmente obbligate per rimediare al vulnus riscontrato – va qui osservato che il giudice rimettente, nel prospettare l’irragionevolezza della scelta legislativa di onerare lo straniero extracomunitario della produzione della certificazione consolare, non sollecita un intervento additivo di questa Corte, bensì intende ottenere l’eliminazione di detto onere aggiuntivo attraverso una pronuncia ablativa.
3.2.– L’Avvocatura generale ha inoltre eccepito la mancanza di un’adeguata motivazione in ordine alla possibilità di fornire un’interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione censurata.
Anche questa eccezione va disattesa.
In base alla giurisprudenza di questa Corte, «il rimettente non deve motivare la non praticabilità di un’interpretazione conforme a Costituzione, ove la formulazione letterale della disposizione censurata sia inequivocabile» (sentenza n. 228 del 2023). E, nel caso in esame, proprio in ragione del tenore letterale della disposizione, può ritenersi sufficiente lo sforzo interpretativo profuso dal rimettente e tanto basta per respingere l’eccezione.
4.– Nondimeno, questa Corte rileva altri profili di inammissibilità di alcune delle questioni sollevate.
4.1.– Il giudice rimettente prospetta diverse questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto l’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, nei cui confronti muove direttamente le censure di violazione degli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU, e censura altresì «conseguentemente» gli artt. 94, commi 2 e 3, 112, comma 1, lettera c), e 114, comma 1, del medesimo decreto.
Gli artt. 94, comma 3, 112, comma 1, lettera c), e 114, comma 1, sopra richiamati, presuppongono, tuttavia, la condizione di soggetto detenuto da parte dello straniero richiedente l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Nel giudizio a quo, invece, l’istante non si trovava in stato di fermo o detenzione al momento della presentazione della domanda, essendo stato rimesso in libertà all’esito dell’udienza di convalida, nel corso della quale era stata fatta riserva di presentazione dell’istanza.
Il rimettente, pur dando atto di questa circostanza, ritiene di poter considerare la domanda come presentata da soggetto detenuto per effetto di quanto previsto dall’art. 109 del d.P.R. n. 115 del 2002, ai sensi del quale «[g]li effetti decorrono dalla data in cui l’istanza è stata presentata o è pervenuta all’ufficio del magistrato o dal primo atto in cui interviene il difensore, se l’interessato fa riserva di presentare l’istanza e questa è presentata entro i venti giorni successivi».
La disposizione richiamata si riferisce però alla decorrenza degli effetti dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, come indicati agli artt. 107 e 108 del d.P.R. n. 115 del 2002, relativi alla disciplina delle spese, e non attiene alle condizioni personali di colui che presenta la domanda.
In ogni caso, essa presuppone l’avvenuta ammissione dell’istante al beneficio; ammissione che, nel caso di specie, il giudice a quo non ha invece ancora deciso, ostandovi proprio, secondo la prospettazione dello stesso, la condizione dell’assenza della certificazione consolare.
Pertanto, devono essere dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza le questioni sollevate con riferimento agli artt. 94, comma 3, 112, comma 1, lettera c), e 114, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002.
4.2.– Sono parimenti inammissibili le questioni prospettate in via subordinata e poi ulteriormente gradata.
Ferma restando l’ammissibilità di una tale tecnica argomentativa (da ultimo, sentenza n. 188 del 2023), nondimeno la prima questione subordinata, formulata in relazione al «combinato disposto delle norme di cui agli artt. 94 commi 2 e 3, 112 comma 1 lett. c) e 114 comma 1 (limitatamente al riferimento all’ipotesi di cui all’art. 112 comma 1 lett. c) D.P.R. 115/2002)», oltre a presentare il già rilevato difetto di rilevanza nei termini sopra detti (in riferimento alle disposizioni diverse dall’art. 94, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002), è priva di motivazione sulla non manifesta infondatezza, né il rimettente ha adeguatamente illustrato le argomentazioni necessarie a differenziare tale questione da quella principale, alla luce della sostanziale identità dei parametri costituzionali e convenzionali evocati.
Quanto alla questione sollevata «in ulteriore subordine», avente ad oggetto l’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui richiede la certificazione consolare anche al cittadino extracomunitario residente in Italia o che lo sia «già nell’ultimo anno per il quale sia maturato l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale», la stessa presenta un’argomentazione non sufficientemente chiara, tanto sotto il profilo della rilevanza, quanto sotto quello della non manifesta infondatezza.
Da un lato, infatti, essa si pone in contrasto con le stesse premesse dell’ordinanza di rimessione, in cui il giudice a quo dà atto, sulla base delle risultanze dei verbali della Polizia giudiziaria, che lo straniero è «senza fissa dimora, […] privo di fonti di reddito lecite», così che pare inverosimile che quest’ultimo, pur trovandosi da oltre un anno in Italia, possa aver maturato l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale; dall’altro, non è chiaro se il rimettente ritenga sufficiente, per l’omissione della certificazione, il requisito della residenza ultrannuale in Italia ovvero anche la condizione di avervi prodotto redditi.
5.– Le questioni di legittimità costituzionale che possono esaminarsi nel merito, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU, vanno pertanto circoscritte all’art. 79, comma 2, e all’art. 94, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002; quest’ultimo censurato dal rimettente, dal momento che le due previsioni sono inserite in un sistema unitario, in cui la seconda si pone come completamento della prima, prevedendo una modalità alternativa, che presuppone pur sempre l’obbligo di produrre la certificazione consolare.
6.– Le questioni non sono fondate.
6.1.– Questa Corte ha più volte affermato il principio secondo il quale il diritto dei non abbienti al patrocinio a spese dello Stato, la cui funzione è quella di «rimuovere, in armonia con l’art. 3, secondo comma, Cost., “le difficoltà di ordine economico che possono opporsi […] al concreto esercizio del diritto [di difesa]”» (di recente, sentenza n. 228 del 2023), sebbene inviolabile nel suo nucleo intangibile, non è sottratto al bilanciamento di interessi, spettante al legislatore, «che, per effetto della scarsità delle risorse, si rende necessario rispetto alla molteplicità dei diritti che ambiscono alla medesima tutela» (sentenza n. 157 del 2021).
Per comprovare il presupposto reddituale, i cittadini italiani e di Stati appartenenti all’Unione europea devono produrre, «a pena di inammissibilità», una «dichiarazione sostitutiva di certificazione […] ai sensi dell’articolo 46, comma 1, lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445», che attesti «la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’articolo 76» (art. 79, comma 1, lettera c, del d.P.R. n. 115 del 2002), tanto per i redditi prodotti in Italia, tanto per quelli prodotti all’estero.
Per i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, l’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 richiede invece che, per «i redditi prodotti all’estero», l’istanza sia corredata «con una certificazione dell’autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato». In caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta – aggiunge l’art. 94, comma 2, del medesimo testo unico, che in tal senso completa il sistema oggi sottoposto a scrutinio – questa andrà sostituita, sempre a pena di inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva di certificazione.
Le censure del rimettente si incentrano sull’aggravio documentale aggiuntivo, non solo in quanto tale, ma anche perché la produzione della dichiarazione sostitutiva – considerata sufficiente per i cittadini italiani e per quelli appartenenti all’Unione europea – è subordinata all’impossibilità di conseguire la certificazione consolare.
Come già evidenziato da questa Corte (da ultimo, sentenza n. 228 del 2023), «[l]a presentazione di detta certificazione non è prescritta sotto pena di automatica inammissibilità (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 4 giugno-28 luglio 2022, n. 29978). L’interessato, infatti, può dimostrare l’impossibilità di produrre la documentazione richiesta ai sensi dell’articolo 79, comma 2, nel qual caso ha l’onere di sostituirla “a pena di inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva di certificazione”. È quanto dispone testualmente l’art. 94, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 per il processo penale, ed è quanto questa Corte ha previsto anche per gli altri procedimenti giurisdizionali, intervenendo in via additiva proprio con riferimento all’art. 79, comma 2, del citato d.P.R. (sentenza n. 157 del 2021)».
Quanto alla diversità di disciplina per la concessione del beneficio in parola allo straniero, la giurisprudenza costituzionale ha già affermato che la stessa «non può non tener conto delle peculiarità che contraddistinguono la situazione dello straniero da quella del cittadino, in particolare per quanto riguarda sia la sua situazione reddituale, la quale – al di là del maggiore o minore potere d’acquisto della moneta nei vari paesi, che costituisce differenza fattuale, occasionale e variabile – condiziona l’ammissione al beneficio, sia il relativo accertamento» (sentenza n. 219 del 1995), e che «[l]a previsione di tale produzione documentale di supporto, in deroga al criterio generale della valorizzazione dei poteri certificatori in capo al privato, si giustifica a fronte delle difficoltà di verificare l’esistenza e l’entità dei redditi prodotti all’estero dai soggetti considerati, diversamente da quanto può avvenire con riguardo al cittadino italiano, rientrando tale verifica tra i poteri del giudice, ai sensi dell’art. 96 del testo unico» (sentenza n. 101 del 2012).
Da ultimo, si è ulteriormente chiarito che «è proprio per rafforzare l’interesse a un accertamento del requisito reddituale che la norma censurata non si limita a richiedere ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea dichiarazioni sostitutive di certificazione dei redditi prodotti all’estero, diversamente da quanto dispone il comma 1 dell’art. 79 del d.P.R. n. 115 del 2002 per i cittadini italiani e per quelli di paesi appartenenti all’Unione europea. È, infatti, a tutela della effettività del controllo che il legislatore, facendo perno sul principio di leale collaborazione fra autorità appartenenti a diversi Stati, affida il compito di asseverare la veridicità di quanto dichiarato dall’istante a un ufficio, qual è quello consolare, per il quale è ben possibile svolgere congrui accertamenti, non solo sulla base dei dati di cui dispone, ma anche nel dialogo con le amministrazioni dello Stato di appartenenza. La soluzione legislativa, dunque, potenzia la tutela dell’interesse a una verifica concreta delle condizioni reddituali dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e, al contempo, consente a tali soggetti di rivolgersi ad amministrazioni che si trovano nel territorio italiano. In tal modo, l’interessato non deve corredare l’istanza con plurime certificazioni, eventualmente di contenuto solo negativo, rilasciate da differenti amministrazioni dello Stato competente, e previo assolvimento degli oneri prescritti a garanzia della loro autenticità» (ancora sentenza n. 228 del 2023).
6.2.– Deve quindi escludersi la denunciata violazione dell’art. 24, secondo e terzo comma, Cost., da parte delle disposizioni censurate, in quanto la richiesta di documentazione ulteriore a carico del cittadino extra UE ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, lungi dal determinare un vulnus alla tutela giurisdizionale, è piuttosto funzionale a garantire la verifica delle effettive condizioni reddituali dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea che sono le sole a giustificare l’ammissione al patrocinio gratuito.
7.– Con riguardo alla prospettata violazione dell’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo dell’irragionevolezza intrinseca e della ingiustificata disparità di trattamento, è proprio la facoltà – concessa allo straniero extra UE dallo stesso sistema normativo denunciato dal rimettente – di avvalersi di una dichiarazione sostitutiva, ove risulti impossibile produrre la certificazione consolare, ad escludere il prospettato vulnus, attenuando considerevolmente l’onere documentale contestato dal giudice a quo. Nel rispetto del principio di eguaglianza, che giustifica discipline diverse a fronte di situazioni differenti, le disposizioni censurate impongono un adempimento che, da un lato, non si presenta come inesigibile e, dall’altro, non fa gravare sull’istante il rischio dell’impossibilità di produrre la documentazione consolare richiesta per ottenere il godimento del beneficio in parola.
Impossibilità che, come la stessa giurisprudenza di legittimità ha ormai chiarito (tra le tante, Corte di cassazione, sezione seconda civile, ordinanze 27 ottobre 2023, n. 29925 e 6 febbraio 2023, n. 3473; Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 14 giugno-28 luglio 2022, n. 29978), non può, peraltro, essere assunta in termini assoluti, né può comportare che sia posto a carico al richiedente l’onere della relativa prova, poiché la sua dimostrazione sarebbe di per sé incompatibile con un procedimento teso ad assicurare la difesa del non abbiente.
Coerentemente, la giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 19 ottobre 2021-7 febbraio 2022, n. 4166) ha precisato che, nel caso in cui l’interessato, cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea, abbia direttamente allegato all’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato l’autocertificazione prevista dall’art. 94, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, egli si trova già nelle condizioni di godere del beneficio, senza che occorra una ulteriore produzione documentale.
La Corte di cassazione ha invero più volte affermato che l’intero procedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in quanto connesso all’effettività del diritto di difesa, «impone l’adozione di procedure la cui elasticità consenta, in ogni momento e sino alla decisione, di provare la sussistenza dei requisiti di ammissione: coerentemente sono previsti il potere di ufficio di sollecitazione della parte (art. 79 comma 3 Dpr 115/2002) e il potere di accertamento di ufficio della sussistenza delle condizioni (art. 96 comma 2), funzionali all’assolvimento dell’onore solidaristico dello Stato per assicurare la difesa dei non abbienti» (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 28 settembre-15 novembre 2023, n. 45919).
7.1.– Ne deriva allora che, come pure questa Corte ha recentemente evidenziato, «l’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 si coordina con un complesso di previsioni normative che se, da un lato, proteggono l’istante, evitando che gravi su di lui il rischio di condotte imputabili a terzi, da un altro lato, lasciano sempre aperta la possibilità di accertare in concreto – anche in via presuntiva – la mancanza del presupposto legato alle condizioni reddituali» (sentenza n. 228 del 2023), sicché possono escludersi anche la prospettata irragionevolezza intrinseca e la violazione del principio di uguaglianza.
8.– Parimenti, non è fondata la censura della violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU, in quanto le disposizioni censurate non precludono affatto la possibilità che lo stato di non abbienza sia provato liberamente, nell’ipotesi di mancata allegazione della contestata certificazione consolare, potendo il giudice, oltre ad esercitare d’ufficio i poteri di sollecitazione e di accertamento sopra ricordati, valutare in ogni caso il «tenore di vita, [le] condizioni personali e familiari, e [le] attività economiche eventualmente svolte» ai sensi dell’art. 96, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 94, comma 3, 112, comma 1, lettera c), e 114, comma 1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 94, commi 2 e 3, 112, comma 1, lettera c), e 114, comma 1, del d.P.R n. 115 del 2002, sollevata in via subordinata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU, dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 «nella parte in cui richiede la prescritta certificazione consolare anche ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea che siano residenti in Italia e lo fossero già nell’ultimo anno per il quale sia maturato l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale», sollevata in via ulteriormente gradata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 79, comma 2, e 94, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU, dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.