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Svolgimento del processo
1. La Corte d'Appello di Milano con sentenza n. 1150/2021 ha rigettato il gravame proposto da G. M. B. e A. B., confermando integralmente la sentenza n. 4821/2019 del Tribunale di Milano che aveva rigettato l’opposizione dai predetti, proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 18990/2018, emesso dal Tribunale della stessa città, su richiesta della D. Bank s.p.a., con il quale veniva loro ingiunto il pagamento della somma di € 826.264,16, oltre gli interessi legali dal 14.2.2018 in favore della predetta banca, condannando, di conseguenza, gli appellanti alle spese del doppio grado di giudizio.
Per quanto ancora qui rileva, il Tribunale di Milano aveva rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dai B. e in accoglimento della domanda proposta dalla banca opposta in ordine alla diversa data di decorrenza degli interessi, aveva revocato il decreto ingiuntivo e condannato gli opponenti, in solido tra loro, al pagamento in favore della banca della somma di € 826.264,16, oltre interessi al tasso legale dal 6.5.2016 (quanto a € 825.38) e dal 10.5.2016 (quanto a € 884,16) sino al 16.7.2018, e secondo il tasso di cui all’art. 1284, comma 4, cod. civ., dal 17.7.2018 sino al saldo.
1.2. Per completezza, vale sottolineare che la pretesa oggetto del monitorio traeva origine dalla somma richiesta in restituzione dalla stessa Banca di quanto precedentemente corrisposto a G. M. B. e A. B., in qualità di responsabile civile, in forza della sentenza n. 1682/2016 del Tribunale penale di Milano, che l’aveva condannata, in solido con due suoi dipendenti, al pagamento di una provvisionale pari a Euro 800.000,00, a titolo di risarcimento dei danni derivanti dai reati di truffa aggravata e abusivismo finanziario accertati in giudizio.
A seguito di impugnazione della D. Bank, la Corte d’appello penale di Milano, con sentenza n. 417/2018, in totale riforma della pronuncia del Tribunale, aveva assolto i due dipendenti imputati e, conseguentemente, revocato le statuizioni civili; pertanto, la stessa banca, venuta meno la sentenza in forza della quale aveva corrisposto la provvisionale, aveva ottenuto il menzionato decreto ingiuntivo nei confronti dei B., che, resistendo, avevano instaurato il presente giudizio di opposizione avanti il Tribunale di Milano.
Nelle more, era intervenuta la sentenza n. 149/2019 della Corte penale di cassazione che, limitatamente alle statuizioni civili, aveva accolto il ricorso dei B. e disposto il rinvio del giudizio, ex art. 622 cod. proc. pen. alla Corte d’appello civile, dinanzi alla quale i B. avevano riassunto la causa, affinché provvedesse sulle loro pretese risarcitorie (oggetto anche di altro e diverso giudizio civile che, preventivamente instaurato dagli stessi B., era stato, nel frattempo, sospeso in attesa del giudicato penale).
2. Avverso la decisione della Corte d’appello di Milano, G. M. B. e A. B. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, la D. Bank ha resistito con controricorso.
Ai fini della decisione del presente ricorso questa Corte ha proceduto in camera di consiglio ai sensi dell’art. 360 bis.1 c.p.c..
Parte controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. I ricorrenti denunciano con l’unico motivo di ricorso la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 primo comma nn. 3 e 4 c.p.c. per violazione dell’art. 336 c.p.c.; in particolare, censurano la pronuncia impugnata per non aver la Corte territoriale tenuto conto del fatto che, “nel momento in cui il giudice di prime cure pronunciava, erano venute meno le ragioni su cui si fondava il diritto di credito azionato dalla banca con il decreto ingiuntivo e ciò in seguito alla sentenza della Corte di cassazione n. 21744/2019 che ha riconosciuto la responsabilità dei dipendenti di D. Bank e ha disposto il rinvio ex art. 622 cod. proc. pen.” (pag. 10 in ricorso).
In particolare i ricorrenti richiamano l’art. 336 comma 2 c.p.c., che disciplina l’effetto espansivo esterno della sentenza riformata, statuendo che la riforma o la cassazione della sentenza impugnata estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata e sostengono che, in applicazione di tale principio, nel momento in cui la Corte territoriale aveva reso la sua sentenza, impugnata in questa sede, le ragioni di credito dell’attuale controricorrente e conseguentemente il decreto ingiuntivo con cui le stesse erano state azionate erano state travolte dalla sentenza della Cassazione penale. Ad avviso dei ricorrenti, ad analoghe conclusioni si perverrebbe “applicando per analogia” i principi enunciati dall’ordinanza n. 6042 del 12 marzo 2009 di questa Corte, con cui è stato escluso che un titolo esecutivo annullato (nella specie, un’ordinanza ex art. 186 -quater c.p.c.) a seguito di impugnazione, possa “rivivere” (e quindi in quel caso fondare ancora la procedura di esecuzione forzata iniziata in forza dell’anzidetta ordinanza); e ciò anche quando, a seguito della cassazione della sentenza di secondo grado, il giudice del rinvio in sostanza confermi la caducata pronuncia di condanna emessa dal giudice di primo grado (pag. 12 in ricorso).
I ricorrenti sostengono altresì che nella sentenza impugnata sia stato violato anche l’art. 336 comma 1 c.p.c., secondo il quale la riforma o la cassazione parziale di una sentenza ha effetto anche sulle parti della stessa che siano dipendenti dalla parte riformata o cassata ed evidenziano che, nel caso in esame, la Corte di cassazione penale “ha riconosciuto espressamente la responsabilità dei dipendenti della D. Bank pur non potendoli condannare e ciò – unicamente - a causa del fatto che il ricorso in Cassazione proposto dalle parti civili B. non poteva portare a una pronuncia in tal senso” (pag. 13 in ricorso).
2. L’unico motivo di ricorso, così come prospettato e sinteticamente riassunto, è infondato e va disatteso in quanto non sussiste il vizio di violazione di legge denunciato né tantomeno quello di nullità della sentenza impugnata.
2.1. Ebbene, la Corte d’appello di Milano ha, da un lato, affermato che il diritto di D. Bank alla restituzione di quanto versato agli odierni ricorrenti - a titolo di provvisionale ex art. 539 c.p.p., in forza della sentenza n. 1682/2016 del Tribunale penale di Milano, quale responsabile civile rispetto alle condotte poste in essere dai propri dipendenti condannati penalmente -, era sorto per effetto della sentenza della Corte d’appello di Milano n. 417/2018 che, in riforma della sentenza del Tribunale, aveva assolto i dipendenti, aggiungendo che su ciò non aveva influito la successiva sentenza n. 21744/2019 della Corte di Cassazione che aveva annullato la sentenza della Corte d’appello, ai soli effetti civili, con rinvio al giudice civile; dall’altro lato, ha ritenuto che l’oggetto del giudizio al suo esame era costituito dal diverso e autonomo diritto della banca di ripetere la somma già versata a titolo di provvisionale in forza della sentenza penale n. 1682/2016, poi riformata dalla sentenza d’appello n. 417/2018, ripristinando in tal modo la situazione patrimoniale anteriore all’esecuzione (pag. 9 della sentenza impugnata).
2.2. Come più volte affermato da questa Corte, l'art. 336 cod. proc. civ. (nel testo novellato dell'art. 48 della legge 26 novembre 1990, n. 353), in virtù del c.d. effetto espansivo interno, prevedendo che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comporta che, con la pubblicazione della sentenza di riforma, vengano meno immediatamente sia l'efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione della somma pagata e di ripristino della situazione precedente (cfr., tra le tante, Cass. civile, Sez. 3, 30/04/2009 n. 10124).
Da ciò consegue l’altrettanto consolidato indirizzo, secondo cui allorché venga riformata in appello una sentenza, già posta in esecuzione forzata, il debitore esecutato ha diritto alla restituzione non solo del capitale pagato sulla base del titolo successivamente riformato, ma anche delle somme corrisposte a titolo di rifusione delle spese del giudizio di esecuzione sostenute dal creditore esecutante (cfr. tra le tante, da ultimo, Cass. Sez. 3, 21/08/2023, n. 24896; Cass. Sez. 1, 29/10/2020 n. 23972; Sez. 6-3, n. 30495 del 21/11/2019; Cass. Sez. U, 2/07/2004, n. 12190).
In applicazione dell'art. 336 cod. proc. civ. è stato altresì ritenuto, con peculiare riferimento all'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 186- quater cod. proc. civ. annullata dal giudice di secondo grado con rinvio al primo giudice, che essa perde efficacia di titolo esecutivo sia in ordine alle statuizioni di merito che a quelle relative alle spese in essa contenute, con la conseguenza che il giudice dell'opposizione all'esecuzione deve dichiarare l'improseguibilità del processo esecutivo e la caducazione dei relativi atti. Coerentemente con l'effetto integralmente sostitutivo della pronuncia di grado successivo, il successivo nuovo accoglimento della domanda creditoria originaria, pronunciato dal giudice del rinvio a seguito della cassazione della sentenza di secondo grado, non è idoneo a rendere nuovamente efficace il titolo esecutivo definitivamente caducato, potendo soltanto fondare il diritto ad una nuova esecuzione forzata (principio affermato da Cass. Sez. 3, 12/03/2009 n. 6042, evocato dagli stessi ricorrenti perché asseritamente violato dalla pronuncia in esame).
2.3. La Corte d’appello, quindi, con la sentenza impugnata si è uniformata ai richiamati principi in merito all’effetto sostitutivo della sentenza d’appello, correttamente affermando che, nella fattispecie in esame, la prospettazione dei ricorrenti intendeva «suggerire che la cassazione della pronuncia d’appello abbia comportato la reviviscenza della sentenza del Tribunale precedentemente riformata, in forza della quale era dovuta la provvisionale» e, richiamando pertinenti precedenti di legittimità, ha considerato corretta la sentenza di primo grado e ha affermato che «la riforma in appello ha quindi prodotto due effetti: il venir meno del titolo costituito dalla sentenza di condanna del Giudice penale , in forza della quale D. Bank aveva corrisposto ai sigg. B. la provvisionale sul risarcimento dei danni, pari ad euro 800.000,00 e le spese di difesa; il sorgere, in capo alla Banca, del diritto alla restituzione della somma già versata e quantificata in sede monitoria in euro 826.264,16 oltre interessi. E su ciò non ha influito in alcun modo la pronuncia della Cassazione penale, che, pur rilevando l’incongruità logica delle motivazioni poste a base delle statuizioni civili del giudice penale d’appello, si è limitata, come doveva, a rimettere le questioni civili al giudice del rinvio».
Peraltro, pur evidenziando l’irrilevanza della questione posta dal secondo motivo di gravame, essendo stato il decreto ingiuntivo revocato e sostituito da una pronuncia contenente una diversa statuizione degli interessi, la Corte di merito, con la sentenza impugnata, ha ritenuto infondato tale motivo, con cui gli appellanti avevano sostenuto che il giudice di prime cure aveva condannato gli attuali ricorrenti senza tener conto della carenza dei presupposti per l’emissione del decreto monitorio e della sua dichiarazione di provvisoria esecutività, rilevando che, invece, nella fattispecie, risultavano «infatti presenti tutti i presupposti ex lege per l’emissione del decreto ingiuntivo, ossia certezza, liquidità, esigibilità: la somma risulta(va) già quantificata nella pronuncia del Tribunale penale e il suo versamento risulta(va) già documentato, in quanto la sentenza penale d’appello è intervenuta a travolgere interamente la pronuncia del Tribunale, che, non esistendo più, non poteva tornare a “rivivere”, neppure a seguito della cassazione c.d. con rinvio» (pag. 9 della sentenza impugnata).
Pertanto, la Corte territoriale si è attenuta al principio secondo cui la condanna provvisionale ai sensi dell'art. 539 cod. proc. pen., riformata in appello, perde efficacia di titolo esecutivo sia in ordine alle statuizioni di merito che a quelle relative alle spese in essa contenute in applicazione dell'art. 336 cod. proc. civ., anche se, successivamente annullata “agli effetti civili” dal giudice di legittimità “con rinvio al giudice civile competente per valore e in grado d’appello” ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen.; coerentemente con l'effetto integralmente sostitutivo della pronuncia di grado successivo, il successivo nuovo accoglimento della domanda creditoria originaria, ove pronunciato dal giudice del rinvio, non è idoneo a rendere nuovamente efficace il titolo esecutivo definitivamente caducato, potendo soltanto fondare il diritto ad una nuova esecuzione forzata.
Pertanto, la sentenza impugnata, avendo fatto concreta applicazione dei principi ora enunciati si sottrae ad ogni censura in questa sede di legittimità.
3. Da ciò discende il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono il principio di soccombenza e vengono poste a carico dei ricorrenti, in solido tra loro, e sono liquidate come da dispositivo in favore della parte controricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.