Qualora all'atto di licenziamento per gmo risultino esistenti nell'organico aziendale mansioni inferiori, anche a termine, il datore deve effettuare un'offerta di demansionamento al lavoratore ovvero allegare e provare in giudizio che il lavoratore non rivesta le competenze professionali richieste per l'espletamento delle stesse mansioni.
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Svolgimento del processo
La Corte d'appello di Roma, con la sentenza in atti, ha rigettato il reclamo proposto da F.A. avverso la sentenza che aveva respinto la sua domanda di impugnazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli in data 13/7/2018 da M. Srl.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.F. con sette motivi ai quali ha resistito la società datrice di lavoro M. Srl con controricorso. La parte ricorrente ha depositato memoria. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Motivi della decisione
1.- Col primo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2, comma 2, della legge 604 del 1966 con riferimento alla manifesta inosservanza da parte del datore di lavoro del principio di immutabilità delle ragioni del licenziamento per avere il datore addotto nel corso del tempo tre diverse motivazioni a sostegno del medesimo licenziamento.
2.- Col secondo motivo di ricorso si sostiene la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2, comma 2 della legge 604 del 1966 derivante dalla manifesta omissione, genericità e/o carenza della comunicazione dei motivi di licenziamento.
I primi due motivi di ricorso possono essere affrontati unitariamente per connessione e sono infondati.
2.1.- Con tali censure il ricorrente ripropone le doglianze sollevate in appello e disattese in modo argomentato dalla Corte territoriale che aveva affermato come il lavoratore non avesse contestato quanto correttamente affermato in proposito dal primo giudice ossia che “che la semplice lettura della comunicazione dell'11.6.2018 di avvio del procedimento ex articolo 7 fa comprendere che la resistente ha addotto come causa giustificativa del licenziamento - sinteticamente ma non genericamente - la cessazione della sede lavorativa ove il ricorrente prestava la sua attività (che era il capannone locato per sviluppare il settore Composito) e l'impossibilità di una sua ricollocazione all'interno dell'azienda”. Nel corso del tentativo di conciliazione, la resistente non aveva mutato le motivazioni del recesso, ma aveva solo specificato un dato che già poteva dirsi implicito nella comunicazione dell'11.6.2018: ovvero che la chiusura della sede di assegnazione dell'attore comportasse inevitabilmente la soppressione delle mansioni dallo stesso svolte. Non vi era stato, quindi, il denunciato mutamento delle ragioni tecniche, organizzative e produttive indicate nella comunicazione dell'11.6.2018 rispetto a quelle (solo specificative) addotte in sede di tentativo di conciliazione.
Né a diversa conclusione poteva pervenirsi valorizzando la circostanza che, nel corso della prima fase del giudizio, la società avesse affermato che il licenziamento in contestazione fosse conseguente alla chiusura dello specifico reparto deputato alla produzione di materiale in composito, al quale il ricorrente sarebbe stato assegnato in via esclusiva: al riguardo bastava osservare che già nella richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione la società aveva fatto riferimento alla cessazione della sede lavorativa ove il F.prestava l'attività che non poteva che coincidere con una delle unità operative della società (in quanto altrimenti ci sarebbe trattato della cessazione dell'intera attività aziendale). In sostanza l'unica novità contenuta in tale ultima dichiarazione era costituita dalla specificazione della sede lavorativa (o reparto ) in cui il lavoratore prestava la propria attività.
2.2. Il lavoratore ha contestato nel merito tali tesi ma si tratta di censure inammissibili perché tendenti ad inficiare la logica e motivata interpretazione degli atti della procedura di licenziamento (che ha portato a negare sia la genericità dei motivi di licenziamento, sia la violazione del principio di immutabilità ) effettuata da entrambi i giudici di merito in modo conforme a legge; e che non è comunque sindacabile da parte di questa Corte di cassazione alla stregua della differente soluzione opposta dal ricorrente senza nemmeno prospettare la violazione dei criteri ermeneutici negoziali applicabili anche agli atti unilaterali.
3.- Col terzo motivo di ricorso si sostiene la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 116 e seguenti c.p.c. e degli articoli 2702 e 2712 c.c. con riferimento al valore probatorio attribuito alla documentazione versata in atti dal ricorrente; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. con riferimento alla valutazione delle risultanze istruttorie.
È un motivo inammissibile, con cui vengono dichiaratamente criticati gli accertamenti e le valutazioni delle testimonianze effettuati dalla Corte in materia di mansioni svolte, ruolo e qualifica rivestiti dal lavoratore, le quali sono state all’uopo richiamate e trascritte in ricorso. Questa Corte di legittimità, però, non può, sostituendosi al giudice di appello, ritenere che il M. svolgesse un certo tipo di mansioni o rivestisse un determinato ruolo diverso da quello dichiarato dai primi giudici; e quindi ripetere le valutazioni delle circostanze di fatto, o riesaminare il materiale probatorio, il contenuto degli atti di causa già valutati in maniera motivata dalla Corte d'appello. Fatta salva l’omessa valutazione di un fatto decisivo non ricorrente nel presente caso, il potere di selezionare e valutare le prove idonee ai fini della dimostrazione del fatto appartiene al giudice di merito e non può essere sindacato in questa sede.
Le censure sollevate dal ricorrente sono pertanto inammissibili perché censurano valutazioni probatorie e vizi del tutto inesistenti.
Esse solo formalmente denunciano plurimi errores in iudicando, anche attraverso l'improprio riferimento all’art. 116 c.p.c., mentre nella sostanza criticano la sentenza impugnata per come ha valutato le prove e ricostruito, in base ad esse, i fatti di causa.
4.- Col quarto motivo si deduce l'omessa pronuncia circa la doglianza espressa dal ricorrente in ordine alla violazione da parte del tribunale di Frosinone degli articoli 214, 215 e 216 c.p.c. alla luce dell'assoluta inesistenza di qualsivoglia documento atto a comprovare l'esclusiva e/o prevalente collocazione del ricorrente presso il reparto di produzione compositi della M. Srl.
Anche tale motivo è inammissibile nella parte in cui le censure sollevate dal ricorrente criticano le valutazioni delle prove; ed è invece infondato laddove postula la necessità della prova documentale per comprovare le mansioni effettivamente svolte da un lavoratore, che non è invece richiesta dall’ordinamento.
5.- Col quinto motivo si sostiene l'omesso esame circa un fatto decisivo ai fini della soluzione della controversia costituito dalla asserita prevalenza delle mansioni svolte dall'ingegner A.F. nel reparto compositi e/o dall'effettiva durata, operatività ed esistenza, presso la M. Srl di tale attività produttiva.
Il motivo è inammissibile posto che il ricorrente denuncia l’esistenza del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. “doppia conforme” (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
6.- Con il sesto motivo si sostiene la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 3 e 7 della legge 604/ 66; violazione dei principi normativi e/o giurisprudenziali attenenti all'onere della prova e/o al mancato assolvimento dell'onere di repêchage; violazione e/o integrale disapplicazione dell'art. 2733 c.c. nonché degli articoli 116, 228 e 229 c.p.c.
La Corte di appello aveva sbagliato ad affermare che esiste un onere di allegazione dei posti disponibili a carico del lavoratore “senza l’assolvimento del quale neppure sorgerebbe l'onere della prova del datore”. Inoltre doveva comunque ritenersi processualmente accertata la possibilità di una ricollocazione dell'ingegner F. presso la M. Srl seppure con mansioni inferiori posto che lo stesso amministratore legale rappresentante della M. Srl aveva espressamente e spontaneamente ammesso nel corso del libero interrogatorio che c'era la possibilità di ricollocare il ricorrente con mansioni operaie; siffatta ipotesi tuttavia non era stata mai prospettata all'ingegner A.F. che non aveva ricevuto alcuna proposta in tal senso dal datore.
La Corte d'appello aveva invece valorizzato ai fini della impossibilità dell’assolvimento dell’onere della prova la mancata assunzione di personale a tempo indeterminato dopo il gennaio 2018. Ed aveva affermato inoltre che non potesse valorizzarsi quanto riferito dal legale rappresentante nell’interrogatorio libero difettando a monte tra le allegazioni di parte ricorrente una idonea allegazione in ordine alla possibilità di essere adibito ad altre mansioni, rilevando altresì la tardività della relativa doglianza siccome non formulata nella prima difesa successiva a tale pretesa ammissione di controparte ma solo nel ricorso in opposizione ex articolo 1, commi 51 seguenti legge n. 92 del 2012 (pag.
14).
Oltre all'errore circa la necessità di una allegazione specifica, non risponde al vero neanche il rilievo circa la tardività della doglianza, dal momento che il lavoratore aveva sollevato la questione anche nelle note conclusionali depositate presso il tribunale di Frosinone nel procedimento sommario e, pertanto, nel primo atto successivo al rilascio della citata ammissione (sul punto si trascrivono le citate note conclusionali) oltre che nel ricorso in opposizione dove veniva poi di nuovo evidenziata.
6.1. Il sesto motivo è fondato sotto tutti i profili evidenziati.
6.2. La Corte di appello ha affermato che sul tema del repêchage il giudice di prime cure avesse correttamente valorizzato - a fronte della generica affermazione del ricorrente secondo cui in virtù della sua ampia esperienza professionale avrebbe potuto svolgere qualsiasi incarico all'interno dell'organico aziendale – “quanto risultante dalla documentazione in atti ossia che la società non avesse assunto personale a tempo indeterminato, tantomeno con qualifica impiegatizia dopo il gennaio 2018. Di contro, nell'anno 2018, sono cessati i rapporti lavorativi di F.G. (31 maggio 2018), C.S. 31 maggio 2018, B.G. 31 maggio 2018, R.A. 25 giugno 2018; come si evince dal LUL aziendale depositato come all. 6 dalla società nella fase sommaria del giudizio. Le uniche assunzioni sono state effettuate con contratti a termine, per la sostituzione di operai (non impiegati) in ferie o malattia (cfr. all.7 M.).”
Ha pure sostenuto la Corte di appello che sul punto non potesse invece valorizzarsi quanto riferito dal legale rappresentante nell’interrogatorio libero (“ossia che non c’era la possibilità di riallocare l’attore se non con mansioni operaie”), difettando a monte una idonea allegazione del ricorrente in ordine alla possibilità di essere adibito ad altre mansioni (per di più inferiori e di natura operaia, laddove lo stesso era pacificamente un impiegato di alto livello); rilevando altresì la tardività della relativa doglianza, siccome non formulata nella prima difesa successiva a tale pretesa ammissione di controparte ma solo nel ricorso in opposizione ex articolo 1, commi 51 seguenti legge n. 92 del 2012 (pag. 14).
6.3. Le tesi sostenute dalla Corte territoriale in materia di repêchage non sono conformi all’ordinamento, per come lo stesso si è sviluppato in virtù della giurisprudenza anche recente di questa Corte.
Gli stessi accertamenti, comunque effettuati in proposito dalla Corte, non rilevano e non soddisfano l’obbligo del repêchage che si pone a monte con riferimento, anzitutto, all’organizzazione aziendale esistente al momento del licenziamento.
6.4. Ed invero, in primo luogo, va ricordato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di merito, l’onere della prova in materia di repèchage è a carico del datore di lavoro, mentre sul lavoratore non grava alcun onere, neppure di allegazione (ordinanza n. 2739 del 30/01/2024).
6.5. In secondo luogo, l’onere della prova del datore è esteso anche alle mansioni inferiori, sicché egli è tenuto a provare che al momento del licenziamento non esista nessuna altra posizione lavorativa in cui possa utilmente ricollocarsi il licenziando, tenuto conto della organizzazione aziendale esistente all’epoca del licenziamento (Cass. 26 marzo 2010, n. 7381; Cass. 11 giugno 2014, n. 13112; Cass. 24 giugno 2015, n. 13116).
6.6. Va perciò escluso che possa rilevare il momento processuale in cui il ricorrente specifichi la sua doglianza in proposito (circa la mancanza di un’offerta di ricollocazione anche inferiore), trattandosi di una mera difesa non soggetta a preclusioni di sorta.
6.7. In terzo luogo, va rilevato che nel presente giudizio era emerso dalle dichiarazioni del legale rappresentante che al momento del licenziamento esistevano collocazioni alternative in mansioni inferiori. Nell’atto di licenziamento era stato invece detto espressamente il contrario.
6.8.- A fronte dell’esistenza di mansioni inferiori il datore di lavoro, prima di intimare il licenziamento, deve offrire la mansione alternativa anche inferiore al lavoratore, prospettandone il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga accettata dal lavoratore (cfr. da ultimo Cass. Ordinanza n. 31561 del 13/11/2023, Cass. n. 10018 del 2016; v. pure Cass. n. 23698 del 2015; Cass. n. 4509 del 2016; Cass. n. 29099 del 2019);
6.9. In mancanza di tali condizioni, per sottrarsi all’annullamento del licenziamento il datore deve allegare e provare, sulla base di circostanze oggettivamente riscontrabili ed avuto riguardo alla specifica condizione ed alla intera storia professionale di un ben individuato lavoratore, che il lavoratore non rivesta le competenze professionali richieste per l’espletamento delle stesse mansioni (ordinanza n. 31561 del 13/11/2023, Cass. n. 6497/2021, con la giurisprudenza ivi citata al punto 6). 6.10.- Nel caso di specie il datore non l’ha fatto, né ha allegato e provato perché non l’ha fatto.
6.11. Né può rilevare che si trattasse di mansioni operaie invece che impiegatizie siccome neppure risulta dagli atti di causa che il lavoratore (anche in relazione all’ampiezza delle competenze rivestite) non potesse svolgere tali mansioni inferiori; al riguardo la Corte di appello non ha effettuato una qualche verifica in proposito essendosi limitata, erroneamente, a rilevare il difetto di allegazione a monte da parte del lavoratore.
6.12. Non rileva, quindi, la disamina della Corte sul fatto che invece successivamente al licenziamento siano state fatte solo delle assunzioni a termine.
6.13. Quello che invece è determinante è che il lavoratore sia stato licenziato in violazione dell'articolo 3 legge 604/1966, pur essendovi all’atto del recesso delle posizioni di lavoro alternative ancorché in mansioni inferiori (anche a tempo determinato) e non sia stata effettuata alcuna offerta di lavoro (né a tempo indeterminato, né a tempo determinato) per la ricollocazione in queste mansioni.
7.- Col settimo motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione dell'articolo 18, comma 1 e 3 della legge 300/1970 e dell'art. 18, comma 5 della legge 300 1970 e dell'articolo 18 comma 7; omessa pronuncia circa l'insussistenza degli estremi del giustificato motivo oggettivo ex articolo 3 della legge 604 del 66, stante la manifesta insussistenza delle circostanze indicate a fondamento del licenziamento; alla luce di quanto ampiamente argomentato doveva ritenersi accertato come tutti e tre i distinti motivi di licenziamento riferiti, dedotti dalla datrice del lavoro si fossero rilevati fondati su circostanze materiali insussistenti laddove: 1.- risultava comprovato che la sede di lavoro dell'ingegner F. era ubicata presso la sede legale della M. Srl che non è mai cessata ed è ancora esistente; 2.- la figura del responsabile tecnico commerciale della M. Srl non è mai stata soppressa ed anzidetto in carico a tutt'oggi risulta espletato dall'amministratore ingegner Ivan Gazzetti come espressamente riconosciuto dalla controparte; 3.- non poteva esserci correlazione tra la chiusura del reparto compositi e licenziamento dell'istante sia in quanto egli svolgeva le sue mansioni con riferimento a tutti i settori aziendali sia perché detto settore avviato due anni dopo l'assunzione del F. è chiuso due anni prima del suo licenziamento non è mai stato operativo. Inoltre nessuna delle ragioni tecniche organizzative rappresentate dalla M. Srl al fine di dare corso al licenziamento presentava gli estremi del giustificato motivo oggettivo previsto dall'articolo 3 della legge 604 del 66.
Il motivo presenta profili di infondatezza e profili di inammissibilità.
Quanto ai presupposti del licenziamento gmo la Corte ha accertato in conformità all’art. 3 l. 604/1966 che il settore dei cd. compositi dove operava in maniera assolutamente prevalente il ricorrente dal 2015 non raggiunse mai la fase alla produzione ed aveva ingenerato pesanti perdite di esercizio che indussero la società datrice di lavoro a dismetterlo alla fine del 2017, cui fece seguito la chiusura dello specifico reparto ed il venir meno delle mansioni cui era stato assegnato il ricorrente ( peraltro dal gennaio a giugno del 2018 con lo svolgimento dell’attività saltuaria e sporadica).
Per il resto il motivo è inammissibile perché censura valutazioni probatorie e vizi di motivazione del tutto inesistenti anche alla luce del dirimente e corretto accertamento effettuato dalla Corte di appello il quale risulta argomentato e conforme all’ordinamento. Le censure solo formalmente denunciano plurimi errores in iudicando, (cfr. Cass. n. 23940 del 2017 e Cass. n. 25192 del 2016, con la giurisprudenza ivi richiamata), mentre nella sostanza criticano la sentenza impugnata per come ha valutato le prove e ricostruito, in base ad esse, i fatti di causa. In proposito, occorre considerare che gli accertamenti di fatto non sono sindacabili in sede di legittimità oltre i limiti imposti dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), di cui parte ricorrente non tiene alcun conto, pretendendo piuttosto una rivalutazione degli accadimenti ed una revisione del giudizio di fatto non ammissibile in questa sede.
8.- Sulla scorta di quanto osservato va quindi accolto il sesto motivo di ricorso e rigettati tutti gli altri. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolti con rimessione al giudice di rinvio indicato in dispositivo il quale dovrà procedere alla prosecuzione della causa e provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione, conformandosi al seguente principio di diritto:
9.- Non sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.