Avverso tale decisione l’imputato ricorre per cassazione, lamentando, tra i vari motivi, il...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Genova riformava in favore dell'imputato, limitatamente alla determinazione dell'entità del trattamento sanzionatorio, la sentenza con cui il tribunale di Imperia, in data 10.1.2023, aveva condannato (omissis) alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato ex art. 583 quinquies, c.p., in rubrica ascrittogli al capo A) dell'imputazione.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, sotto il profilo della sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, in quanto la corte territoriale non solo ha accomunato, in motivazione, i concetti di sfregio e deformazione, non assimilabili, ma non ha offerto alcun elemento descrittivo della idoneità della cicatrice di determinare quell'effetto di snaturamento dell'identità personale della vittima, che, invece, è necessario riscontrare nella fattispecie concreta, quale conseguenza della condotta lesiva; 2) violazione di legge, in relazione all'art. 521, c.p.p., in quanto, a fronte di una contestazione in cui si fa riferimento a uno sfregio permanente, il fatto ritenuto nella decisione, la deformazione permanente del viso, si pone in rapporto di eterogeneità, giacché il capo d'imputazione non contiene l'indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consente di ricavarli in via induttiva; 3) violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine al mancato espletamento di una perizia medico-legale, che accerti la natura delle lesioni patite dalla persona offesa.
3. Con requisitoria scritta del 22.2.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott.ssa (omissis), chiede che il ricorso sia rigettato.
Con memoria e conclusioni scritte del 6.3.2024, il difensore dell'imputato, avv. (omissis), nel replicare alla requisitoria scritta del pubblico ministero, conclude per l'accoglimento del ricorso, riportandosi ai motivi di impugnazione.
4. Il ricorso non può essere accolto perché sorretto da motivi, in parte infondati, in parte inammissibili.
4.1. Infondato appare il primo motivo di ricorso.
Il ricorrente, invero, si muove nel solco tracciato dalla sentenza n. 35795 del 15.6.2023, di questa Sezione, che ha evidenziato come l'art. 583 quinquies, c.p., - intitolato «Deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso», come introdotto dall'art. 12 co. 1 della legge 19 luglio 2019, n. 69, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 173 del 25 luglio 2019, recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere», c.d. Codice rosso - punisca con la reclusione da 8 a 14 anni colui che cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente al viso. Nella formulazione originaria del Codice penale, la deformazione e lo sfregio permanente del viso erano puniti ai sensi dell'art. 583, co. 2, n. 4, c.p., e secondo l'orientamento maggioritario nella giurisprudenza di legittimità, l'art. 583, c.p., annoverava una serie di circostanze aggravanti della fattispecie di lesioni personali, avuto riguardo alla rubrica, alla presenza di elementi specializzanti rispetto all'ipotesi base delle lesioni personali e al testo dell'art. 582, c.p., che rinvia alle circostanze aggravanti di cui all'art. 583, c.p., laddove il c.d. Codice rosso ha, invece, trasformato la deformazione e lo sfregio permanente al viso in un titolo autonomo di reato, con un proprio trattamento sanzionatorio.
In altro più recente arresto si è, inoltre, sottolineato come, in tema di lesioni personali volontarie sussista continuità normativa tra la circostanza aggravante della "deformazione" o dello "sfregio permanente al viso", abrogata dall'art. 12, legge 19 luglio 2019, n. 69, e il delitto di deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (cfr. Sez. 5, n. 6401 del 23/01/2024, Rv. 286054).
Di particolare interesse, ai fini della soluzione della questione che ci occupa, appaiono due passaggi contenuti nella motivazione della richiamata sentenza n. 35795 del 15.6.2023 della Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione, di cui il ricorrente dimostra di avere contezza, avendone riportato alcuni stralci nella stesura del motivo di ricorsa di cui si discute.
Osserva in particolare, la Suprema Corte, approfondendo lo sguardo sulla struttura della fattispecie di nuovo conio, "che la lesione al volto, per potere integrare uno sfregio o una deformazione, e giustificare il severo trattamento sanzionatorio comminato dalla norma astratta, deve produrre, non un qualsiasi esito cicatriziale, ma un turbamento irreversibile dell'armonia e dell'euritmia delle linee del viso, che incida sulla funzione estetico-fisiognomica dello stesso, sì da compromettere la percezione del sé da parte della vittima e di coloro con i quali si relaziona", evidenziando come la giurisprudenza di legittimità si sia "curata, da epoca risalente, di individuare il discrimen tra lo sfregio e la deformazione, affermando che, in tema di lesioni personali gravissime, deformazione o deformismo è un'alterazione anatomica del viso che ne alteri profondamente la simmetria, tanto da causare un vero e proprio sfiguramento, mentre lo sfregio permanente è un qualsiasi nocumento che non venga a determinare la più grave conseguenza della deformazione ma importi un turbamento irreversibile dell'armonia, dell'euritmia delle linee del viso ( Sez. 4, n. 12006 del 04/07/2000, Rv. 217897 - Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto correttamente affermata l'aggravante in questione da parte del giudice che, pur in mancanza di documentazione fotografica, ha espresso un ragionevole giudizio di attitudine a deturpare il volto sulla base della diagnosi delle lesioni riportate e del diretto riscontro della evidenza ed imponenza della cicatrice residuata). Con un risalente approdo, si era anche considerato che, se pure non ogni alterazione della fisionomia del viso costituisca sfregio, sono certamente tali le alterazioni che ne turbino l'armonia con effetto sgradevole o d'ilarità, anche se non di ripugnanza: il tutto rapportato ad un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità (Sez. 5, n. 10903 de/ 02/10/1981, Rv. 151231; conf. Sez. 5, n. 21998 del 16/01/2012, Rv. 252952, che, in applicazione del principio di cui in massima, ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto la sussistenza dell'aggravante in questione nel distacco di parte del lobo di un orecchio, mediante morso, nonché, Sez. 1, n. 7407 del 01/02/1978, Rv. 139343 - che ha precisato come per "viso" debba intendersi quella parte del corpo che va dalla fronte all'estremità del mento e dall'uno all'altro orecchio (Conf. Rv. n 131171; RV. n 131172; Rv. n 131173)".
La Corte di Cassazione, infine, "tracciate le linee ermeneutiche che devono guidare il giudizio di merito", ribadiva un condivisibile principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui " quella sulla natura della lesione è una valutazione che compete al giudice di merito, chiamato ad esprimere un giudizio che non richiede speciali competenze tecniche, perché ancorato al punto di vista di un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità, e pertanto tale giudizio, se condotto in termini logicamente coerenti, non risulta sindacabile in sede di legittimità (Sez. 5, n. 22685 del 02/03/2017, Rv. 270137).
Ciò posto ritiene il Collegio che il giudice di appello abbia fatto buon governo di tali principi, individuando nella lesione patita dalla persona offesa (consistente nell"'asportazione di una buona parte del labbro inferiore"), una vera e propria deformazione del viso, trattandosi di zona ricompresa nella nozione di "viso" come delineata dalla giurisprudenza di legittimità, in considerazione dei danni estetici e funzionali derivanti da una ferita di tal genere, tra i quali, va ricompresa, evidenzia la corte territoriale con logico argomentare, la difficoltà nella favella.
A tale conclusione la corte territoriale è giunta valutando il contenuto della documentazione fotografica, rappresentante la ferita riportata dalla persona offesa, e medica, consistente nel referto rilasciato dai sanitari del pronto soccorso che prestarono le prime cure alla vittima, in cui venne attestata la mutilazione del labbro inferiore, acquisita a, li atti, nonché delle dichiarazioni rese dall'agente operante che vide la persona offesa nell'immediatezza dei fatti, il quale ha riferito di avere notato che dal labbro sanguinante di quest'ultima mancava un pezzo e che l'uomo parlava con difficoltà, risultanze processuali, si badi, non contestate nel loro contenuto rappresentativo dal ricorrente.
Non è, pertanto, revocabile in dubbio che tale lesione sia qualificabile in termini di deformazione, integrando essa un'alterazione anatomica del viso della persona offesa, che ne ha alterato profondamente la simmetria, tanto da causare un vero e proprio sfiguramento (cfr. la già citata Sez. 4, n. 12006 del 04/07/2000, Rv. 217897) ovvero una compromissione dell'estetica del viso in una zona, che necessariamente contribuisce alla formazione ed al completamento dell'immagine, come, ad esempio, la regione mandibolare e quella latero-superiore del collo, dando vita ad un'alterazione particolarmente vistosa e quindi idonea a provocare una sensibile modifica dei lineamenti del viso (cfr., in questo senso, Sez. 2, n. 10732 del 22/09/1998, Rv. 211661).
La giurisprudenza di legittimità, del resto, in passato ha chiarito come debba considerarsi sfregio permanente, ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante di cui all'art. 583, co. 2, 11. 4, c.p., il distacco di parte del lobo di un orecchio, mediante morso, ravvisando in esso un nocumento che, senza determinare la più grave conseguenza della deformazione, importi un turbamento irreversibile dell'armonia e dell'euritmia delle linee del viso (cfr. Sez. 5, n. 21998 del 16/01/2012, Rv. 252952), sicché non può non ritenersi carente, manifestamente illogica o contraddittoria, la valutazione operata dalla corte territoriale sull'attitudine della perdita non di una semplice parte, ma di ''buona parte del labbro", dunque di una parte significativa per estensione, a determinare una vera e propria deformazione del viso della persona offesa.
Il ricorrente contesta anche la mancata distinzione da parte della corte territoriale tra deformazione e sfregio permanente, ma, sul punto, il rilievo appare del tutto generico, posto che entrambe le alterazioni integrano il reato per cui si procede, così come integravano la precedente circostanza aggravante di cui all’art. 583, co. 2, n. 4), per cui, fermo restando che la deformazione non è assimilabile allo sfregio permanente, rappresentando un'alterazione diversa e più grave, una volta che ne sia stata affermata la sussistenza, come inequivocabilmente ritenuto dalla corte territoriale, diventa irrilevante ogni questione sullo sfregio permanente.
Deve, infine, ritenersi espressione di un ragionevole giudizio, rapportato a un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità, secondo i criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimità in precedenza richiamata, la valutazione operata dalla corte territoriale sull'idoneità della ritenuta deformazione del viso a determinare l'effetto di snaturamento dell'identità personale e relazionale della vittima, necessario per l'integrazione dell'elemento oggettivo della fattispecie in esame, che emerge con assoluta chiarezza dal riferimento, in motivazione, alla difficoltà nella favella della persona offesa, divenuta ormai strutturale, in conseguenza della natura permanente della deformazione del viso, evento fenomenico la cui sussistenza non ha formato oggetto di specifiche contestazioni da parte del ricorrente, favella che costituisce uno degli elementi essenziali della capacità relazionale del singolo, in quanto tale direttamente incidente sulla sua identità.
Nessuno spazio, dunque, vi può essere per ricondurre la condotta dell'imputato, come prospettato dal ricorrente, al paradigma normativo del reato di lesione personale volontaria aggravato dalla circostanza di cui all'art. 583, co. 2, n. 3), c.p., configurabile quando dal fatto deriva "una permanente e grave difficoltà della favella", posto che nella fattispecie penale di nuovo conio componente essenziale dell'elemento oggettivo del reato è costituito dalla deformazione ovvero dallo sfregio permanente del viso, elementi di fatto del tutto estranei alla previsione normativa del delitto di cui all'art. 582, c.p., assumendo eventualmente rilevanza la permanente e grave difficoltà della favella, non come circostanza aggravante, essendo il perimetro applicativo delle circostanze aggravanti di cui all'art. 583, c.p., limitato al solo reato di lesione personale, di cui all'art. 582, c.p., ma, come nel caso in esame, quale sintomo dell'idoneità in concreto della deformazione o dello sfregio permanente a incidere in negativo sull'identità personale e relazionale della vittima, determinandone un effetto di snaturamento.
4.2. Inammissibile perché manifestamente infondato deve considerarsi il secondo motivo di ricorso.
Come affermato da tempo dalla giurisprudenza dli legittimità la nozione di "fatto diverso" di cui all'art. 521, co. 2, c.p.p., comprende non solo un fatto che integri una diversa imputazione restando storiCé:1mente invariato, ma anche quello che abbia connotati materiali difformi da quelli descritti nel decreto che dispone il giudizio (cfr. Sez. 3, n. 3253 del 22/02/1996, Rv. 205778).
Con un più recente arresto la Suprema Corte ha ribadito e specificato tale principio, affermando, in particolare, che in tema di correlazione tra accusa e sentenza, non è diverso il fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, laddove la differente condotta realizzativa sia emersa dalle risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato, di modo che anche rispetto c1d essa egli abbia avuto modo di esercitare le proprie prerogative difensive. (cfr. Sez. 6, n. 38061 del 17/04/2019, Rv. 277365).
Come è stato affermato, inoltre, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, il rispetto della regola del contraddittorio - che deve essere assicurato all'imputato, anche in ordine alla dive1·sa definizione gi1uridica del fatto, conformemente all'art. 111, comma secondo, Cast., integrato dall'art. 6 Convenzione europea, come interpretato dalla Corte EDU - impone , in altri termini, esclusivamente che detta diversa qualificazione giuridica non avvenga 'a sorpresa" e cioè nei confronti dell'imputato che, per la prima volta e, quindi, senza mai avere la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali rispetto all'originaria imputazione, di cui rappresenti uno sviluppo inaspettato. Ne consegue che non sussiste la violazione dell'art. 521, c.p.p., qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile e l'imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine al contenuto dell'imputazione, anche attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione (nella specie proposta avverso la sentenza di primo grado contenente la diversa qualificazione giuridica del fatto: cfr. Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, Rv. 254649).
Allo stesso modo, non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, posto che l'immutazione si verifica solo laddove ricorra tra i due episodi un rapporto di eterogeneiti1 o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, messo così, a sorpresa, di fronte a un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell'addebito. (cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, Rv. 274500; Sez. 2, n. 10989 del 28/02/2023, Rv. 284427).
Orbene applicando tali principi al caso in esame non può che rilevarsi la manifesta infondatezza dell'assunto difensivo, per la decisiva ragione che, pur in assenza di una diversa qualificazione giuridica della condotta ascritta all'imputato, il "fatto" che si assume diverso, da un lato, rappresenta uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, posto che il reato di cui si discute può essere alternativamente integrato dallo sfregio permanente o dalla deformazione al viso, "fatti" che, pur essendo diversi, rappresentano entrambi un'alterazione anatomica di una ben definita parte del corpo umano, sicché la "deformazione del viso" ritenuta dalla corte territoriale non può certo considerarsi, rispetto allo "sfregio permanente" oggetto della contestazione, un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali rispetto all'originaria imputazione, di cui rappresenti uno sviluppo inaspettato; dall'altro, il fatto che si assume diverso è stato portato a conoscenza dell'imputato, messo in condizione di esercitare le proprie prerogative difensive in relazione ad ogni possibile profilo dell'addebito, dipendente dalla natura della lesione patita dalla persona offesa, senza che il ricorrente abbia specificato, per converso, quale sarebbe stata in concreto la lesione del suo diritto di difesa, derivante dalla decisione dei giudici di merito, che, immutata la qualificazione giuridica del fatto in contestazione, hanno ritenuto integrata una deformazione del viso della vittima, piuttosto che uno sfregio permanente.
4.3. Inammissibile, perché manifestamente infondato, deve ritenersi anche il terzo motivo di ricorso.
Si osserva al riguardo che, come chiarito dall'orientamento da tempo dominante in sede di legittimità, stante l'eccezionalità dell'istituto processuale contemplato nell'art. 603 c.p.p., il mancato accoglimento della richiesta volta ad ottenere la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale può essere censurato in sede di !legittimità solo quando risulti dimostrata l'esistenza, nel tessuto motivazionale che sorregge la decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità ricavabili dal testo del medesimo provvedimento (come previsto dall'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p.) e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello (cfr., ex plurimis, Sez. III, 23/05/2013, n. 45647).
Lacune e manifeste illogicità che, nel caso in esame non appaiono configurabili, in quanto la corte territoriale, come si è visto, ha fondato la sua decisione sulla base di un percorso argomentativo affatto lacunoso o manifestamente illogico, attenendosi al principio, secondo cui " quella sulla natura della lesione è una valutazione che compete al giudice di merito, chiamato ad esprimere un giudizio che non richiede speciali competenze tecniche, perché ancorato al punto di vista di un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità, e pertanto tale giudizio, se condotto in termini logicamente coerenti, non risulta sindacabile in sede di legittimità (Sez. 5, n. 22685 del 02/03/2017, Rv. 270137; Sez. 5, n. 35795 del 15/6/2023).
5. Al rigetto del ricorso, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.