Si tratta di un'ipotesi di responsabilità da «contratto sociale» che vede il professionista condannato al risarcimento anche in assenza di un vincolo negoziale con il danneggiato.
Il notaio è responsabile anche verso i terzi nel momento in cui questi vengano danneggiati dalla sua attività negligente. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 19848/2024, che ha accolto il ricorso de soggetto che si era rivelato il legittimo proprietario di un bene immobile oggetto di compravendita tra terzi.
Al pubblico ufficiale si contestava di non aver messo in atto le dovute attività di accertamento delle dichiarazioni rese dalle parti. I giudici di merito affermavano che non rientrasse tra i doveri del notaio quello di verifica dei documenti.
Tuttavia, il Palazzaccio riscontra il mancato rispetto della diligenza qualificata richiesta al professionista nella stipula degli atti pubblici, e quindi non poteva escludersi una suo dovere risarcitorio per il danno causato al legittimo proprietario dell'immobile riconducibile a responsabilità extracontrattuale. Questa si configura in quanto il ricorrente aveva risentito dei danni conseguenti ricollegabili:
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alla rilevante conseguenza di non aver potuto stipulare l'atto pubblico di vendita;
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al non aver potuto godere del possesso legittimo dello stesso in virtù della stipula dell'atto pubblico confermativo della scrittura privata;
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all'essere stato costretto a intraprendere un'azione per ottenere una sentenza di accertamento dell'atto di vendita in suo favore.
I giudici di Piazza Cavour richiamano precedenti orientamenti giurisprudenziali che vedono la cosiddetta responsabilità da «contratto sociale» soggetta alle regole di quella contrattuale anche in assenza di un vincolo negoziale tra danneggiante e danneggiato, configurabile quando il pregiudizio sia derivato dalla violazione di specifiche regole di condotta imposte dalla legge al fine di tutelare i terzi potenzialmente esposti ai rischi dell'attività svolta dal danneggiate.
Svolgimento del processo
1.Con atto di citazione notificato nell’aprile 2000, la società Ceramica Nuova D’A. s.p.a. in liquidazione, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Salerno, i germani D. A., F., As., M. e Ag., nonché S.S. per sentir dichiarare inefficace l’atto pubblico di vendita del 17 settembre 1999 per notaio R.T., con il quale i citati germani D. avevano venduto al suddetto S.S. il locale al piano seminterrato, ubicato in Salerno, identificato al NCEU al foglio 19, p.lla 116 sub 2, oltre che per sentir condannare l’acquirente al rilascio del menzionato bene.
A sostegno della proposta domanda la società attrice contestava che l’immobile fosse di proprietà dei venditori, deducendo che egli lo aveva acquistato dal fallimento della Ceramica M. D’A. & C. s.p.a. con decreto del competente Tribunale del 12 novembre 1985 e che l’indicato locale seminterrato era stato concesso in locazione, con contratto del 1° gennaio 1993, a E.D. , padre dei predetti germani D., poi deceduto, al quale era subentrata la moglie M.D.S., contratto che era stato, successivamente, dichiarato risolto con provvedimento giudiziale in relazione alla prima scadenza del 31 dicembre 1997, in conseguenza del quale era stata iniziata apposita procedura esecutiva per il suo rilascio.
Si costituivano in giudizio i convenuti D. che, oltre ad instare per la reiezione della domanda, eccepivano di aver acquistato per usucapione il locale oggetto di causa (proponendo, al riguardo, domanda riconvenzionale), rappresentando che quest’ultimo era stato concesso in uso ai loro genitori dalla citata società D’A. nel 1962 e che questi da allora ne avevano sempre goduto, possedendolo, possesso che si era, poi, trasferito ad essi convenuti.
L’altro convenuto S.S. rimaneva contumace.
Interveniva volontariamente in giudizio V.C., il quale deduceva di aver acquistato il locale cantina per cui era controversia, unitamente a suo fratello N., dalla società Nuova Ceramica s.p.a., mediante la stipula di scrittura privata del 1° luglio 1999, chiedendo, quindi, anch’egli la dichiarazione di inefficacia del suddetto atto pubblico per notaio R.T., con la conseguente condanna dei convenuti al rilascio dei beni.
2.Con separato atto di citazione, notificato il 28 luglio 2000, l’attrice del primo giudizio conveniva, altresì, il notaio R.T. per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni per responsabilità professionale nell’esercizio dell’incarico della stipula del citato atto pubblico di vendita del controverso locale.
In particolare, la richiesta condanna risarcitoria era da intendersi riferita ai danni che il suddetto notaio gli aveva arrecato per aver rogato il predetto atto pubblico con il quale i germani D., dichiarandosi proprietari per successione legittima dai propri genitori, avevano alienato il menzionato immobile al S.S., senza alcuna indicazione del titolo di provenienza e senza aver compiuto una necessaria valutazione di una serie di attività realizzate dagli alienanti in un breve lasso di tempo antecedente alla vendita, che avrebbero dovuto indurre il notaio stesso a verificare l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dai venditori.
Il citato notaio, costituitosi in giudizio, instava per il rigetto dell’avversa pretesa e chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa la Milano s.p.a. a titolo di manleva derivante dal contratto di assicurazione con la stessa concluso.
Detta società assicuratrice, costituendosi, invocava il rigetto della sua chiamata in causa, evidenziando, in ogni caso, l’esistenza di una franchigia del 10%.
Anche in questo secondo giudizio spiegava intervento volontario il V.C., il quale, deducendo di aver acquistato la cantina in oggetto dalla Nuova Ceramica D’A., chiedeva il risarcimento dei danni da parte del citato notaio (che aveva rogitato il suddetto atto), in solido con la Compagnia assicuratrice che copriva il suo rischio professionale, per non aver potuto stipulare il contratto definitivo di vendita e non aver potuto occupare l’immobile per effetto della indicata vendita ostativa effettuata dai D. al S.S., il cui atto – stipulato il 17 settembre 1999 - era stato prontamente trascritto il successivo 29 settembre 1999.
3.Riuniti i due giudizi, all’esito dell’espleta istruzione probatoria, l’adito Tribunale di Salerno, con sentenza n. 1094/2014, accoglieva le domande attoree e dell’interventore V.C. relative alla dichiarazione di inefficacia dell’atto pubblico di compravendita del 17 novembre 1999 stipulato per notaio R.T., con condanna dei convenuti D.-S.S. al rilascio del locale in questione in favore del V.C.; respingeva la domanda riconvenzionale di usucapione avanzata dai D.; rigettava la domanda del V.C. diretta all’ottenimento del risarcimento dei danni relativi alla dedotta occupazione illegittima dell’immobile, nonché la domanda risarcitoria formulata nei confronti del notaio R.T..
4.Contro la citata sentenza di primo grado proponeva appello il V.C. chiedendo che i convenuti germani D. e S.S. venissero dichiarati tenuti al risarcimento dei danni e condannati, unitamente al notaio R.T. e alla Compagnia Milano s.p.a., al pagamento degli stessi, oltre ad invocare la riforma della decisione del Tribunale con riferimento alla sua condanna al pagamento delle spese di lite.
Nella costituzione di tutte le parti appellate, la Corte di appello di Salerno, con sentenza n. 610/2019 (pubblicata il 7 maggio 2019), rigettava il gravame con condanna del V.C. al pagamento delle spese del grado in favore degli appellati, salvo compensarle limitatamente al rapporto processuale instauratosi tra lo stesso appellante e l’appellata Invitalia Partecipazione s.p.a.
A fondamento dell’adottata pronuncia, la Corte salernitana, nell’esaminare i cinque motivi di appello, rilevava, innanzitutto, l’infondatezza dei primi due, condividendo il ragionamento del primo giudice in virtù del quale la domanda risarcitoria non poteva essere accolta, non essendo stati allegati danni non patrimoniali (oltretutto richiesti solo con la comparsa conclusionale), che il mancato uso della cantinola non poteva ritenersi in re ipsa, necessitando quantomeno l’allegazione del suo possibile utilizzo e che – trattandosi di un vano di soli 50 mq circa – non sussistevano le condizioni per far luogo, in proposito, a ragionamenti presuntivi.
La Corte di appello ravvisava l’infondatezza anche delle altre censure, confermando – in merito - le statuizioni del Tribunale, con le quali era stata esclusa ogni responsabilità del notaio R.T. nella stipula della compravendita - tra i D. e il S.S. - del locale dedotto in controversia, atteso che il notaio – nella qualità – non ha, in generale, alcun obbligo di accertare la veridicità delle dichiarazioni rese dalle parti nell’atto pubblico e che quest’ultimo fa fede fino a querela di falso solo relativamente alla provenienza del documento redatto dal pubblico ufficiale e alla provenienza delle dichiarazioni delle parti, per cui l’atto non poteva considerarsi nullo e che nessuna collusione tra le parti e il notaio era rimasta provata, così come non erano state riscontrate possibili negligenze in capo allo stesso notaio.
Infine, la Corte territoriale ravvisava la legittimità della sentenza impugnata anche in ordine alla regolazione delle spese processuali.
5.Avverso la citata sentenza del Tribunale di Salerno e la suddetta sentenza della Corte di appello di Salerno, V.C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, di cui i primi due riferiti alla decisione di primo grado, e i successivi tre rivolti alla sentenza di appello.
Hanno resistito, con distinti controricorsi, i germani D., S.S. e il notaio R.T., nel mentre le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
I difensori del ricorrente principale e del controricorrente S.S. hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1.Con il primo motivo (di “cassazione parziale”, così denominato dal ricorrente), formulato avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Salerno n. 1094/2014, il V.C. ha denunciato – ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 4 e 5, c.p.c. – la sua nullità per non aver ammesso i mezzi istruttori su un fatto decisivo della controversia, ovvero sulla circostanza che l’atto di compravendita stipulato per notaio R.T. era da intendersi simulato, poiché il S.S. all’epoca era fidanzato con R.S., figlia di D. As., per cui era perfettamente a conoscenza dell’alienità del bene in capo ai presunti venditori; con la stessa doglianza il ricorrente lamenta la mancata ammissione – del tutto immotivata - da parte del Tribunale di c.t.u., anche per la quantificazione dei danni dallo stesso patiti.
2.Con il secondo motivo proposto sempre avverso la sentenza di primo grado, il ricorrente ha dedotto – ancora ai sensi dell’art. 360, comma 1,
nn. 4 e 5, c.p.c. – la nullità di detta sentenza per aver il giudice omesso di provvedere sulle richieste istruttorie dal medesimo formulate con le memorie ex art. 184 c.p.c.
3.Con il primo motivo riferito alla sentenza di appello, il ricorrente ha prospettato – avuto riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056, 1223 e 1226 c.c. in relazione all’art. 2043 c.c., per non aver la Corte di appello liquidato il danno conseguente all’accertamento del fatto illecito commesso dai germani D. e da S.S., affermando - ma erroneamente – che il danno da mancato uso della cantinola non avrebbe potuto ritenersi sussistente in re ipsa, essendo necessario che esso V.C. avesse allegato quantomeno l’utilizzo che ne era possibile.
4.Con il secondo motivo relativo all’impugnazione della sentenza di
appello, il ricorrente ha lamentato – con riguardo all’art. 360, comma 1,
n. 3, c.p.c. – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043, 1176 e 1474 c.c. in relazione agli artt. 2230 c.c. e 47, comma 2, della legge
n. 89/1913 per aver escluso la responsabilità del notaio R.T. che aveva rogitato l’atto pubblico di vendita del 17 settembre 1999 in favore del S.S., omettendo – senza alcuna dispensa ad opera delle parti - di compiere le visure ipocatastali necessarie volte ad accertare quanto dichiaratogli per non danneggiare i terzi e per non aver tenuto nel debito conto le circostanze nelle quali fu stipulato il rogito, “ricolme” di indizi sulla sussistenza di vizi relativa alla provenienza del bene che ne costituì l’oggetto, avuto riguardo, in particolare, alla mancata verifica della sussistenza di un legittimo titolo petitorio in capo ai D..
In particolare, il ricorrente ha inteso dedurre che, all’art. 1 dell’atto
pubblico, il notaio ebbe ad attestare che il bene oggetto di compravendita era pervenuto alla parte venditrice per 2/3 a seguito di successione legittima al padre dei convenuti D. (E.) apertasi il 15 maggio 1996 (come da denuncia di successione registrata a Salerno il 13.09.1999) e per il residuo terzo in virtù di successione della di loro madre M. D., apertasi il 25 giugno 1998 (come da denuncia di successione registrata lo stesso 13.09.1999), denunce – aventi, peraltro, natura prettamente fiscale - entrambe non trascritte e presentate 4 giorni prima della stipula dell’atto che aveva ad oggetto un unico bene coincidente con la cantinola poi dedotta in causa e che non era stata mai dichiarata fino al quel momento. Inoltre, i certificati catastali allegati alle suddette successioni riportavano che la variazione catastale era avvenuta pochi giorni prima (ovvero il 10.09.1999), peraltro con indicazione della ditta precedente e senza che risultasse un apposito atto di “passaggio” tra l’attrice e i genitori del D..
5.Con il terzo ed ultimo motivo relativo alla sentenza di appello, il ricorrente ha prospettato – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24, comma 1, Cost. – per essere stato condannato dalla Corte di appello al pagamento delle spese giudiziali, malgrado il diritto oggetto della sua domanda (fatto valere fin dal primo grado con intervento volontario) fosse da ritenersi pienamente accertato.
6.Rileva il collegio che il primo e secondo motivo - di “cassazione parziale” - relativi all’impugnazione della sentenza di primo grado sono all’evidenza inammissibili, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di ricorribilità “per saltum” e dovendo le relative censure essere proposte in sede di appello, con conseguente preclusione della loro formulazione direttamente in sede di ricorso per cassazione.
7.Il terzo motivo – corrispondente al primo riferito alla sentenza di appello – è fondato.
Osserva il collegio che la sentenza di appello (come già quella di primo grado) ha rigettato la pretesa risarcitoria prospettata dall’odierno ricorrente da mancato godimento e sfruttamento della cantinola occupata da terzi, rilevando che “sebbene i fatti potessero aver causato danno all’interventore, tuttavia esso non poteva essere liquidato attesa la genericità della domanda e finanche la mancata allegazione del possibile uso della cantinola” (richiamando alcuni precedenti della giurisprudenza di questa Corte e, specificamente, Cass. nn. 13071/2018 e Cass. n. 31233/2018).
Senonché, in concreto, per quanto riportato anche nello svolgimento del motivo, il danno da illegittima occupazione di terzi - durante tutto il tempo che il V.C. ha dovuto impiegare per provare il suo legittimo titolo di proprietà sulla cantinola (e l’illegittima detenzione da parte del S.S.), avendo acquistato il bene dall’effettiva parte proprietaria, nel mentre, in precedenza, aveva costituito oggetto di compravendita inefficace tra i germani D., pur consapevoli della proprietà altrui, e S.S. - era stato allegato (sicuramente, quantomeno, come danno patrimoniale) e la sua quantificazione si sarebbe potuta ricondurre al parametro del canone locativo, essendo stata manifestata l’intenzione, da parte del V.C., di adibirla a struttura ricettiva o ad altro uso.
Quindi, in linea con la giurisprudenza di questa Sezione civile e poi in conformità ai principi stabiliti dalle Sezioni unite, con la sentenza n. 33645/2022, il “danno” da occupazione illegittima è da ritenersi “presunto” (e, quindi, risarcibile ex se, discendendo fisiologicamente dalla perdita della disponibilità del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, e dalla impossibilità di conseguire l'utilità da esso ricavabile), con conseguente inversione dell’onere probatorio nel senso che, una volta allegato dal proprietario il danno, è l’occupante abusivo a dover riscontrare che il proprietario non ha ricevuto alcun pregiudizio in relazione al possibile godimento del bene (cfr. anche Cass. n. 10823/2015, Cass. n. 20545/2018, Cass. n. 21239/2018).
E’ da considerarsi, quindi, errata l’applicazione nel caso di specie della pregressa giurisprudenza di legittimità (ormai da intendersi superata) – alla quale si sono richiamati entrambi i giudici di merito – secondo la quale il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente "in re ipsa" e coincidente con l'evento, che è viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., si tratterebbe pur sempre di un danno-conseguenza, sicché il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti.
Diversamente, invece, a seguito dell’illustrato sviluppo della giurisprudenza di questa Corte, la doglianza in esame coglie nel segno e, a tal proposito, vanno affermati i seguenti principi di diritto ai quali il giudice di rinvio dovrà uniformarsi:
a)nel caso di occupazione illegittima di un immobile, il danno subito dal proprietario, essendo collegato all'indisponibilità di un bene normalmente fruttifero, è oggetto di una presunzione relativa, che onera l'occupante della prova contraria dell'anomala infruttuosità di quello specifico immobile, non potendo, in caso di mancato superamento di tale presunzione, non essere riconosciuto in favore del legittimo proprietario;
b)nell’ipotesi di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chiede il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato.
8.E’ fondato anche il quarto motivo (il secondo rivolto contro la sentenza di appello).
Va evidenziato che sulla questione relativa alla configurabilità di una possibile responsabilità propria del notaio nell’operazione complessiva rappresentata con la descrizione della vicenda fattuale la motivazione della sentenza di appello è sostanzialmente apodittica ed, in ogni caso, non ha preso in piena considerazione i vizi denunciati in proposito con l’atto di appello.
Si è con essa affermato (v. pag. 6) che l’allegazione – da parte dell’odierno ricorrente - del mancato svolgimento, da parte del notaio R.T., delle attività accessorie e successive necessarie e la mancata disamina degli atti di provenienza prodotti dalla parte alienante senza l’effettuazione delle opportune visure non comportava una contrapposizione alla motivazione del primo giudice, con la quale si era ritenuto che il citato notaio non aveva alcun obbligo di accertare la veridicità delle dichiarazioni rese dalle parti nell’atto pubblico e che quest’ultimo faceva fede fino a querela di falso solo relativamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo aveva rogato, per cui l’atto stesso non era di per sé nullo né alcuna collusione tra le parti e la professionista era emersa.
Senonché, è facile osservare che – in tal modo – la Corte di appello (come già il Tribunale) si è limitata ad attestare quali siano i limiti della fidefacienza dell’atto pubblico notarile (come, del resto, previsto in via generale dall’art. 2700 c.c.).
Tuttavia, nella fattispecie dedotta in giudizio, l’attuale ricorrente aveva inteso addebitare al notaio R.T. un difetto di diligenza qualificata circa l’accertamento della provenienza della proprietà a monte del bene oggetto di compravendita e delle risultanze emergenti dai pubblici registri che avrebbero potuto ledere anche i diritti di terzi (come, per l’appunto, quelli dello stesso V.C.), senza che, peraltro, il notaio avesse ottenuto alcuna dispensa al riguardo, in tal modo incorrendo in una inerzia quantomeno colposa idonea ad arrecare un danno di natura extracontrattuale a carico del terzo rimasto pregiudicato.
E’ utile ricordare che il secondo giudizio era stato instaurato dalla venditrice in favore del V.C. (nel quale quest’ultimo era poi intervenuto volontariamente, facendo proprie le pretese della sua alienante in dipendenza degli effetti negativi di cui assumeva aver risentito a causa della condotta del pubblico ufficiale) per sentir accertare la responsabilità professionale del notaio R.T. che aveva, senza effettuare alcuna verifica circa i titoli di provenienza (poiché erano state prodotte dai D. solo delle denunce di successione, come tali prive di idonea efficacia al riguardo) e procedere alle altre attività collaterali necessarie, rogitato – in data 17.09.1999 - l’atto di compravendita tra i germani D. e S.S..
Tutto ciò malgrado i D. non avessero (circostanza pacifica, tanto è vero che essi aveva invano chiesto di esserne divenuti proprietari del bene quali usucapienti) alcun titolo petitorio sulla cantinola (essendo soltanto aventi causa dell’originario conduttore – quindi mero detentore dell’immobile - in virtù di un contratto del 1° gennaio 1993, poi risolto).
E’ rimasto, altresì, incontestato che il bene era stato, nella precedente data del 1° luglio 1999, venduto dalla legittima proprietaria al V.C. con scrittura privata, che avrebbe dovuto essere poi consolidata nella forma dell’atto pubblico da stipulare e trascrivere entro e non oltre il
30 settembre 1999, nel mentre il precedente 17 settembre 1999 – come già rimarcato – era stato concluso il suddetto atto pubblico di vendita da parte dei germani D. (detentori senza titolo) ad un terzo (il S.S.), con trascrizione eseguita il successivo 29 settembre 1999, perciò pregiudizievole nei confronti del reale proprietario (ovvero dello stesso V.C.), non avendo lo stesso potuto godere del possesso della cantinola (che gli sarebbe stato trasferito simultaneamente alla stipula dell’atto pubblico, quale conseguente effetto della natura traslativa della compravendita) ed eventualmente disporre in modo fruttifero della stessa; poi, solo con la sentenza del Tribunale di Salerno adito, la n. 1094 del 2014 (quella di primo grado), era stata dichiarata l’inefficacia del citato atto di vendita del 17.9.1999 rogato dal notaio R.T. tra i D. e il S.S., con conseguente ordine di rilascio, a carico di questi ultimi, del locale a favore dell’interventore V.C. (pur venendo rigettata – come già evidenziato, ma illegittimamente - la domanda di quest’ultimo relativa al riconoscimento del risarcimento dei danni per l’occupazione illegittima da parte dei D. e del S.S. dal 1999 fino all’effettivo rilascio).
Orbene, stando così i fatti ed essendo stato riscontrato il mancato rispetto della diligenza qualificata che è richiesta al notaio nella stipula degli atti pubblici, non poteva essere esclusa – nella fattispecie - anche l’autonoma responsabilità risarcitoria del notaio R.T. nella determinazione del danno a carico del V.C., ancorché terzo rispetto all’atto, configurandosi, in proposito, un tipo di responsabilità del pubblico ufficiale riconducibile ad illecito extracontrattuale.
In generale, sul piano generale è risaputo (e la giurisprudenza di questa Corte è essenzialmente uniforme in tal senso: cfr., tra le tante, Cass. n. 24733/2007, Cass. n. 18244/2014 e Cass. n. 11296/2020; si veda anche Cass. SU n. 13617/2012, ancorché con riferimento alla rilevanza disciplinare della condotta del pubblico ufficiale) che per il notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e, più in generale, delle risultanze dei registri immobiliari attraverso la loro visura, costituisce, salvo espressa dispensa per concorde volontà delle parti, obbligo derivante dall'incarico conferitogli dal cliente e, quindi, fa parte dell'oggetto della prestazione d'opera professionale, poiché l'opera di cui è richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell'atto giuridico da rogarsi ed, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti partecipanti alla stipula dell'atto medesimo. Conseguentemente, l'inosservanza dei suddetti obblighi accessori da parte del notaio dà luogo a responsabilità ex contractu per inadempimento dell'obbligazione di prestazione d'opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità, e, stante il suddetto obbligo, non è ontologicamente configurabile il concorso colposo del danneggiato "ex" art. 1227 c.c.
E’ stato anche specificato che il danno risarcibile derivante da tale condotta del notaio non si identifica necessariamente col prezzo pagato dall'acquirente ma con la situazione economica nella quale il medesimo si sarebbe trovato qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione (v. la citata Cass. n. 18244/2014).
Tuttavia, i principi appena richiamati riguardano la configurazione della responsabilità del notaio nei confronti delle parti stipulanti l’atto (le quali, nel caso di specie, non avevano evidentemente motivo di lamentarsi di alcunché) che, pacificamente, si conforma come responsabilità contrattuale.
La questione che viene qui in rilievo consiste nel rispondere a se una eventuale responsabilità del notaio possa aversi anche in danno di possibili terzi pregiudicati dall’attività negligente del pubblico ufficiale nel rogitare un atto inter alios, che sia risultato inefficace tra questi ultimi (come, nel caso di specie, accertato con la sentenza di primo grado, confermata sul punto da quella della Corte di appello).
E’ evidente che, ove lo fosse, la stessa – come già posto in risalto – si atteggerebbe come responsabilità extracontrattuale.
Orbene, rileva il collegio che tale responsabilità si è venuta a configurare nella fattispecie dedotta nella presente controversia, in cui
– per quanto detto e per effetto di una condotta colposa del notaio causalmente connessa anche alla posizione del V.C. – quest’ultimo aveva risentito di danni conseguenti ricollegabili: - alla rilevante conseguenza di non aver potuto stipulare l’atto pubblico di vendita – successivo alla conclusione della relativa scrittura privata - del bene acquistato dal S.S. da parte dei germani D., privi di qualsiasi titolo petitorio, con immediata trascrizione pregiudizievole dello stesso, per quanto innanzi evidenziato; - per non aver potuto godere del possesso legittimo dello stesso in virtù della stipula dell’atto pubblico confermativo della scrittura privata; - per essere stato costretto – oltre a insistere, intervenendo volontariamente nel giudizio intentato dalla proprietaria-venditrice, nell’azione di inefficacia dell’atto concluso tra i D. e il S.S. – a intraprendere altra azione nei confronti della Nuova Ceramica D’A. al fine di ottenere, poi, una sentenza di accertamento degli effetti traslativi - quindi, in via giudiziale - dell’atto di vendita (concluso, in precedenza, nella forma della scrittura privata) in suo favore, al fine di dotarsi di un titolo idoneo alla trascrizione.
Del resto, la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che la cosiddetta responsabilità "da contatto sociale", soggetta alle regole della responsabilità contrattuale pur in assenza d'un vincolo negoziale tra danneggiante e danneggiato, è configurabile non in ogni ipotesi in cui taluno, nell'eseguire un incarico conferitogli da altri, rechi nocumento a terzi, come conseguenza riflessa dell'attività così espletata, ma - e a questo ulteriore principio di diritto dovrà uniformarsi il giudice di rinvio - quando il danno sia derivato dalla violazione di una o più precise regole di condotta (nella specie quelle del notaio violatrici degli obblighi di controllo e di verifica tipiche della diligenza qualificata esigibile da tale pubblico ufficiale), imposta dalla legge allo specifico fine di tutelare i terzi potenzialmente esposti ai rischi dell'attività svolta dal danneggiante, tanto più ove il fondamento normativo della responsabilità si individui nel riferimento dell'art. 1173
c.c. agli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico (cfr. Cass. n. 11642/2012 e Cass. n. 29711/2020).
Al giudice di rinvio è rimessa pure la valutazione di quantificazione dei relativi danni risentiti dal V.C., tenendo conto del principio prima ricordato – esportabile anche con riguardo alla sfera giuridica lesa del terzo - alla stregua del quale la misura di detti danni va parametrata alla situazione economica nella quale il medesimo si sarebbe trovato qualora il notaio avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione, in relazione alla cui valutazione lo stesso giudice di rinvio potrà ricorrere anche al criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c., come richiamato dall’art. 2056 c.c., che attiene al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale.
9.In definitiva, sulla scorta delle argomentazioni complessivamente svolte, previa dichiarazione di inammissibilità dei primi due motivi, vanno accolti il terzo e il quarto, con conseguente assorbimento del quinto che attiene alla contestazione della statuizione accessoria riguardante la condanna alle spese dell’odierno ricorrente, quale appellante, adottata con la sentenza impugnata.
La sentenza deve, quindi, essere cassata in relazione ai motivi ritenuti fondati e la causa va rimessa alla Corte di appello di Salerno che, oltre ad uniformarsi ai principi di diritto in precedenza enunciati, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo e quarto motivo del ricorso, dichiara inammissibili i primi due ed assorbito il quinto.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione.