
Svolgimento del processo
1. la Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha confermato la pronuncia di primo grado nella parte in cui aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato a M.R. dalla (omissis) per Roma in data 26.3.2019; dal punto di vista della tutela applicabile, pur confermando la risoluzione del rapporto ai sensi del comma 5 dell’art. 18 l. n. 300 del 1970, ha elevato la misura della indennità risarcitoria onnicomprensiva da dodici a diciotto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
2. la Corte, in sintesi, ha considerato che “certamente la condotta contestata alla dipendente, consistita nell’effettuare riprese fotografiche del posto di lavoro senza autorizzazione datoriale, nel procedere alla stampa di un considerevole numero di pagine in spregio al buon utilizzo delle risorse aziendali e nel non fornire al datore di lavoro alcuna spiegazione al riguardo, integra un’ipotesi di violazione degli obblighi di cui all’art. 220, 1° e 2° comma, del CCNL in atti, in quanto con tale comportamento la M.R. non ha adempiuto all’obbligo di osservare nel modo più scrupoloso i doveri di ufficio e di conservare diligentemente i materiali aziendali”; tuttavia, la Corte, condividendo l’opinione del Tribunale, ha ritenuto che “la condotta tenuta dalla lavoratrice non sia caratterizzata da una gravità tale da giustificarne il licenziamento ai sensi dell’art. 225 del CCNL, risultando pertanto sproporzionata tale sanzione”; in merito alla tutela applicabile la Corte ha, poi, argomentato che “i fatti addebitati alla lavoratrice, così come processualmente accertati, sono connotati da antigiuridicità e non risultano ricompresi nelle fattispecie per le quali la contrattazione collettiva prevede sanzioni conservative”, aggiungendo che “nel caso di specie non può operarsi alcuna <attività di sussunzione> della condotta contestata alla lavoratrice in una fattispecie formulata con clausola generale punibile con misure conservative; si tratta invero di un giudizio sulla gravità dei fatti addebitati e quindi sulla proporzionalità o meno della sanzione espulsiva”;
indi la Corte, in accoglimento del motivo di reclamo della lavoratrice relativo alla quantificazione dell’indennità risarcitoria, determinata dal Tribunale nella misura minima prevista dalla legge, “tenuto conto dell’anzianità lavorativa della M.R. (circa 16 anni) e delle caratteristiche anche dimensionali della Fondazione (che ha oltre 100 dipendenti)”, l’ha quantificata in misura pari a diciotto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
3. per la cassazione di tale sentenza nella parte in cui ha disconosciuto l’applicabilità della tutela prevista dal comma 4 dell’art. 18 novellato, ha proposto ricorso M.R. con quattro motivi; ha resistito l’intimata società con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a due motivi; ad esso ha resistito la M.R. con controricorso;
entrambe le parti hanno comunicato memorie;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
Motivi della decisione
1. i motivi del ricorso principale possono essere sintetizzati come segue;
1.1. il primo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione all’art. 132 c.p.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di fornire una motivazione idonea a comprendere le ragioni, e dunque, l’iter logico, che l’ha portata a ritenere antigiuridiche le condotte ascritte alla ricorrente;
1.2. il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 220, commi 1 e 2, del CCNL del Terziario del 18.7.2008, anche in relazione agli artt. 1362 e ss. c.c.;
1.3. col terzo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 5 L. 300/70 e dell’art. 225 del CCNL Terziario del 18.07.2008, avendo la Corte d’Appello di Roma erroneamente statuito che nel caso di specie dovesse trovare applicazione la tutela di cui all’art. 18, comma 5 L. 300/70 in luogo di quella di cui al comma 4 del medesimo articolo; si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto di non poter sussumere la fattispecie concreta nell’ambito delle fattispecie, delineate dal CCNL di riferimento con clausola generale, per le quali è prevista l’applicazione della sanzione conservativa; tra queste, in particolare, si annovera l’art. 225 del CCNL Terziario per il quale è punito con la sanzione conservativa della multa il lavoratore che “esegua con negligenza il lavoro affidatogli”; si argomenta che le condotte ascritte alla M.R., in quanto ritenute dalla Corte territoriale una violazione non grave degli obblighi di cui all’art. 220 commi 1 e 2 del CCNL, sono tali da essere ricondotte ad una esecuzione negligente dell’attività lavorativa punita dall’art. 225 del medesimo CCNL con sanzione conservativa; si sostiene che l’attività di riconduzione della fattispecie in questione nell’ambito della previsione di cui all’art. 225 del CCNL non importa, inoltre, un giudizio sulla gravità dei fatti e, dunque, di proporzionalità, cosi come sostenuto dalla sentenza gravata, trattandosi invero, anche in questo caso, di un’attività di sussunzione della fattispecie astratta in quella concreta;
1.4. il quarto motivo del ricorso principale denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla domanda della lavoratrice rivolta a censurare il comportamento della Fondazione la quale avrebbe intrapreso due procedimenti disciplinari aventi ad oggetto i medesimi addebiti violando il principio del ne bis in idem oltre che l’art. 240 del CCNL Terziario del 30.07.2019, per aver adottato il licenziamento oltre il termine previsto dalla predetta norma;
2. con il primo motivo del ricorso incidentale, la società denuncia: “art. 360 n. 3 c.p.c. – violazione dell’art. 2106 e 2119 c.c. – omessa motivazione e contraddittorietà della stessa”; si lamenta che nella pronuncia resa in sede di opposizione dal Tribunale, così come in quella della Corte di Appello, i giudici avrebbero trascurato i precedenti disciplinari della M.R., invece valorizzati dal giudice della fase sommaria; si assume che ciò rappresenterebbe violazione sia dell’art. 2106 c.c. che dell’art. 2119 c.c.; si critica poi la sentenza impugnata per avere ritenuto “come elemento a carico della Fondazione […] il fatto che non fosse stata contestata alla ricorrente, unitamente alle altre condotte alla stessa addebitate, anche la sottrazione indebita di documenti”, sostenendo che ciò avrebbe prodotto “riflessi sulla logicità e non contraddittorietà della motivazione”;
con il secondo motivo si lamenta, invece, la violazione dell’art. 18, comma 5, L. n. 300/1970, contestando la misura dell’indennità riconosciuta dalla Corte territoriale;
3. secondo l’ordine logico-giuridico delle questioni deve essere esaminato il primo motivo del ricorso della società, che contesta la ritenuta illegittimità del licenziamento;
esso non può trovare accoglimento perché prospetta formalmente la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ma, nella sostanza, critica la Corte territoriale per avere considerato sproporzionata la sanzione espulsiva, con conseguente esclusione della giusta causa di recesso;
è sufficiente rammentare come, ancora di recente (Cass. n. 8642 del 2024), è stato ribadito che il giudizio di proporzionalità della sanzione è devoluto al giudice di merito (ex pluribus: Cass. n. 10621 del 2021; Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003); la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità, implicante inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell'essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (in termini v. Cass. n. 14811 del 2020); tale pronuncia ribadisce, poi, che in caso di contestazione circa la valutazione sulla proporzionalità della condotta addebitata – che è il frutto di selezione e di valutazione di una pluralità di elementi – la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non solo non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma con la nuova formulazione del n. 5 dell'art. 360, deve denunciare – beninteso, entro i limiti della cd. “doppia conforme” – l'omesso esame di un fatto avente, ai fini del giudizio di proporzionalità, valore decisivo, nel senso che l'elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 20817 del 2016);
non sono certamente tali i precedenti disciplinari, non contestati quali recidiva, che rappresentano al più uno degli elementi da valutare ai fini dell'integrazione della giusta causa di recesso, che, come noto, sono molteplici (gravità dei fatti addebitati, portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, circostanze in cui sono state commessi, intensità dell’elemento intenzionale, etc.);
per il resto, il motivo denuncia una radicale contraddittorietà della motivazione chiaramente insussistente, non ravvisando il Collegio alcun contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili e non è sufficiente a determinare il vizio radicale della nullità della sentenza né una eventuale insufficienza motivazionale, né, tanto meno, la circostanza che la medesima non soddisfi le aspettative di chi è rimasto soccombente;
4. passando ad esaminare il ricorso principale della lavoratrice, con motivi che tendono tutti ad ottenere una maggiore tutela rispetto a quella riconosciuta dai giudici del merito, deve essere accolto il terzo motivo, con conseguente assorbimento degli altri;
infatti, la sentenza impugnata sul punto non è conforme al principio di diritto secondo cui: “in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18 commi 4 e 5 della legge n. 300 del 20 maggio 1970, come novellata dalla legge n. 92 del 28 giugno 2012, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato restando nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo.” (Cass. n. 11665 del 2022, a precisazione di quanto in precedenza ritenuto da Cass. n. 12365 del 2019; in conformità al principio più recente v.: Cass. n. 20780 del 2022; Cass. n. 13064 del 2022; Cass. n. 13065 del 2022; da ultimo: Cass. n. 95 del 2024);
in particolare, Cass. n. 13744 del 2022 ha ricostruito proprio il quadro dei provvedimenti disciplinari stabilito dal CCNL per i dipendenti di aziende del terziario distribuzione e servizi del 18 luglio 2008, sancendo che il comportamento non grave di un lavoratore - che cioè non attinga a quel grado di gravità di violazione degli obblighi di cui all'art. 220, 1° e 2° comma, che giustifica il licenziamento disciplinare ai sensi dell’art. 225 dello stesso CCNL – “ben può essere sussunto nell’ipotesi, prevista dall’art. 220, secondo comma del CCNL citato, del lavoratore che <esegua con negligenza il lavoro affidatogli>: e pertanto espressa con norma elastica, sanzionata in via conservativa con la multa, nei limiti di attuazione del principio di proporzionalità già eseguito dalle parti sociali attraverso detta previsione”;
poiché anche nel caso sottoposto all’attenzione del Collegio la Corte territoriale ha già accertato che la condotta contestata alla M.R. “integra un’ipotesi di violazione degli obblighi di cui all’art. 220, 1° e 2° comma, del CCNL in atti, in quanto con tale comportamento la M.R. non ha adempiuto all’obbligo di osservare nel modo più scrupoloso i doveri di ufficio e di conservare diligentemente i materiali aziendali”, sebbene non “caratterizzata da una gravità tale da giustificarne il licenziamento”, detta condotta andava sussunta tra quelle “punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”, con conseguente operatività della tutela stabilita dal comma 4 dell’art. 18 l. n. 300 del 1970;
5. conclusivamente, respinto il primo motivo del ricorso incidentale della società, deve essere accolto il terzo motivo del ricorso principale della lavoratrice, con assorbimento sia degli altri motivi del ricorso principale sia del secondo motivo del ricorso incidentale; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, che si uniformerà al principio innanzi richiamato e provvederà anche sulle spese;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della Fondazione, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale, rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbiti gli altri motivi di entrambi i ricorsi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.