
- L'imputato, mediante ricorso, chiede alla Suprema Corte l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello, la quale confermava la responsabilità dell'uomo per i reati ascritti.
- il fatto che la condanna si basa solo sulla testimonianza della minore, la quale presenta contraddizioni significative.
- il mancato riconoscimento dell'ipotesi di minore gravità di cui all'art. 609-quater, c. 6, c.p..
Quanto, invece, alla seconda doglianza, i Giudici del gravame hanno escluso la ricorrenza dell'ipotesi attenuata della minore gravità, valutando globalmente il fatto ed attribuendo valenza ostativa alla reiterazione degli atti sessuali, alle modalità degli stessi ed all'età della persona offesa, undicenne all'epoca dei fatti.
|
La Corte precisa che «la circostanza attenuante prevista dall'art. 609-quater cod. pen. per i casi di minore gravità deve considerarsi applicabile, al pari dell'omologa prevista dall'art. 609-bis comma terzo stesso codice, in tutte quelle fattispecie in cui - avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell'azione - sia possibile ritenere che la libertà sessuale personale della vittima sia stata compressa in maniera non grave (Sez.3, n.965 del 26/11/2014, dep.13/01/2015, Rv.261635; Sez.4, n.18662 de! 12/04/2013, Rv.255930), mentre ai fini del diniego deve ritenersi sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, dep.22/02/2016, Rv. 266272; Sez. 3, n. 21623 del 15/04/201515, Rv. 263821). E si è anche precisato che la reiterazione degli abusi sessuali è sintomatica dell'intensità del dolo in capo all'imputato ed è espressione di una compressione non lieve della libertà sessuale della vittima, non compatibile con un giudizio di minore gravità del fatto». |
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza (ud. 27 giugno 2024) 7 agosto 2024, n. 32132
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 06/11/2023, la Corte di Appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza emessa in data 14/12/2021 dal Gup del Tribunale di Ancona, confermata l'affermazione di responsabilità di A.A. per i reati di cui agli artt. 609-quater e 600-ter comma 1 n. 1 cod. pen. e la relativa condanna alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 24.000,00 di multa, limitava la disposta confisca ai due telefoni cellulari di proprietà dell'imputato in sequestro.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per i reati contestati.
Argomenta che la pronuncia di condanna per il reato di cui all'art. 609-quater cod. pen. era stata basata sulla sola testimonianza della minore, persona offesa, le cui dichiarazioni erano contraddistinte da numerose e rilevanti incongruenze; lamenta che la Corte di Appello aveva aderito in maniera acritica al narrato accusatorio della persona offesa, senza sottoporre le stesse al doveroso vaglio critico e senza considerare che la minore aveva mentito su circostanza importante, l'aver avuto un rapporto sessuale completo con l'imputato, circostanza smentita a seguito di visita medica, nonché che la predetta, in sede di incidente probatorio, aveva rinviato a "quello che detto mia madre", così evidenziando un condizionamento esterno; la motivazione della Corte di Appello era carente ed illogica anche nella parte in cui aveva dato rilievo a poche fotografie riguardanti solo la nudità della minore e non atteggiamenti equivoci con l'imputato; quanto alla pronuncia di condanna per il reato di cui all'art. 600-ter cod. pen., la Corte di Appello non aveva considerato che nelle foto la minore indossava sempre la stessa maglietta e che, quindi, si poteva essere in presenza di una riproduzione automatica in memoria di foto uguali, scattate tutte in un giorno o in un periodo ristretto; il fatto poteva essere riqualificato ai sensi dell'art. 600-quater cod. pen. o riconosciuta un'ipotesi attenuata essendo la quantità delle immagini esigua.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell'ipotesi di minore gravità di cui all'art. 609-quater, comma 6, cod. pen.
Lamenta che la Corte territoriale aveva omesso di specificare gli effetti dell'asserita condotta sulla sfera psicologica ed emotiva della minore, così disattendendo i principi giurisprudenziali affermati in materia di riconoscimento dell'attenuante in parola.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Lamenta che la Corte di Appello aveva denegato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche riproducendo la motivazione del Giudice di prime cure e senza tener conto di tutti gli elementi di segno positivo in capo all'imputato, quali l'incensuratezza e il positivo contegno processuale.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Le censure proposte non soltanto ripropongono i medesimi motivi articolati con l'atto di appello, e motivatamente respinti dalla Corte territoriale, senza alcun confronto argomentativo con la sentenza impugnata (ex plurimis, Sez. 3, n. 31939 del 16/04/2015, Falasca Zamponi, Rv. 264185; Sez. 6, n. 13449 del 12/02/2014, Kasern, Rv. 259456), ma si connotano come doglianze eminentemente di fatto, riservate al merito della decisione.
Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di violazione di legge e vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
Nei motivi proposti, in sostanza, si espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, Rv. 235507; Sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, Rv. 235508).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il Giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6,n.27429 del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).
La Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4 08/04/2010 n. 15081; Sez. 6 n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989; Sez. 5, n,6754 del 07/10/2014, dep. 16/02/2015, Rv. 262722).
Nel ribadire rammentare che la Corte di Cassazione è Giudice della motivazione, non già della decisione, come si desume da una lettura sistematica degli artt. 606 e 619 cod. proc. pen., ed esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va, comunque, evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà.
La Corte territoriale, con apprezzamento di fatto immune da censure, e dunque insindacabile in sede di legittimità, ha confermato l'affermazione di responsabilità basata sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, condividendo la valutazione del primo Giudice e dando adeguata risposta alle censure mosse con l'atto di appello (pp 5,6,7,8, 9; la Corte di Appello ha rimarcato la precisione e coerenza delle dichiarazioni, l'assenza di intento calunnioso, la genesi del casuale del disvelamento degli abusi, la presenza di riscontri oggettivi al narrato accusatorio).
Giova ricordare che il Giudice può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità penale anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016, Sez.5, n. 1666 del 08/07/2014) e che, qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione, posto che la loro funzione è sostanzialmente quella di asseverare esclusivamente ed in via generale la sua credibilità soggettiva (Cfr. Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, Rv. 275312-01).
Ed è acquisizione pacifica che la valutazione circa l'attendibilità della persona offesa involge un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva del dichiarante e sulla attendibilità intrinseca del racconto, che si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa; tale giudizio può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando-come avvenuto nella specie - il Giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (Cfr. Sez.2, n.7667 del 29/01/2015, Rv.262575; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Rv. 239342; Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006, Rv. 235578).
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
I Giudici di Appello hanno escluso la ricorrenza dell'ipotesi attenuata della minore gravità, valutando globalmente il fatto ed attribuendo valenza ostativa alla reiterazione degli atti sessuali, alle modalità degli stessi ed all'età della persona offesa (undicenne all'epoca dei fatti).
La motivazione è adeguata e priva di vizi logici e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimità.
Va ricordato che questa Corte ha affermato che la circostanza attenuante prevista dall'art. 609-quater cod. pen. per i casi di minore gravità deve considerarsi applicabile, al pari dell'omologa prevista dall'art. 609-bis comma terzo stesso codice, in tutte quelle fattispecie in cui - avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell'azione - sia possibile ritenere che la libertà sessuale personale della vittima sia stata compressa in maniera non grave (Sez.3, n.965 del 26/11/2014, dep.13/01/2015, Rv.261635; Sez.4, n.18662 de! 12/04/2013, Rv.255930), mentre ai fini del diniego deve ritenersi sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, dep.22/02/2016, Rv. 266272; Sez. 3, n. 21623 del 15/04/201515, Rv. 263821). E si è anche precisato che la reiterazione degli abusi sessuali è sintomatica dell'intensità del dolo in capo all'imputato ed è espressione di una compressione non lieve della libertà sessuale della vittima, non compatibile con un giudizio di minore gravità del fatto (Sez.3, n. 4960 del 11/10/2018, dep.01/02/2019, Rv.275693-01; Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, dep. 22/02/2016, Rv. 266272-01).
3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, Rv. 195339; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Rv. 260610).
Inoltre, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, il Giudice nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti; è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione, individuando, tra gli elementi di cui all'art.133 cod. pen., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell'imputato (Sez.3, n.28535 del 19/03/2014, Rv.259899; Sez.6, n.34364 del 16/06/2010, Rv. 248244; Sez. 2, 11 ottobre 2004, n. 2285, Rv. 230691).
L'obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il Giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purché congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419).
Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione congrua e logica, ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche, dando rilievo ostativo alle modalità del fatto (particolare spregevolezza ed odiosità del fatto posto in essere da persona nei cui confronti la minore nutriva sentimenti di affetto), il comportamento successivo tenuto dall'imputato, che raccomandava il silenzio alla minore, suscitando in lei particolare timore, e che le intimava anche di fare foto erotiche per lui.
La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è, pertanto, giustificata da motivazione congrua ed esente da manifesta illogicità, che è insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419).
4. Va, infine, rilevato che, nelle more del giudizio, è intervenuta la sentenza n. 91/2024 della Corte Costituzionale, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 600-ter, primo comma, numero 1) cod. pen., nella parte in cui non prevede, per il reato di produzione di materiale pornografico mediante l'utilizzazione di minori di anni diciotto, che nei casi di minore gravità la pena da essa comminata è diminuita in misura non eccedente i due terzi. Nella specie, deve darsi atto di come nella sentenza impugnata i Giudici di merito abbiano evidenziato la gravità della condotta, dando rilievo complessivo a plurimi elementi fattuali (modalità della condotta, età della minore, contenuto delle foto pedopornografiche), rilievo incompatibile con una valutazione di minore gravità del fatto.
5. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
6. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
7. Il ricorrente va, inoltre, condannato in base al disposto dell'art. 541 cod. proc. pen., in via generica, alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato; spetterà, poi, al Giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. n.115/2002 (Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, dep. 12/02/2020, Rv.277760-01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Appello Di Ancona con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. n. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.