Si tratta di un tema molto delicato anche perché il quadro sistematico delle tutele nel tempo è cambiato, come ha evidenziato il giorno precedente la sentenza in oggetto (21 agosto 2024) sempre la sezione lavoro, rimettendo alle Sezioni Unite la questione di massima importanza sulla ripetibilità dell'indennità di disoccupazione quando il lavoratore abbia ottenuto una sentenza di...
Svolgimento del processo
1.La Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che , per quanto interessa, aveva respinto la domanda di C.P. diretta ad ottenere la condanna dell’INPS al pagamento dell’indennità di disoccupazione ordinaria dalla domanda amministrativa presentata il 20.9.2011.
1.1.La Corte di merito ha evidenziato che il rapporto di lavoro del C.P. con la omissis si era pacificamente risolto con una conciliazione in sede sindacale nell’ambito della quale il C.P. aveva accettato il licenziamento e rinunciato alla reintegrazione nel posto di lavoro a fronte del pagamento della somma di € 50.000,00.
1.2.Ha sottolineato che era stato accertato che il licenziamento intimato dalla società era stato dichiarato illegittimo per motivi formali (mancato rispetto della procedura ex art. 7 dello Statuto dei lavoratori) e che la situazione di disoccupazione del lavoratore non era involontaria avendo questo consensualmente posto fine al rapporto sottoscrivendo la conciliazione in sede sindacale.
1.3.A tal fine, e per quanto ancora interessa, ha ricordato che non vi sarebbe alcuna differenza concettuale tra le dimissioni del lavoratore e l’accordo transattivo sottoscritto nel quale la determinazione unilaterale del lavoratore di risolvere il rapporto confluisce nell’accordo finalizzato a porre fine ad una lite.
2.Per la cassazione della sentenza propone ricorso C.P. affidato ad un unico motivo. L’INPS ha depositato procura.
Motivi della decisione
3.Con l’unico motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3, 4 e 5 c.p.c., dell’art. 34 comma 5 della legge 23 dicembre 1998 n. 448 e degli artt. 73, 74, 75, 76 e 77 del R.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827 convertito in legge 6 aprile 1936 n. 1155 per avere ritenuto che l’accordo transattivo del ricorrente con il datore di lavoro, avente ad oggetto la rinuncia alla reintegrazione nel posto di lavoro dietro pagamento di una somma di denaro, potesse essere di ostacolo all’accesso all’indennità di disoccupazione.
3.1.Rammenta di essere stato licenziato senza preavviso il 2 aprile 2009 e di aver ottenuto dal tribunale di Napoli una sentenza con la quale era stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento e disposta la reintegrazione nel posto di lavoro. Ricorda che, iniziata la procedura esecutiva per ottenere la reintegra ed il pagamento di quanto dovuto, in quella sede l’intera controversia era stata conciliata e, in cambio di una somma di denaro, aveva rinunciato ad essere reintegrato dal 31 luglio 2011 fatta salva, fino a quella data, la ricostruzione contributiva. Sostiene che, a decorrere dal 31 dicembre 1988, solo le dimissioni volontarie (non rassegnate per giusta causa) precludono l’accesso all’indennità di disoccupazione e che dunque aveva diritto a percepire l’indennità di disoccupazione - la cui domanda aveva presentato il 20 settembre 2011 successivamente alla conciliazione - a decorrere dalla data in cui si era iscritto nelle liste del centro per l’impiego, il 15 giugno 2009. Deduce che nessun rilievo può avere il fatto che il licenziamento era stato annullato solo per motivi formali e la sua accettazione in sede transattiva con rinuncia alla reintegrazione, seppur dietro pagamento di una somma di denaro, non integra la volontà di dimettersi alla quale si connette l’esclusione dell’indennità.
4.Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
4.1.Si controverte del fatto se la rinuncia alla reintegrazione formulata nell’ambito di un accordo transattivo con il quale le parti definiscono ogni controversia connessa al rapporto di lavoro sia di ostacolo all’erogazione dell’indennità di disoccupazione involontaria.
4.2.L’art. 34 della legge n. 448 del 1998, che disciplina i trattamenti pensionistici e di disoccupazione, al comma 5 dispone che successivamente al 31 dicembre 1998 la cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni non dà titolo alla concessione della indennità di disoccupazione ordinaria, agricola e non agricola, con requisiti normali di cui al regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1936, n. 1155, e successive modificazioni e integrazioni, e con requisiti ridotti di cui al decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n. 160, e successive modificazioni e integrazioni.
4.3.Con la sentenza n. 269 del 24 giugno 2002 la Corte costituzionale ha poi chiarito che le dimissioni per giusta causa comportano uno stato di disoccupazione involontaria e dunque non sono ricomprese nell'ambito di operatività del citato art. 34, comma 5 e non escludono la corresponsione della indennità ordinaria di disoccupazione.
4.4.In questa prospettiva si è ritenuto ad esempio che le dimissioni rassegnate dalla lavoratrice madre durante il periodo in cui esiste il divieto di licenziamento possono dar titolo all'indennità ordinaria di disoccupazione, agricola e non agricola (in questo senso lo stesso INPS con la circolare n. 128 del 2000). Così pure l’indennità è riconosciuta nel caso di una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro che sia però da ricondurre ad una notevole variazione delle condizioni di lavoro conseguente ad una cessione dell'azienda ad altre persone fisiche o giuridiche ovvero ad un trasferimento del dipendente ad altra sede della stessa azienda situata a notevole distanza dal luogo originario di lavoro o dalla residenza del lavoratore. Anche le dimissioni per motivi di salute possono integrare una causa oggettiva di improseguibilità del rapporto che determina uno stato di disoccupazione involontario ai sensi dell'art. 38 Cost., idoneo a fondare il diritto alla percezione della relativa indennità (cfr. Cass. 28/05/2015 n. 11051, v. tuttavia in senso contrario Cass. 18/05/2017 n. 12565).
4.5.In sostanza la perdita del diritto di percepire l'indennità di disoccupazione ordinaria prevista in caso di dimissioni opera ogni qualvolta il lavoratore rinunci spontaneamente al posto, pur avendo la possibilità di proseguire il proprio rapporto di lavoro e si è chiarito che si tratta di ipotesi che ricorre anche nel caso di risoluzione consensuale atteso che non vi è differenza fra la dichiarazione unilaterale di recesso e quella manifestata nell'ambito di un accordo consensuale sempre che l’ adesione alla proposta risolutiva non sia avvenuta in presenza di una giusta causa di recesso (cfr. Cass. 24/08/2016 n. 17303).
4.6.Orbene nel caso in esame la risoluzione del rapporto di lavoro è avvenuta in esito ad una volontaria adesione del lavoratore all’accordo conciliativo. Questi, come ricordato, era stato licenziato ed aveva visto il suo licenziamento dichiarato illegittimo e ricostituito ex tunc il rapporto per effetto della disposta reintegrazione nel posto di lavoro in precedenza occupato in applicazione dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 nel testo vigente al momento del licenziamento (2 aprile 2009) prima delle modifiche apportate dalla legge 28 giugno 2012 n. 92 (cfr. Cass. 10/03/1987 n. 2508).
4.7.La scelta di aderire alla conciliazione rinunciando alla già disposta reintegrazione è equiparabile ad una spontanea rinuncia al posto di lavoro che comporta, quale conseguenza della volontaria risoluzione del rapporto giudizialmente ricostituito, l’insussistenza del presupposto della disoccupazione involontaria, necessario per il riconoscimento dell’indennità azionata.
5.In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 1.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.