Svolgimento del processo
1. Con atto ritualmente notificato il 2 dicembre 2010, A.A. citò Banca Nazionale del Lavoro Spa (d'ora in avanti anche, breviter, BNL) innanzi al Tribunale di Salerno assumendo di aver subito prelievi fraudolenti, per complessivi Euro 5.725,06, dal proprio conto corrente n. (Omissis), acceso presso la filiale di S di quest'ultima, da imputarsi alla negligenza della convenuta consistita nella mancata adozione delle cautele idonee a scongiurare operazioni illecite da parte di terzi. Ne chiese, pertanto, la condanna al risarcimento dei danni patiti, quantificati in Euro 5.725,06 (o nella somma diversa ritenuta di giustizia), oltre rivalutazione ed interessi sulla sorte rivalutata dal dì del fatto al soddisfo.
1.1. Costituitasi BNL, che contestò l'avversa pretesa, l'adito Tribunale, con sentenza dell'11 aprile 2017, n. 1792, rigettò la domanda dell'attrice.
2. Il gravame promosso da quest'ultima contro questa decisione fu respinto dall'adita Corte di appello di Salerno, con sentenza del 9 luglio 2020, n. 893, pronunciata nel contraddittorio con BNL e così motivata: "Va innanzitutto precisato che il contenuto della querela, in quanto atto di parte, non ha alcuna valenza probatoria neppure in sede penale; da ciò consegue che l'affermazione dell'appellante secondo cui avrebbe sempre tenuto con sé (la carta), anche con i viaggi all'estero, è affermazione meramente apodittica, del tutto priva di riscontro probatorio, nulla rilevando, al riguardo, l'ordinanza del 04/12/2012, che, al di là del rilievo che effettivamente ineriva ad alcune circostanze pacifiche, era, al pari di qualsiasi ordinanza emessa in corso di causa, soggetta al regime generale della loro revocabilità con il provvedimento che decide fa causa. Dall'esame della difesa della banca di primo grado, quale risultante dal relativo fascicolo d'ufficio, emerge che l'assunto secondo cui il permanere continuo in capo all'attrice del possesso della carta fosse pacifico tra le parti con il conseguente esonero dalla prova relativa, ex art. 115 e 116 c.p.c., è infondato. Invero, la banca con la comparsa di costituzione, (...) non aveva in alcun modo riconosciuto tale circostanza essendosi limitata ad affermare che: "la carta sia stata, o meno, in possesso del titolare o che sia stata clonata è assolutamente indifferente allorquando si consideri che colui il quale ha eseguito il prelievo non poteva non conoscere il PIN che deve essere solo in possesso del titolare". Indi aveva aggiunto che molto probabilmente la carta poteva essere stata utilizzata da familiari con il suo consenso, previa comunicazione del PIN. In presenza di una tale impostazione difensiva, in nessun modo può dirsi riconosciuta la dedotta (circostanza). Al di là del rilievo che, in primo grado, l'appellante aveva posto a base della domanda un uso fraudolento della carta e non la sua clonazione, che solo avrebbe potuto ipotizzare la responsabilità della banca, va evidenziato e ribadito, sul punto, quanto già precisato dal Tribunale, secondo cui l'attrice aveva dedotto che la maggior parte dei prelievi erano avvenuti tra il (Omissis) ed il (Omissis) e che solo con l'atto di citazione aveva dedotto che fino al 25/01/2009 era stata fuori dall'Italia. Poiché dal timbro apposto al suo passaporto emergeva la data di ingresso nel paese straniero (Omissis) del (Omissis), non può che desumersi che i prelievi furono in massima parte eseguiti in un momento anteriore alla sua partenza, quando ancora si trovava in Italia, con elevato grado di probabilità, da familiari a conoscenza del codice segreto PIN. Da ciò discende l'infondatezza di quanto assunto con il libello introduttivo anche a prescindere dall'assenza della prova, che comunque gravava sull'attore, dell'intervenuta clonazione della carta. Esula dal tema decisionale fissato in primo grado, ed è irrilevante ai fini della soluzione della controversia, la deduzione che la banca aveva unilateralmente e di sua iniziativa rimborsato le poste relative alle ventitré transazioni illegittime successive alla comunicazione del 26/01/2009. Al di là del rilievo che la questione relativa all'operatività della Direttiva 2007/64/CE non era stata prospettata in primo grado, c'è l'ulteriore considerazione che ad essa è stata data attuazione, nel nostro ordinamento, (ove potesse ritenersi applicabile al caso di specie) solo con il decreto legislativo n. 11 del 27/01/2010, con la sua conseguente inapplicabilità alla vicenda de qua risalente, per espresso riconoscimento dell'appellante fin dall'atto introduttivo di primo grado, al (Omissis)".
3. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso A.A. , affidandosi ad undici motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.. Ha resistito, con controricorso, Banca Nazionale del Lavoro Spa
Motivi della decisione
1. I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) "Questione di legittimità costituzionale degli artt. 62-72 del D.L. n. 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98/2013, per contrasto con l'art. 106, comma 2, Cost. - Nullità della sentenza, ex art. 158 c.p.c., rilevante ex art. 360, comma 2, n. 4, c.p.c.". Si prospetta la incostituzionalità della legge n. 98/2013, artt. 62-72, relativa all'istituzione di giudici ausiliari della Corte d'Appello, per contrasto con l'art. 106, comma 2, Cost., in quanto norme che prevedono e regolano l'attribuzione a magistrato onorario ausiliario della corte predetta delle funzioni di giudice collegiale in luogo delle funzioni di giudice singolo come imposto dalla Costituzione. Di qui la eccepita nullità della sentenza ex art. 158 cod. proc. civ., in cui il giudice ausiliario componente il collegio giudicante è indicato come estensore è relatore;
II) "Nullità della sentenza per contrasto irriducibile della motivazione. Violazione ex art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., rilevante ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.". Si censura la sentenza impugnata per grave difetto motivazionale, posto che la corte territoriale dapprima ha affermato che un fatto (il possesso delle carte clonate) è pacifico, non ammettendo la prova articolata sul punto, e poi ha respinto la domanda ritenendo il medesimo fatto non provato;
III) "Nullità della sentenza per violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., rilevante ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.". Si deduce la nullità della sentenza per vizio motivazionale, evidenziandosi che la corte territoriale dapprima non ha provveduto sulle istanze istruttorie reiterate dall'appellante in sede di gravame e poi ha respinto la domanda in quanto non provata, senza considerare proprio la richiesta di prova articolata dalla ricorrente;
IV) "Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 163 c.p.c., rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.". Si ascrive alla corte distrettuale di avere ritenuto contestato il possesso, da parte dell'attrice, degli strumenti elettronici di pagamento allorquando era all'estero per le vacanze natalizie solo perché l'istituto di credito ha considerato il possesso medesimo circostanza "indifferente" essendo avvenuti i prelievi con la digitazione del PIN. Al contrario, il giudice d'appello avrebbe dovuto prendere atto che affermare che un fatto è indifferente non equivale certo a contestarlo, con ogni conseguenza in punto di onere della prova;
V) "Nullità della sentenza per violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., rilevante ex art, 360, comma 1, n. 4, c.p.c.". Viene dedotta l'apparenza della motivazione della sentenza impugnata perché la Corte d'Appello ha introdotto un'apodittica differenziazione tra uso fraudolento e clonazione della carta, assumendo che l'originaria attrice avrebbe contestato il primo e non la seconda (senza peraltro avvedersi che, in realtà, l'odierna ricorrente aveva allegato, fin dal libello introduttivo di lite, di aver subito la clonazione degli strumenti di pagamento). La corte, ancora, cade in un'irriducibile contraddizione allorquando dapprima afferma che soltanto la clonazione avrebbe fatto ricadere sulla banca l'onere della prova e poi rigetta la domanda per non avere l'attrice provato la clonazione (che un attimo prima ha ritenuto addirittura non dedotta in causa);
VI) "Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.", per aver la corte di merito fatto malgoverno delle presunzioni, avendo inferito dalla circostanza che alcuni prelievi erano avvenuti precedentemente al viaggio all'estero dell'attrice che gli stessi sarebbero stati compiuti dai suoi familiari in possesso del codice PIN;
VII) "Nullità della sentenza, ex art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., rilevante ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.", per avere la corte territoriale respinto la domanda di ristoro di numerosi prelievi non autorizzati sulle carte di pagamento dell'appellante (sulla carta bancomat, pure su quella rilasciata dalla banca dopo il blocco della prima, e sulla carta di credito) perché alcuni di questi erano stati eseguiti mentre la A.A. era in Italia (e non all'estero), senza considerare che i prelievi illeciti denunciati erano molteplici, che molti erano stati effettuati mentre la stessa era in Italia e che la circostanza che alcuni prelievi erano stati eseguiti mentre la titolare della carta era all'estero era stata rimarcata solo per corroborare la loro certa abusività;
VIII) "Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 1218 c.c., rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ", per avere la sentenza impugnata illegittimamente invertito l'onere della prova, gravando l'attrice della dimostrazione dell'avvenuta clonazione delle carte e della non riconducibilità ad ella delle operazioni contestate, prova, viceversa, di cui doveva considerarsi onerato l'istituto bancario;
IX) "Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.", per avere la corte distrettuale completamente omesso l'esame di due fatti (l'esecuzione di prelievi non autorizzati sulla carta bancomat rilasciata da BNL a seguito del blocco della prima e l'avvenuto ristoro di ulteriori ventitré prelievi illeciti intervenuti successivamente alla sentenza di primo grado e dedotti dall'attrice in appello) decisivi al fine di dimostrare l'inadeguatezza dei sistemi informatici dell'istituto di credito e la negligenza di quest'ultimo;
X) "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 60 della Direttiva 2007/64/CE, dell'art. 113 c.p.c. e dell'art. 1 delle Preleggi, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.", censurandosi la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l'odierna ricorrente aveva dedotto l'applicabilità della Direttiva comunitaria sugli strumenti elettronici di pagamento soltanto in secondo grado, in violazione del principio, noto come jura novit curia, secondo cui la qualificazione dei fatti, dei rapporti giuridici e l'applicazione della norma di diritto rientra nei poteri/doveri del giudice;
XI) "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 60 della Direttiva 2007/64/CE, con riferimento all'art. 288 TFUE, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.", contestandosi alla Corte d'Appello di avere ritenuto comunque inapplicabile la Direttiva dell'Unione Europea del 2007 per essere stata la stessa recepita nel nostro ordinamento soltanto nel 2010 (con il D.Lgs. n. 11/2010), in violazione del principio di conformità del diritto nazionale a quello comunitario (oggi eurounitario) che impone al giudice nazionale di applicare il diritto interno in maniera conforme alla direttiva europea ed alla ratio di quest'ultima, a nulla rilevando che la fonte comunitaria sia stata formalmente recepita successivamente ai fatti di causa.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
2.1. In proposito, infatti, è sufficiente richiamare il dictum della sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 2021 (secondo cui sono incostituzionali le norme che hanno previsto, come magistrati onorari, i giudici ausiliari presso le Corti d'appello. Le quali, tuttavia, potranno continuare ad avvalersi legittimamente dei medesimi giudici per ridurre l'arretrato fino a quando, entro la data del 31 ottobre 2025, si perverrà ad una riforma complessiva della magistratura onoraria nel rispetto dei principi costituzionali), alla cui esaustiva motivazione può farsi rinvio in questa sede ex art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ. (cfr. Cass. n. 8248 del 2024).
3. I motivi di ricorso dal secondo all'ottavo possono essere scrutinati congiuntamente perché chiaramente connessi. Essi si rivelano fondati nei limiti di cui appresso.
3.1. Giova premettere che, come ancora ribadito, in motivazione, da Cass. nn. 16448, 15033, 13621, 9807 e 6127 del 2024, la nuova formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 9 luglio 2020), ha ormai ridotto al "minimo costituzionale" il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 956 del 2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza'' della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti; Cass. nn. 20042 e 23620 del 2020; Cass. nn 395, 1522 e 26199 del 2021; Cass. nn. 27501 e 33961 del 2022) o di sua "contraddittorietà" (cfr. Cass. nn. 7090 e 33961 del 2022). Cass., SU, n. 32000 del 2022, ha puntualizzato, altresì, che, a seguito della riforma dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l'unica contraddittorietà della motivazione che può rendere nulla una sentenza è quella "insanabile" e l'unica insufficienza scrittoria che può condurre allo stesso esito è quella "insuperabile".
3.1.1. In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della decisione sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un'approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. nn. 16117, 9807 e 6127 del 2024; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. nn. 26199, 1522 e 395 del 2021; Cass. nn. 23684 e 20042 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). Ne deriva che è possibile ravvisare una "motivazione apparente" nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l'identificazione dell'iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice. Un simile vizio, inoltre, deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell'esistenza di una motivazione effettiva (cfr. Cass. n. 16117 del 2024; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 26893 del 2020; Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).
3.2. Ciò posto, i motivi in esame meritano accoglimento, atteso che è di tutta evidenza che la motivazione (già riportata nel par. 2. dei "Fatti di causa") adottata dalla corte distrettuale per respingere, sui corrispondenti punti, l'impugnazione dell'odierna ricorrente si rivela affatto apodittica e, come tale, assolutamente non in linea con il "minimo costituzionale" richiesto da Cass., SU, n. 8053 del 2014.
3.2.1. Infatti, rileva il Collegio che la corte predetta, dopo aver affermato che la circostanza del possesso delle carte da parte della A.A. non poteva considerarsi provata (non potendosi attribuire valore, sul punto, agli assunti contenuti nella querela presentata dall'attrice, trattandosi di semplici allegazioni della parte), né pacifica (in ragione delle riportate difese della banca), ha basato, poi, la propria decisione su una affermazione ("Poiché dal timbro apposto al suo passaporto emergeva la data di ingresso nel Paese straniero (Omissis) dal (Omissis), non può che desumersi che i prelievi furono in massima parte eseguiti in un momento anteriore alla partenza per l'estero della A.A. , con elevato grado di probabilità da familiari a conoscenza del pin") del tutto apodittica: in altri termini, non è assolutamente spiegato perché dal fatto che le operazioni di prelievo sarebbero avvenute mentre la ricorrente era in Italia, doveva ricavarsi che le stesse erano da attribuirsi a suoi familiari, peraltro anche a conoscenza del pin.
3.2.2. A tanto deve aggiungersi, peraltro, che, in tema di prova presuntiva, la denuncia, in Cassazione, di violazione o falsa applicazione dell'art. 2729 cod. civ., sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., può prospettarsi quando il giudice di merito fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell'inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota (cfr. Cass. n. 9054 del 2022).
3.2.3. Va rimarcato, poi, che l'assunto della corte territoriale secondo cui non era stata fornita, dalla A.A., la dimostrazione di avere mantenuto sempre il possesso delle carte, stride con la mancata ammissione della prova testimoniale sulla relativa circostanza come articolata dall'attrice fin dal primo brado (i cui capitoli sono stati trascritti alla pag. 7 del ricorso) e ribadita in appello. Ciò inficia di nullità la sentenza impugnata, se è vero che "la motivazione deve ritenersi affetta dal vizio di contraddittorietà insanabile e viola, quindi, il "minimo costituzionale", qualora il giudice di merito rigetti la domanda ritenendola non provata dopo aver respinto una richiesta non inammissibile di prova" (cfr. in termini, Cass. n. 2980 del 2023, con richiami ivi a Cass. n. 26538 del 2017. Vedasi pure Cass. n. 12884 del 2016).
3.2.4. Nemmeno sono stati osservati, infine, i principi dettati da questa Corte in tema di onere della prova in controversie come quella odierna. Basti ricordare, in proposito: i) Cass. n. 3780 del 2024, nella cui motivazione si legge che "La giurisprudenza di questa Corte, qualificata in termini contrattuali la responsabilità della banca, ha affermato che la diligenza posta a carico del professionista, per quanto concerne i servizi posti in essere in favore del cliente, ha natura tecnica e deve valutarsi tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento assumendo come parametro quello dell'accorto banchiere (Cass. n. 806 del 2016); dunque, la diligenza della banca va a coprire operazioni che devono essere ricondotte nella sua sfera di controllo tecnico, sulla base anche di una valutazione di prevedibilità ed evitabilità tale che la condotta, per esonerare il debitore, la cui responsabilità contrattuale è presunta, deve porsi al di là delle possibilità esigibili della sua sfera di controllo. La giurisprudenza di questa Corte è infatti consolidata nel senso di ritenere che la responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, con particolare verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell'utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, va esclusa se ricorre una situazione di colpa grave dell'utente configurabile, ad esempio, nel caso di protratta attesa prima di comunicare l'uso non autorizzato dello strumento di pagamento ma il riparto degli oneri probatori posto a carico delle parti segue il regime della responsabilità contrattuale. Mentre, pertanto, il cliente è tenuto soltanto a provare la fonte del proprio diritto ed il termine di scadenza, il debitore, cioè la banca, deve provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, sicché non può omettere la verifica dell'adozione delle misure atte a garantire la sicurezza del servizio. Ne consegue che, essendo la possibilità della sottrazione dei codici al correntista attraverso tecniche fraudolente una eventualità rientrante nel rischio d'impresa, la banca per liberarsi dalla propria responsabilità, deve dimostrare la sopravvenienza di eventi che si collochino al di là dello sforzo diligente richiesto al debitore (Cass., 1, n. 2950 del 3/2/2017; Cass., 3, n. 18045 del 5/7/2019; Cass., 6-3, n. 26916 del 26/11/2020)"; ii) Cass n. 26916 del 2020, nella cui motivazione si legge: "Deve darsi séguito alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di responsabilità della banca, ovvero dell'erogatore del corrispondente servizio, in caso di operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema (il che rappresenta interesse degli stessi operatori), è del tutto ragionevole ricondurre nell'area del rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento - prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente - la possibilità di un'utilizzazione dei codici di accesso al sistema da parte dei terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo: ne consegue che, anche prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 11 del 2010, attuativo della direttiva n. 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, l'erogatore di servizi, cui è richiesta una diligenza di natura tecnica, da valutarsi con il parametro dell'accorto banchiere, è tenuto a fornire la prova della riconducibilità dell'operazione al cliente (Cass., 03/02/2017, n. 2950; cfr. altresì Cass., 05/07/2019, n. 18045, secondo cui la responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, con particolare riguardo alla verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell'utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, ha natura contrattuale e, quindi, va esclusa solo se ricorre una situazione di colpa grave dell'utente, (...)".
4. I residui motivi di ricorso dal nono all'undicesimo possono considerarsi assorbiti.
5. In definitiva, quindi, l'odierno ricorso di A.A. va accolto, nei limiti di cui si è detto, quanto ai suoi motivi dal secondo all'ottavo, rigettandosene il primo e dichiarandosene assorbiti gli altri. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, l'odierno ricorso di A.A. quanto ai suoi motivi dal secondo all'ottavo, rigettandone il primo e dichiarandone assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.