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9 settembre 2024
“Ho voglia di sputargli in faccia”: lo sfogo sui social non integra la diffamazione

Nel caso di specie un pendolare attaccava il manager dell'azienda di trasporti per via dei ritardi nei rimborsi di alcuni abbonamenti non fruiti durante la pandemia. Per la Cassazione, i social networks favoriscono un'accelerazione del processo di progressiva "secolarizzazione" della sensibilità collettiva, alla quale deve ritenersi acquisita una maggiore tolleranza verso un lessico grossolano.

di La Redazione

Il Tribunale di Milano condannava Tizio per il reato di diffamazione aggravata per aver pubblicato un post su una pagina Facebook in cui si sfogava contro l'amministratore dell'azienda di trasporti per via dei ritardi nei rimborsi di alcuni abbonamenti non fruiti durante la pandemia. Nel post incriminato dichiarava che «ho voglia di sputare in faccia» al manager, «che forse lo sa e porta gli occhiali per questo».

La Corte d'Appello meneghina ribaltava il giudizio di prime cure assolvendo il pendolare perché il fatto non costituisce reato, avendo ravvisato l'esimente del diritto di critica e ritenuto sussistenza sia il requisito della verità della notizia che quello della continenza.

La società e l'amministratore delegato ricorrono per cassazione.

Per la Cassazione le doglianze sono infondate. In primo luogo, ritiene ravvisabile il diritto di critica perché nel post incriminato l'imputato non accusa il manager di essersi appropriato dei soldi destinati ai rimborsi, ma solo di trattenerli ingiustamente da mesi. Tali accuse trovano riscontro non solo nella contestuale protesa di tanti altri pendolari che portavano avanti le medesime rivendicazioni economiche, ma anche nel dibattito pubblico instauratori presso il Consiglio regionale.

Inoltre, la Corte rileva che l'imputato non ha utilizzato il suo profilo social personale per attaccare la società ferroviaria e il suo manager, ma una pagina Facebook per mezzo della quale «gruppi di soggetti valorizzano il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un numero indeterminato di aderenti al fine di una costante risocializzazione». Da qui la irragionevolezza della tesi che il post intendesse, invece, rivolgersi alla persona fisica del manger in quanto tale, piuttosto che alla società di cui egli era espressione al massimo livello, come tale responsabile delle scelte anche in merito ai rimborsi dei numerosi abbonamenti non utilizzati durante la pandemia.

Quanto al principio di continenza, la Cassazione ritiene che «lo sfogo è certamente aggressivo, ma ha una connotazione ironica che ne smorza la portata offensiva».
Del resto, sottolineano i giudici supremi, i social «hanno accelerato il processo di progressiva “secolarizzazione” della sensibilità collettiva». Lo sputo “virtuale” non costituisce una manifestazione di disprezzo al pari della condotta concreta, che offende il decoro del destinatario, mentre resta un'esternazione più vicina «a un motto di spirito, a una boutade, che all'ingiuria».

Per questi motivi, la Cassazione rigetta il ricorso con sentenza n. 33994 del 6 settembre 2024.

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