Svolgimento del processo
1. La Corte d'Appello di Roma con sentenza n. 5462/2020 ha rigettato l'impugnazione proposta da A.A. avverso la sentenza n. 17823/2015 del Tribunale di Roma che aveva, a sua volta, rigettato la domanda di risarcimento dal predetto proposta nei confronti del Ministero della Giustizia e compensato le spese; l'originario attore aveva proposto domanda risarcitoria per i danni non patrimoniali patiti in conseguenza della morte del figlio, B.B., suicidatosi mediante impiccagione in data 11 dicembre 2008 mentre era detenuto presso l'Ospedale psichiatrico giudiziario (Omissis)di C.; in fatto, lamentava che la struttura ospedaliera penitenziaria non lo aveva adeguatamente sorvegliato, nonostante che il quadro clinico del figlio detenuto denunciasse una situazione di pericolo per la sua incolumità che avrebbe richiesto assidua vigilanza e adozione di misure cautelative.
Il Ministero della giustizia, costituitosi, aveva chiesto il rigetto della domanda perché infondata.
2. Per quanto ancora qui rileva, esperita la CTU, il Tribunale escludeva che dalla istruttoria esperita emergesse il rischio specifico di condotta autolesiva, tale da rendere necessaria l'adozione di misure di contenimento fisico o di piantonamento continuativo del detenuto nella struttura ove era ricoverato, struttura che presentava tutti i requisiti tecnici e organizzativi previsti dalla legge per operare, senza che fosse stata denunciata alcuna specifica violazione della normativa di settore.
3. Avverso la sentenza d'appello, l'originario attore ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d'impugnazione. Il Ministero controricorrente si è costituito tardivamente soltanto al fine di partecipazione all'udienza di discussione ex art. 370, comma 1, c.p.c.
La trattazione del ricorso è stata fissata in udienza pubblica.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con un unico motivo il ricorrente lamenta l' "Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti"; in particolare, contesta quanto affermato dalla Corte d'Appello che, condividendo quanto rilevato dal Tribunale, ha osservato "durante l'internamento in OPG durato circa 13 mesi, il giovane era stato sottoposto costantemente ad adeguato trattamento terapeutico farmacologico e ad assidue visite psichiatriche, senza emersione di viraggio peggiorativo della sintomatologia psicopatologica, tant'è che dall'ultima visita di controllo effettuata con somministrazione del test BPRS il 3.12.08, ossia 8 giorni prima del suicidio, era emerso un quadro clinico stazionario e l'assenza di rischio suicidario sino a tale data (cfr. pag. 22 della CTU). Ed è appunto valorizzando tale contesto probatorio che il Tribunale ha ritenuto di non attribuire efficienza causale al riscontrato silenzio clinico intercorso tra il 9.9.2008 e ri1.12.2008, rectius la data del 3.12.2008 (data di effettuazione del test). Di talché la mancata adozione di misure di contenimento o sorveglianza continuativa trova giustificazione nella assenza, riscontrata ad otto giorni dal suicidio, di rischio suicidario e nella riscontrata stabilità del quadro clinico" (pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata).
Il ricorrente evidenzia in proposito che il predetto CTU aveva ritenuto che i tre mesi di "silenzio clinico" apparissero "espressione comunque di un comportamento erroneo degli psichiatri curanti, connotato quantomeno da profili di imprudenza e negligenza e tale da poter essere ricondotto sotto il profilo della concausalità all'evento infausto poi determinatosi" (pag. 28 della CTU, ultimo capoverso) e che la Corte d'Appello aveva, viceversa, in proposito rilevato il difetto di efficienza causale rispetto a generici addebiti di carenze organizzative affermate dal CTU apoditticamente. Inoltre, lo stesso Consulente tecnico d'ufficio aveva ritenuto che né la somministrazione del test BPRS del 3.12.2008 e neppure la visita di controllo eseguita l'11.12.2008 potevano assumere il rilievo di valida ed efficace forma di rilevamento della sintomatologia del paziente posto che "si ignora totalmente quale sia stato l'andamento dei disturbi psicopatologici di Gabriele nel suo ultimo trimestre di vita, fino al giorno che ha preceduto la sua morte" (v. pag. 28 della relazione CTU). Aggiungendo che tale perdurante "silenzio clinico" fosse evidentemente sintomo di negligenza da parte del personale curante, posto che "in un così lungo lasso di tempo, il mancato accertamento specialistico periodico dello status del paziente e della sua risposta alla terapia, può aver determinato il mancato riscontro di viraggi peggiorativi della sintomatologia psicopatologica, con le conseguenze che poi ne sono derivate" (v. pag. 29 della relazione CTU) e ancora che "le carenze organizzative del servizio infermieristico e comunque di vigilanza interna sui pazienti internati, sono obiettivamente riscontrabili, tenuto conto che in un Ospedale Psichiatrico, in pieno giorno, un giovane internato ha potuto predisporre quanto necessario al suicidio, attuato poi senza che il personale preposto alla sorveglianza - così come riferito - avesse sentore di alcunché per diverse ore" (v. pag. 30 della relazione di CTU), concludendo nel senso che "tale obbligo di sorveglianza della sicurezza dei pazienti ricoverati rientra infatti tra i precisi obblighi che incombono su una struttura specializzata" (v. pag. 30 della relazione CTU). A parere del ricorrente, infine, la mancata valutazione e ponderazione, unitamente a tutte le ulteriori emergenze istruttorie anche a carattere presuntivo (come l'accadimento dell'evento lesivo in pieno giorno), del più volte richiamato "silenzio clinico" perdurato per quasi tre mesi prima del suicidio costituisce elemento idoneo a determinare una decisione di merito diversa da quella impugnata (richiama in proposito, Cass. Sez. U, 22/09/2014 n. 19881).
2. Pur a voler ritenere che nella specie non scatti la preclusione derivante dalla regola della cd. "doppia conforme" di cui all'art. 348 ter, comma 5, cod. proc. civ., non risultando le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello del tutto identiche, nel merito l'unico motivo del ricorso si rivela non fondato.
Per orientamento consolidato di questa Corte, ribadito anche dai precedenti indicati dallo stesso ricorrente, il "fatto" di cui può denunciarsi con ricorso per cassazione l'omesso esame, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. - come riformulato dal citato art. 54 D.L. n. 83 del 2012 - non solo deve essere un "fatto" vero e proprio e, quindi, non una "questione" o un "punto" della sentenza, bensì un fatto principale ai sensi dell'art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale); ma deve altresì possedere i due necessari caratteri dell'essere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e dall'aver formato oggetto di controversia tra le parti (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 08/09/2016, n. 17761). Viceversa, non costituiscono, "fatti" secondo quanto previsto dalla citata disposizione: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; il "vario insieme dei materiali di causa" (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439), di documenti, di eccezioni di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico, o per lamentarsi di una "motivazione non corretta").
2.1. Nella specie, alla stregua delle stesse allegazioni contenute in ricorso, il fatti di cui si pretende omesso l'esame ed in particolare, per un verso, il significato del "silenzio clinico" nell'ultimo trimestre di vita fino al decesso e, per l'altro verso, le "carenze organizzative del servizio infermieristico e comunque di vigilanza interna sui pazienti internati" e l'accadimento del fatto lesivo in pieno giorno (cfr. pag. 30 della CTU di prime cure), cui pure si fa riferimento a p. 4 del ricorso, sono entrambi fatti, rilevanti in causa, presi in considerazione dalla Corte d'Appello, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass. Sez. U, 22/09/2014, n. 19881).
2.2. La Corte romana - lungi dall'aver omesso di considerare le circostanze lamentate dalla parte ricorrente come fatti decisivi -ha ritenuto di non attribuire efficienza causale al riscontrato silenzio clinico intercorso tra il 9/9/2008 e il 3/12/2008 (data di effettuazione del test), sino all'evento suicidario avvenuto l'11/12/2008, specificando, in primo luogo, che sulla base di quanto rilevato dallo stesso CTU, nel corso dell'internamento in Ospedale Psichiatrico Giudiziario, il giovane detenuto era stato sottoposto costantemente ad adeguato trattamento terapeutico farmacologico e ad assidue visite psichiatriche e, senza emersione di viraggio peggiora p sintomatologia psicopatologica; tant'è che dall'ultima visita di controllo effettuata, con somministrazione del test BPRS, ossia otto giorni prima del suicidio, "era emerso un quadro clinico stazionario e l'assenza di rischio suicidario sino a tale data (cfr. pag. 22 della CTU)" (pag. 4 della sentenza impugnata).
2.3. In secondo luogo ha sottolineato "il difetto di efficienza causale rispetto a generici addebiti di carenze organizzative che il CTU afferma apoditticamente derivare dalla circostanza che sia stato possibile il verificarsi dell'evento suicidario in ora diurna" (pag. 4 della sentenza impugnata) in quanto "la storia clinica del A.A., come ricostruita dallo stesso C.T.U. nella perizia sulla base della documentazione clinica agli atti, non era tale da imporre specifiche misure cautelative o sorveglianza cautelativa. La patologia da cui era affetto il paziente (diagnosi di schizofrenia paranoidea e disturbo da dipendenza di sostanze) era comunque stata sempre adeguatamente trattata farmacologicamente con neurolettici, antiepilettici, benzodiazepine e psicolettici" (pag. 4 della sentenza impugnata). Di conseguenza, la Corte romana ha specificatamente escluso la prevedibilità ex ante della condotta che ha portato alla morte del detenuto, rilevando l'impossibilità di contestare ai sanitari ed alla struttura penitenziaria in genere la mancata adozione di cautele specifiche (pag. 5 della sentenza impugnata).
3. In conclusione, il ricorso è rigettato.
Nulla per le spese tenuto conto della sostanziale indefensio del Ministero della giustizia costituitosi soltanto al fine di partecipazione all'udienza.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
Va disposto che, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente e del figlio dello stesso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Dispone che, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente e del figlio dello stesso.