Irrilevante che l'aggravante della transnazionalità non sia stata contestata poiché, secondo la Cassazione, «ciò che conta è che il meccanismo fraudolente non avrebbe potuto essere attuato se non coinvolgendo la società di comodo operanti in Italia e le false imprese bulgare, interposte in particolare nel giro delle false fatturazioni per ottenere il pagamento dell'IVA e usufruire dei falsi crediti di imposta».
Tizio, indagato per associazione a delinquere in una serie di reati fiscali, proponeva impugnazione dinanzi al tribunale del riesame deducendo la nullità dell'ordinanza cautelare per essere stata disposta dal GIP in assenza di una domanda cautelare legittima.
In particolare, si era eccepito che i reati per cui è procedimento non...
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 18 marzo 2024, il Tribunale del riesame di Catania confermava l'ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Catania in data 30 gennaio 2024 con cui è stata applicata a G.R. la misura cautelare degli arresti domiciliari in quanto gravemente indiziato del delitto di cui agli artt. 416, cod. pen. (capo 53), e di n. 6 reati-fine (capi 11, 12, 14, 40, 41 e 42) ex artt. 2621, cod. civ., 3, 5 ed 8, D.lgs. n. 74 del 2000.
2. Avverso l'ordinanza impugnata nel presente procedimento, il predetto ha proposto ricorso per cassazione tramite i difensori di fiducia, deducendo cinque motivi, di seguito sommariamente indicati.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di una valida richiesta cautelare sotto il profilo del travisamento del fatto e della prova in ordine alla violazione dell'art. 291, cod. proc. pen., per incompetenza di EPPO a richiedere la misura cautelare.
In sintesi, si premette che con il motivo di impugnazione proposto davanti al tribunale del riesame la difesa aveva dedotto la nullità dell'ordinanza cautelare per essere stata disposta dal Gip in assenza di una domanda cautelare legittima. In particolare, si era eccepito che i reati per cui è procedimento non rientrassero nella competenza funzionale di EPPO e che tale circostanza fosse incontestabilmente nota al Procuratore europeo al momento della sottoscrizione della richiesta cautelare. La possibilità riconosciuta dall'art. 33 del Regolamento Ue 217/1939 in capo al Procuratore europeo delegato di richiedere la detenzione preventiva, trova applicazione esclusivamente in relazione ai procedimenti per cui EPPO è competente per materia in relazione ai reati oggetto di contestazione, tra cui non rientrerebbero quelli di cui al presente procedimento, atteso come i reati tributari contestati, pur rientrando tra quelli di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lett. d), della direttiva UE 217 /1371, non sarebbero affatto afferenti ad azioni od omissioni di carattere intenzionale connesse al territorio di due o più Stati membri, unici per i quali EPPO è competente a norma del disposto di cui all'articolo 22 del Regolamento Ue 217 /1939. A sostegno di tale assunto si era rappresentato come l'assenza di reati di competenza di EPPO fosse riscontrabile dal fatto che, fin dall'invio della comunicazione della notizia di reato da parte della Procura distrettuale di Catania alla EPPO, i presunti reati risultavano commessi esclusivamente sul territorio nazionale, non rilevando in alcun modo rispetto ad ulteriori Stati membri. In tale comunicazione di notizia di reato si specifica che i soggetti coinvolti si avvalgono di società bulgare secondo il meccanismo dell'esterovestizione, in tal modo evidenziando fin dall'origine l'assoluta inoperatività in altro Stato della società. In sostanza, l'eccepita nullità era riscontrata in forza della circostanza che la stessa Procura di Catania avesse sin dall'inizio evidenziato in seno alla comunicazione della notizia di reato ad EPPO che nessun altro Stato dell'Unione Europea fosse coinvolto nei fatti per cui è processo, atteso come le azioni e le omissioni fossero connesse esclusivamente a società operanti in Italia, tenuto conto del fatto che le società bulgare fossero evidentemente esterovestite e quindi giuridicamente operanti in Italia a norma di legge. Tale assunto veniva supportato dall'allegazione per estratto della comunicazione della notizia di reato alla EPPO redatta dal pubblico ministero. Si evidenziava, inoltre, come il dato fosse stato confermato dal Gip in sede di applicazione della misura, essendo stata esclusa la ricorrenza dell'aggravante di cui all'articolo 61bis, codice penale, essendosi svolta l'attività criminale in oggetto esclusivamente in territorio italiano, ciò sulla base della considerazione, su cui del resto poggia la prospettazione accusatoria, della inesistenza ed inoperatività della società bulgara, la sola contemplata nelle imputazioni e delle società sammarinesi coinvolte, in realtà tutte mere cartiere esterovestite. Dunque, era stato lo stesso giudicante a dare atto della circostanza che l'insussistenza del coinvolgimento di ulteriori Stati costituisse il fondamento della stessa prospettazione accusatoria, essendo stata posta l'esterovestizione delle società bulgare a fondamento della richiesta cautelare in coerenza con quanto comunicato dalla Procura della Repubblica di Catania ad EPPO. Si evidenziava altresì come le dette argomentazioni dovessero valere anche in relazione all'ipotesi associativa. A fronte di quanto sopra, il tribunale del riesame avrebbe concordato con la difesa in ordine alla perimetrazione delle fattispecie di reato di competenza EPPO, ma rigettato l'eccezione sulla scorta di una motivazione apparente e contraddittoria in quanto basata sul totale travisamento dei fatti e degli atti contenuti al fascicolo e materialmente allegati anche alla memoria depositata in udienza. In particolare, si osserva come il tribunale avrebbe asserito che il mancato riconoscimento dell'aggravante di cui all'articolo 61-bis da parte del Gip non eserciterebbe alcuna influenza sulla legittimità della contestazione e di conseguenza della competenza EPPO a richiedere la misura, fondandosi sull'evidente travisamento dell'atto posto a fondamento dell'eccezione difensiva. In particolare, il tribunale avrebbe ritenuto di rigettare l'eccezione assumendo che la stessa si fondasse sulla comunicazione della notizia di reato redatta dalla Guardia di finanza e, quindi, sulle valutazioni operate dalla polizia giudiziaria che, come tali, possono ben discostarsi da eventuali diverse argomentazioni della Procura che avrebbe, secondo il collegio, avocato l'indagine presupponendo l'effettività della connessione delle azioni ed omissioni di carattere internazionale al territorio di almeno due Stati membri, l'Italia e la Bulgaria, poi formulando la domanda cautelare che ha dato luogo all'ordinanza qui impugnata. Sarebbe dunque evidente il dedotto travisamento del fatto e della prova, tenuto conto di come l'atto a cui faceva riferimento la difesa non fosse la comunicazione di reato della Guardia di finanza, quanto la comunicazione (§_ella notizia di reato trasmessa dal pubblico ministero ad EPPO, promanante dal sostituto procuratore distrettuale presso il tribunale di Catania. Da qui l'assoluta apparenza motivazionale laddove il provvedimento sostanzialmente afferma che l'eccezione difensiva sarebbe stata accoglibile laddove l'atto posto a fondamento promanasse dalla Procura, avendola però rigettata in concreto sull'erroneo presupposto che l'atto citato fosse stato redatto dalla polizia giudiziaria. Si tratterebbe dunque di un travisamento probatorio, avendo dato atto il provvedimento di una circostanza insussistente agli atti, ossia che EPPO abbia presupposto l'effettività della connessione delle azioni o delle omissioni di carattere intenzionale al territorio di almeno due Stati membri, l'Italia e la Bulgaria, laddove invece risulterebbe che la Procura europea abbia condiviso il dato relativo alla esterovestizione delle società bulgare, e dunque l'insussistenza di connessioni con ulteriori Stati membri, per come correttamente rilevato dal GIP.
2.2. Deduce, con il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo che meritano congiunta illustrazione, attesa l'omogeneità dei profili di doglianza ad essi sottesi -, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 125, cod. proc. pen., 111, Cost., ed il correlato vizio motivazionale in relazione alla sussistenza di gravi indizi di reità in ordine al reato di false comunicazioni sociali (capo 11), in ordine al reato di cui all'art. 8, d. lgs. n. 74 del 2000 (capo 12), in ordine al reato di cui all'art. 5, d,. lgs. n. 74 del 2000 (capo 41) ed in ordine al reato di cui all'art. 3, d. lgs. n. 74.del 2000 (capo 42).
In sintesi, si duole anzitutto la difesa della assenza della motivazione, ai limiti della motivazione apparente, in ordine alla insussistenza di indizi di reità quanto alla fattispecie di cui al capo 11 della rubrica, in relazione alla quale il tribunale del riesame si sarebbe limitato a ricopiare l'originaria ordinanza cautelare in relazione alla complessiva valutazione della vicenda, senza nulla argomentare in relazione alla specifica fattispecie di reato e al principio mosse dalla difesa. Il tribunale nel trattare la posizione del Russo in ordine ai singoli reati relativi alla società R., si sarebbe limitato a ripercorrere i passi dell'originaria ordinanza al fine di riscontrare la presunta posizione di amministratore di fatto del ricorrente in relazione al periodo dalla fine del 2020 agli inizi del 2021, assumendo che tale condotta sarebbe continuata se non interrotta dall'operazione della Procura, affermando laconicamente come indubbia sarebbe la sussistenza in capo all'indagato di indizi di reità, stante la sua posizione di gestore di fatto della società.
Analogamente, quanto al capo 12 della rubrica, si denuncia il medesimo vizio di apparenza motivazionale quanto alla presunta sussistenza di fatturazioni per operazioni inesistenti in relazione ad operazioni coinvolgenti società operanti in San Marino. Anche in questo caso, i giudici del riesame si sarebbero limitati a riportare la parte dell'originaria ordinanza relativa alle intercettazioni che rivelerebbe la posizione dell'indagato quale amministratore di fatto della R., senza però accennare alcunché in ordine alla sussistenza di indizi relativi alla specifica circostanza dedotta.
Ancora, quanto al reato di cui al capo 41, si denuncia l'assenza di motivazione circa la sussistenza di indizi relativi al superamento della soglia di punibilità, tenuto conto del fatto che i giudici del riesame si sarebbero limitati a ricopiare le medesime argomentazioni del Gip, facendole proprie.
Quanto, infine, al capo 42 della rubrica, si osserva come, a fronte della specifica contestazione di reato, il superamento della soglia di punibilità sarebbe stato ritenuto in forza della quantificazione degli importi così come contenuti nella richiesta di applicazione della misura. Era stato dedotto dalla difesa che il sistema presuntivo di calcolo utilizzato nelle richiamate pagine della richiesta cautelare non potesse dirsi idoneo, nel caso di specie, a ritenere il superamento della soglia di punibilità, stante la circostanza che quello stesso calcolo riportava uno sforamento di soli 400 € rispetto al valore soglia, valore talmente modico da non poter assurgere ad elemento gravemente indiziario, in assenza di riscontro effettivo in ordine al reale valore di vendita della merce, e, ancor più, al dato che le stesse fossero state effettivamente rivendute. Anche in questo caso, il tribunale si sarebbe semplicemente limitato a dare atto del superamento del valore di soglia, senza ulteriormente argomentare.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 9 maggio 2024, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Quanto al primo motivo, rileva il PG che il Tribunale del riesame di Catania ha respinto l'eccezione osservando che "EPPO ha avocato a sé l'indagine presupponendo l'effettività della connessione delle azioni ed omissioni di carattere internazionale al territorio di almeno due Stati membri, l'Italia e la Bulgaria, ed ha formulato la domanda cautelare che ha dato luogo all'ordinanza impugnata", senza che potesse rilevare l'esclusione da parte del g.i.p. della circostanza aggravante della transnazionalità di cui all'art. 61-bis c.p., dovendo aversi riguardo ai fini del radicamento della competenza all'astratta contestazione della previsione aggravatrice. La valutazione del Tribunale del riesame deve essere condivisa, posto che l'ordinanza applicativa degli arresti domiciliari è stata emessa in presenza di legittima richiesta del Pubblico Ministero (art. 291 cod. proc. pen.) tra cui rientra il rappresentante di EPPO, senza che potessero ricorrere specifiche ipotesi di nullità processuale (cfr. art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen.) o di vizi qualificabili come nullità generale (cfr. art. 178, lett. b, cod. proc. pen.) nella diversa ipotesi (qui non ricorrente) di inosservanza delle disposizioni concernenti l'iniziativa del P.M. nell'esercizio dell'azione penale o la partecipazione al procedimento. In tema di nullità conseguente alla mancata iniziativa del P.M. nell'esercizio dell'azione penale, ha rilevanza solo la violazione di quelle norme che incidono in modo essenziale sulla partecipazione del P.M. al procedimento già pendente e che attengono all'impulso che il predetto organo, con le sue richieste, deve porre in essere in relazione a quei provvedimenti che il giudice non può assumere "ex officio" (Sez. 1, Sentenza n. 2150 del 03/12/1998, Rv. 212626). Non è sufficiente la violazione o l'omissione di qualsiasi norma processuale o sostanziale inerente all'attività del Pubblico Ministero, ma soltanto la violazione di quelle norme che incidono in modo essenziale sulla partecipazione di detto organo giudiziario al procedimento e che si concretizzano nella necessaria richiesta che l'organo dell'accusa pubblica deve rivolgere al giudice per l'emanazione di quei provvedimenti giurisdizionali che l'organo giudicante non può emettere d'ufficio. Orbene, nel caso di specie, la richiesta cautelare è stata legittimamente proposta da un magistrato in possesso della "qualifica ordinamentale" richiesta, in base a provvedimento (non abnorme, né illegittimo, né mai revocato) di avocazione delle indagini, determinato anche da esigenze di coordinamento delle investigazioni a livello comunitario e internazionale (implicanti all'evidenza la necessità dì accertare la fittìzìetà delle società esterovestìte attraverso il compimento dì mirati riscontri investigativi). Va ricordato che l'avocazione delle indagini è stata disposta proprio per l'assunzione del coordinamento delle indagini da parte dì EPPO, la cui competenza scatta non "solo se i reati previsti dalla direttiva europea siano commessi nel territorio di due o più Stati membri e se da essi derivi un danno dì almeno 10 milioni di euro", ma anche "qualora si trovi nella posizione migliore per svolgere le indagini o esercitare l'azione penale" (artt. 22 e 25 Regolamento UE 2017/1939 del Consiglio del 12 ottobre 2017).
Quanto ai restanti motivi, rileva il PG che, nel merito, il Tribunale del riesame ha richiamato plurimi elementi idonei a giustificare la restrizione della libertà personale, in particolare le indagini documentali della Guardia di Finanza, il contenuto delle intercettazioni per ciascuna vicenda societaria (i cui brani salienti sono stati testualmente riportati), gli SMS scambiati tra l'indagato e Piro Sebastiano, la natura anomala dei rapporti societari, i riferimenti nelle comunicazioni alla situazione contabile aziendale, il valore del "plafond" indebito realizzato che aveva trovato riscontro nelle fatture, il tenore univoco della documentazione acquisita dalla polizia giudiziaria, l'indebitamento delle aziende coinvolte nella vicenda, la falsità degli elementi passivi indicati nelle dichiarazioni annuali, la predisposizione di falsi documenti di trasporto. Il controllo di legittimità deve, nel caso concreto, limitarsi alla verifica dell'esistenza, nella decisione impugnata, di una motivazione adeguata e non manifestamente illogica, idonea a dimostrare la sussistenza della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari previste dall'art. 274 c.p.p., in grado di giustificare l'applicazione della custodia domestica. Ne consegue che la prospettazione difensiva secondo cui il Tribunale del riesame avrebbe omesso il confronto con le emergenze probatorie ed avrebbe sottovalutato le deduzioni difensive appare destituita di fondamento, avendo i giudici di merito ampiamente e motivatamente specificato, dopo avere richiamato le fonti di prova, che "il modus operandi degli indagati consisteva nella creazione di società cartiere, da utilizzare come "missing trader" o "buffer", la cui funzione era gonfiare artificiosamente il credito d'imposta delle società beneficiarie mediante accumulo di indebiti diritti di detrazione IVA e consentire, al contempo, alle stesse di acquistare sottocosto la merce per effetto dello scorporo di imposta dalla base imponibile. In particolare, l'IVA veniva formalmente applicata in fattura ma, di fatto, non veniva addebitata all'acquirente, gravando esclusivamente sulla "missing trader'' cedente. Per effetto di tale stratagemma, l'imposta non veniva versata, con pari danno per l'erario". Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell'apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell'indagato e, dall'altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione (come nel caso di specie) sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell'ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto" (Cass. Sez. 1 sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566; Cass. Sez. 2 sent. n. 56 del 7.12.2011 dep. 4.1.2012, rv 251761; Cass. Sez. 4 sent. n. 26992 del 29.5.2013 dep. 20.6.2013, Rv 255460).
Nell'ordinanza impugnata è diffusamente specificato che R.G. aveva agito "come gestore occulto delle società cartiere R. s.r.l., T. s.r.l. e C. s.r.l., intessendo quotidiani rapporti con consulenti fiscali, prestanome, associati e maestranze", mentre il ricorrente non ha confutato analiticamente le scansioni argomentative del titolo cautelare, essendosi limitato ad eccepire che il Tribunale del riesame si era "limitato a ricopiare l'originaria ordinanza in relazione alla complessiva valutazione della vicenda". L'interpretazione e la valutazione del contenuto dei dialoghi è del tutto congrua e tale apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 1, n. 54085 del 15/11/2017, Rv. 271640). In tema di impugnazioni avverso provvedimenti "de libertate", il ricorrente per cassazione che deduce la nullità dell'ordinanza per omessa valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza ha l'onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (Cass., Sez. 1, 2019 n. 46447).
4. In data 9 giugno 2024, l'Avv. E.F. ha fatto pervenire memoria di replica alla requisitoria scritta del PG, con cui ha insistito nell'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richiesta di trattazione orale ex art. 94, comma 2, D.lgs. n. 150 del 2022, a norma dell'art. 611, cod. proc. pen., è inammissibile.
2. Il primo motivo è inammissibile.
Il Tribunale del riesame di Catania ha respinto l'eccezione osservando che "EPPO ha avocato a sé l'indagine presupponendo l'effettività della connessione delle azioni ed omissioni di carattere internazionale al territorio di almeno due Stati membri, l'Italia e la Bulgaria, ed ha formulato la domanda cautelare che ha dato luogo all'ordinanza impugnata", senza che potesse rilevare l'esclusione da parte del g.i.p. della circostanza aggravante della transnazionalità di cui all'art. 61-bis c.p., dovendo aversi riguardo ai fini del radicamento della competenza all'astratta contestazione della previsione aggravatrice.
La censura difensiva, secondo cui si sarebbe in presenza di un travisamento probatorio in quanto l'atto cui si era fatto riferimento in sede di impugnativa cautelare, non era la comunicazione della notizia di reato trasmessa dalla polizia giudiziaria, ma l'atto sottoscritto dal PM distrettuale di Catania ad EPPO, non ha pregio in quanto proprio la descrizione dei fatti emergenti dal quadro cautelare, lasciava intendere chiaramente come il Russo fosse appieno inserito nel sodalizio criminoso (tanto da rispondere anch'egli del delitto di cui all'art. 416, cod. pen., su cui non vengono svolti rilievi, che si concentrano invece, dal secondo al quinto motivo, sui reati fine dell'associazione) operando quale gestore di fatto, insieme al coindagato R., della R. s.r.l., della T. s.r.l. e della C. s.r.l., società cartiera amministrata fittiziamente da Piro Sebastiano, prestanome pregiudicato, per la quale venivano creati i presupposti contabili per farla figurare quale esportatore abituale (in particolare, il plafond di cessioni estere per il 2017 ed il 2018 necessarie per godere dell'esenzione IVA l'anno seguente, e l'indicazione fittizia nel bilancio 2019 di costi e ricavi di fatto inesistenti).
Risultano anche simulati scambi intracomunitari nel 2019 con la bulgara T. e nel 2020 con una società di San Marino, e le conseguenti vendite sottocosto alla C. e alla S. s.r.l.
3. Dunque, risulta, ex actis, l'effettività della connessione delle azioni ed omissioni di carattere internazionale al territorio di almeno due Stati membri, l'Italia e la Bulgaria, con conseguente integrazione della competenza funzionale di EPPO, la quale scatta "solo se i reati previsti dalla direttiva PIF siano commessi nel territorio di due o più Stati membri e se da essi derivi un danno di almeno 10 milioni di euro" (art. 22, reg. UE 217/1939).
A prescindere, quindi, dall'atto valutato, quel che è certo è che il complesso meccanismo fraudolento non avrebbe potuto essere attuato se non coinvolgendo le società di comodo operanti in Italia e le false imprese bulgare, interposte in particolare nel giro delle false fatturazioni per ottenere il pagamento dell'IVA e usufruire dei falsi crediti di imposta. Ne consegue, dunque, che l'eccepito travisamento probatorio non è idoneo ad incidere sulla legittimità della misura applicata, attesa l'assenza del carattere di decisività, più volte richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, posto che, all'atto di dedurre tale vizio, occorre indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (tra le tante, da ultimo: Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, Rv. 281085 01).
4. La valutazione del Tribunale del riesame, pertanto, deve essere condivisa, posto che l'ordinanza applicativa degli arresti domiciliari è stata emessa, come bene osservato dal PG, in presenza di legittima richiesta del Pubblico Ministero (art. 291 cod. proc. pen.) tra cui rientra il rappresentante di EPPO, senza che potessero ricorrere specifiche ipotesi di nullità processuale (cfr. art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen.) o di vizi qualificabili come nullità generale (cfr. art. 178, lett. b, cod. proc. pen.) nella diversa ipotesi (qui non ricorrente) di inosservanza delle disposizioni concernenti l'iniziativa del P.M. nell'esercizio dell'azione penale o la partecipazione al procedimento.
Che, del resto, il Procuratore europeo delegato fosse competente a richiedere l'emissione della misura custodiale, discende sia dalla disposizione di cui all'art. 9, comma 1, d.lgs. n. 9 del 2021, secondo cui "in relazione ai procedimenti per i quali la Procura europea ha assunto la decisione di avviare o avocare un'indagine, i procuratori europei delegati esercitano, in via esclusiva e fino alla definizione del procedimento, nell'interesse della Procura europea e conformemente alle disposizioni del regolamento e del presente decreto, le funzioni e i poteri spettanti ai pubblici ministeri nazionali", sia dal disposto di cui all'art. 4 reg., secondo cui la Procura europea "svolge indagini, esercita l'azione penale ed esplica le funzioni di pubblico ministero dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri fino alla pronuncia del provvedimento definitivo".
5. A ciò, infine, va aggiunto che la giurisprudenza di questa Corte si è sempre pronunciata affermando che, in tema di nullità conseguente alla mancata iniziativa del P.M. nell'esercizio dell'azione penale, ha rilevanza solo la violazione di quelle norme che incidono in modo essenziale sulla partecipazione del P.M. al procedimento già pendente e che attengono all'impulso che il predetto organo, con le sue richieste, deve porre in essere in relazione a quei provvedimenti che il giudice non può assumere "ex officio" (Sez. 1, n. 2150 del 03/12/1998, Rv. 212626).
Non è dunque sufficiente la violazione o l'omissione di qualsiasi norma processuale o sostanziale inerente all'attività del Pubblico Ministero, ma soltanto la violazione di quelle norme che incidono in modo essenziale sulla partecipazione di detto organo giudiziario al procedimento e che si concretizzano nella necessaria richiesta che l'organo dell'accusa pubblica deve rivolgere al giudice per l'emanazione di quei provvedimenti giurisdizionali che l'organo giudicante non può emettere d'ufficio.
6. Orbene, nel caso di specie, come correttamente rileva il PG, la richiesta cautelare è stata legittimamente proposta da un magistrato in possesso della "qualifica ordinamentale" richiesta, in base a provvedimento (non abnorme, né illegittimo, né mai revocato) di avocazione delle indagini, determinato anche da esigenze di coordinamento delle investigazioni a livello comunitario e internazionale (implicanti all'evidenza la necessità di accertare la fittizietà delle società esterovestite attraverso il compimento di mirati riscontri investigativi).
Va ricordato che l'avocazione delle indagini è stata disposta proprio per l'assunzione del coordinamento delle indagini da parte di EPPO, la cui competenza scatta non "solo se i reati previsti dalla direttiva europea siano commessi nel territorio di due o più Stati membri e se da essi derivi un danno di almeno 10 milioni di euro", ma anche "qualora si trovi nella posizione migliore per svolgere le indagini o esercitare l'azione penale" (artt. 22 e 25 Regolamento UE 2017/1939 del Consiglio del 12 ottobre 2017).
E, in tale prospettiva, rilevano, alla luce del considerando 60, i medesimi criteri orientativi: l'EPPO è, infatti, in una posizione migliore quando è preferibile che svolga indagini ed eserciti l'azione penale in ragione della natura dei reati e della loro portata transnazionali, quando i reati come nel caso di specie vedono coinvolte organizzazioni criminali, o quando un tipo specifico di reato potrebbe costituire una grave minaccia per gli interessi finanziari dell'Unione o il credito delle istituzioni dell'Unione e la fiducia dei cittadini dell'Unione.
In tali evenienze, l'EPPO deve poter esercitare la propria competenza.
7. Tutti restanti motivi, già congiuntamente illustrati, sono parimenti inammissibili.
Le censure di appalesano, infatti, puramente contestative, mostrando di non confrontarsi con l'ordinanza impugnata che, in relazione ai singoli reati fine, ha indicato gli elementi a base dei quali ha ritenuto sussistere il coinvolgimento del Russo, anche per quanto concerne il ruolo assunto nel sodalizio criminoso (delitto di cui all'art. 416, cod. pen., non attinto, peraltro, da alcun motivo di ricorso). Si richiamano, a tal proposito, le considerazioni svolte al § 6 dell'ordinanza impugnata che individuano gli indizi a carico del Russo emergenti dalle intercettazioni riportate nell'ordinanza genetica per ciascuna vicenda societaria; ancora, si vedano le considerazioni svolte al § 7 dell'ordinanza impugnata che riportano gli elementi documentali e captativi relativi alle false fatturazioni della T. s.r.l.; ancora, si richiamano le considerazioni svolte in tema di gravità indiziaria al § 8 dell'ordinanza impugnata, segnatamente sintetizzate alle pagg. 15/16 dell'ordinanza oggetto di censura.
Emerge, dunque, inequivocabilmente come il Russo fosse amministratore di fatto delle società cartiere R. s.r.l., T. s.r.l. e C. s.r.l., in relazione alle quali si adoperava per la redazione delle dichiarazioni d'intento e delle false fatturazioni, agendo in stretta collaborazione con P. e B. e sotto le direttive di Intelisano, nella piena consapevolezza dell'attività posta in essere, rendendosi poi responsabile dei contestati reati fine oggetto dei motivi di ricorso (capi 11, 12, 41 e 42). Il Tribunale del riesame ha richiamato plurimi elementi idonei a giustificare la restrizione della libertà personale, in particolare le indagini documentali della Guardia di Finanza, il contenuto delle intercettazioni per ciascuna vicenda societaria (i cui brani salienti sono stati testualmente riportati), gli SMS scambiati tra l'indagato e S.P., la natura anomala dei rapporti societari, i riferimenti nelle comunicazioni alla situazione contabile aziendale, il valore del "plafond" indebito realizzato che aveva trovato riscontro nelle fatture, il tenore univoco della documentazione acquisita dalla polizia giudiziaria, l'indebitamento delle aziende coinvolte nella vicenda, la falsità degli elementi passivi indicati nelle dichiarazioni annuali, la predisposizione di falsi documenti di trasporto.
8. Come è noto, il controllo di legittimità deve, nel caso concreto, limitarsi alla verifica dell'esistenza, nella decisione impugnata, di una motivazione adeguata e non manifestamente illogica, idonea a dimostrare la sussistenza della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari previste dall'art. 274 cod. proc. pen., in grado di giustificare l'applicazione della custodia domestica.
Ne consegue, come correttamente rileva il PG, che la prospettazione difensiva secondo cui il Tribunale del riesame avrebbe omesso il confronto con le emergenze probatorie ed avrebbe sottovalutato le deduzioni difensive appare destituita di fondamento, avendo i giudici di merito ampiamente e motivatamente specificato, dopo avere richiamato le fonti di prova, che "il modus operandi degli indagati consisteva nella creazione di società cartiere, da utilizzare come "missing trader" o "buffer", la cui funzione era gonfiare artificiosamente il credito d'imposta delle società beneficiarie mediante accumulo di indebiti diritti di detrazione IVA e consentire, al contempo, alle stesse di acquistare sottocosto la merce per effetto dello scorporo di imposta dalla base imponibile. In particolare, l'IVA veniva formalmente applicata in fattura ma, di fatto, non veniva addebitata all'acquirente, gravando esclusivamente sulla "missing trader" cedente. Per effetto di tale stratagemma, l'imposta non veniva versata, con pari danno per l'erario".
Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell'apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell'indagato e, dall'altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione (come nel caso di specie) sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell'ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto" (Sez. 1, n. 1700 del 20.03.1998, rv 210566; Sez. 2, n. 56 del 7.12.2011, dep. 2012, rv 251761; Sez. 4, n. 26992 del
29.5.2013, Rv 255460).
9. Nell'ordinanza impugnata, come bene ricorda il PG, è diffusamente specificato che R.G. aveva agito "come gestore occulto delle società cartiere R. s.r.l., T. s.r.l. e C. s.r.l., intessendo quotidiani rapporti con consulenti fiscali, prestanome, associati e maestranze", mentre il ricorrente non ha confutato analiticamente le scansioni argomentative del titolo cautelare, essendosi limitato ad eccepire che il Tribunale del riesame si era "limitato a ricopiare l'originaria ordinanza in relazione alla complessiva valutazione della vicenda".
L'interpretazione e la valutazione del contenuto dei dialoghi è del tutto congrua e tale apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 1, n. 54085 del 15/11/2017, Rv. 271640). In tema di impugnazioni avverso provvedimenti "de libertate", il ricorrente per cassazione che deduce la nullità dell'ordinanza per omessa valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza ha, infatti, l'onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Rv. 277496 01): onere, nel caso in esame, non assolto.
10. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.