
Nel caso concreto si discute sulla delibazione della sentenza emessa dal Tribunale ecclesiastico che aveva riconosciuto la nullità del matrimonio concordatario per difetto di consenso matrimoniale riconducibile ad una grave carenza di discrezione di giudizio da parte dell'uomo circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare ed accettare reciprocamente.
La causa ha origine dalla richiesta alla Corte d'Appello di Caltanissetta di delibare la sentenza emessa dal Tribunale Ecclesiastico di Roma, divenuta esecutiva e munita di visto di esecutività apposto dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con la quale era stata riconosciuta la nullità del matrimonio concordatarioper difetto di consenso matrimoniale riconducibile ad una grave carenza di discrezione di giudizio da parte dell'uomo circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare ed accettare reciprocamente.
Tuttavia, la Corte d'Appello aveva rilevato come la delibazione della sentenza canonica non fosse praticabile poiché era provato come i coniugi avessero convissuto come coniugi per oltre 3 anni, considerato che durante il matrimonio erano nati due figli, dunque l'ordine pubblico c.d. interno italiano impediva la delibazione.
La richiedente si rivolge alla Corte di Cassazione, evidenziando nel ricorso come il matrimonio civile possa essere dichiarato nullo nelle ipotesi in cui il nubente, al momento della celebrazione, si sia trovato in una condizione di menomazione della sfera intellettiva e volitiva tale da impedirgli la comprensione del significato e delle conseguenze dell'impegno che si sta assumendo. In tal senso, secondo la ricorrente la nullità dichiarata in sede ecclesiastica per il motivo di cui sopra non si discosta sostanzialmente dall'ipotesi di invalidità contemplata dall'
Non è dello stesso avviso la Suprema Corte che con l'ordinanza n. 24750 del 16 settembre 2024 dichiara inammissibile il motivo di ricorso, ricordando come nell'ambito del giudizio di delibazione, la convivenza “come coniugi” costituisca elemento essenziale del “matrimonio-rapporto” e, laddove si protragga per oltre 3 anni dalla celebrazione, si integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano che non impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica per vizi genetici del “matrimonio-atto”.
Detto limite non opera con riferimento alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità riconducibile ad un vizio psichico tale da rendere incapaci di contrarre matrimonio che corrisponde a quello previsto dall'art. 120 del nostro ordinamento. La disposizione prevede infatti che il matrimonio possa essere impugnato per incapacità di intendere e di volere del coniuge al momento della celebrazione del matrimonio e ciò deve intendersi come menomazione della sfera intellettiva e volitiva di grado tale da impedire la comprensione del significato e delle conseguenze dell'impegno assunto.
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Attenzione: i Giudici sottolineano che deve trattarsi di incapacità di intendere e di volere, non di “fragilità” del soggetto. |
Ciò significa che non è sufficiente una situazione descritta come mera deficienza caratteriale o immaturità di uno o di entrambi i coniugi perché l'incapacità di valutare in anticipo la rilevanza del vincolo senza termine non identifica per forza un deficit psichico ai sensi dell'art. 120 cit..
Con riferimento al caso in esame, il vizio del consenso accertato in sede ecclesiastica era costituito da una grave carenza di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare ed accettare reciprocamente, e non da un'incapacità di intendere e di volere capace di inficiare il consenso inteso ai sensi dell'
Svolgimento del processo
1. A.A. domandava alla Corte d'Appello di Caltanissetta la delibazione della sentenza emessa in data 22 dicembre 2022 dal Tribunale Ecclesiastico di Roma, diventata esecutiva e munita del visto di esecutività apposto dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con la quale era stata riconosciuta la nullità del matrimonio concordatario celebrato il 25 agosto 2000 in C tra l'istante e B.B., per difetto di consenso matrimoniale, a causa di una grave carenza di discrezione di giudizio, da parte dell'uomo, circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare ed accettare reciprocamente.
2. La Corte d'Appello riteneva dimostrato che dopo la celebrazione del matrimonio concordatario A.A. e B.B. avessero effettivamente convissuto "come coniugi" per più di tre anni, dato che in costanza di matrimonio erano nati due figli (nel 2001 e nel 2006).
Reputava, di conseguenza, che l'ordine pubblico c.d. interno italiano, a norma del combinato disposto degli artt. 8 L. 121/1985 e 64 L. 218/1995, impedisse la delibazione della sentenza canonica.
Aggiungeva che nella fattispecie in esame era stata espressamente rigettata dal giudice canonico la domanda proposta da A.A. diretta a far dichiarare la nullità del matrimonio canonico per difetto di consenso matrimoniale da parte della B.B., "per la grave carenza di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare ed accettare reciprocamente e per l'incapacità, per cause di natura psichica, di assumere i doveri essenziali del matrimonio da parte della donna", cosicché non sussistevano ragioni per discostarsi dai principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite della Corte di legittimità con la sentenza n. 16379/2014.
3. A.A. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di rigetto della domanda di delibazione, prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso B.B.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex art. 380 bis.1 c.p.c., sollecitando il rigetto del ricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 8 L. 121/1985, 797, commi 1 e 7, cod. proc. civ. e 120 cod. civ., in quanto la Corte d'Appello ha respinto la richiesta di delibazione della sentenza ecclesiastica perché in contrasto con l'ordine pubblico italiano, stante la convivenza ultra-triennale, nonostante il vizio genetico riconosciuto in sentenza sia presidiato da nullità anche per l'ordinamento italiano.
Infatti, il matrimonio civile può essere dichiarato nullo, ai sensi dell'art. 120 cod. civ., nelle ipotesi in cui il nubente, al momento della celebrazione del matrimonio, si sia trovato in una condizione di menomazione della sfera intellettiva e volitiva tale da impedirgli di comprendere il significato e le conseguenze giuridiche dell'impegno matrimoniale assunto.
La nullità del matrimonio, dichiarata in sede ecclesiastica per incapacità determinata da grave difetto di discrezione di giudizio, non si discostava sostanzialmente dall'ipotesi di invalidità contemplata dall'art. 120 cod. civ., tenuto conto dell'inettitudine del ricorrente a intendere i diritti e i doveri del matrimonio al momento della manifestazione del consenso.
5. Il motivo è inammissibile.
5.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell'ambito del giudizio di delibazione di sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario la convivenza "come coniugi" costituisce un elemento essenziale del "matrimonio-rapporto" e, ove si protragga per almeno tre anni dalla celebrazione, integra una situazione giuridica di "ordine pubblico italiano" che, tuttavia, non impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità per vizi genetici del "matrimonio-atto", a loro volta presidiati da nullità nell'ordinamento italiano (Cass. 17910/2022).
In particolare, tale limite non opera rispetto alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità per un vizio psichico che renda incapaci a contrarre matrimonio, corrispondente a quello pure previsto nell'ordinamento italiano dall'art. 120 cod. civ. (Cass. 149/2023).
5.2 Questa Corte ha recentemente precisato (Cass. 28307/2023) che l'art. 120 cod. civ. prevede che il matrimonio può essere impugnato per l'incapacità di intendere e di volere del coniuge al momento della celebrazione, intesa come menomazione della sfera intellettiva e volitiva di grado tale da impedire di far comprendere il significato e le conseguenze dell'impegno assunto (Cass. 20862/ 2021).
La disposizione dà rilievo all'incapacità di intendere o di volere di un soggetto, ossia a un deficit psichico, nel senso che, sebbene non occorra la totale privazione delle facoltà intellettive o volitive, è tuttavia necessario che esse siano grandemente menomate, a un punto tale da impedire in ogni caso la formazione di una volontà cosciente.
Occorre, quindi, che il soggetto, al momento di compiere l'atto, versi in uno stato patologico – da intendere come alterazione del normale stato fisiologico – che, pur non tale da eliminare in modo totale e assoluto le facoltà psichiche, su di esse comunque incida in un modo decisivo (quindi superiore rispetto alla ordinaria situazione dovuta, ad esempio, alla mera "immaturità o fragilità affettiva", riconducibile all'essere il soggetto, volta a volta, semplicemente "giovane" o, magari, "anziano") impedendogli la seria valutazione del contenuto e degli effetti dell'atto che compie e, quindi, il formarsi di una volontà che possa dirsi "cosciente".
Una cosa è la diagnosi di incapacità d'intendere e volere, un'altra la mera "fragilità" del soggetto, posto che, in questo secondo caso, egli ben può rappresentarsi cognitivamente gli effetti dell'atto ed essere in una mera minorata condizione di autodeterminazione, che tuttavia non è ancora un'incapacità d'intendere e volere, ossia una condizione di grave compromissione di tale capacità, ancorché non assoluta, nel senso richiesto ai fini dell'annullamento del contratto dall'art. 428 cod. civ. ed ai fini della nullità del matrimonio dall'art. 120 cod. civ.
Non basta, perciò, ad integrare la fattispecie dell'art. 120 cod. civ. una situazione descritta come di mera deficienza caratteriale o immaturità, per non avere uno o entrambi i coniugi valutato la rilevanza dell'atto (il matrimonio canonico, in sé "indissolubile" e, dunque, di portata davvero rilevante, in quanto destinato per scelta originaria a durare "per tutta la vita"), in quanto l'incapacità di valutare ex ante la rilevanza di un vincolo senza termini non significa necessariamente deficit psichico, ai sensi delle ricordate disposizioni dell'ordinamento italiano.
5.3 Nel caso di specie la sentenza impugnata riconosce espressamente (a pag. 3) che la statuizione ecclesiastica oggetto di richiesta di delibazione ha dichiarato la nullità del matrimonio contratto fra le odierne parti "per difetto di consenso matrimoniale, per grave carenza di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare ed accettare reciprocamente da parte dell'uomo (canone 1095 CIC)".
Ciò nonostante, la Corte distrettuale si è limitata, da un lato, a fare richiamo ai principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 16379 del 17/7/2014, dall'altra a escludere che nel caso portato al suo esame ricorresse il vizio genetico a cui si riferiva l'ordinanza n. 17910 dell'1/6/2022 (errore essenziale sulle qualità personali dell'altro coniuge dovuto a dolo di questi), senza preoccuparsi di verificare se il difetto del consenso matrimoniale registrato dal giudice ecclesiastico integrasse una differente ipotesi di nullità per vizio genetico del "matrimonio-atto" che fosse presidiato da nullità nell'ordinamento italiano.
Questa carente valutazione non assume, tuttavia, alcuna decisività in questa sede.
Invero, il limite derivante dalla situazione giuridica di ordine pubblico integrata dalla convivenza "come coniugi" protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio non opera se il vizio genetico del matrimonio-atto è previsto dall'ordinamento italiano, sicché le sentenze ecclesiastiche che si fondano su vizi del consenso con i caratteri oggettivi almeno analoghi a quelli previsti dal nostro ordinamento non determinano contrasto con l'ordine pubblico interno ostativo al loro riconoscimento; perciò è necessario operare, in tali sensi, una distinzione fondamentale sul tipo di vizio che inficia l'atto produttivo del vincolo.
Nel caso di specie il vizio del consenso accertato in sede ecclesiastica era costituito, ex art. 1095 CJC, da una "grave carenza di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare ed accettare reciprocamente" e non da un'incapacità di intendere e di volere che avesse inficiato il consenso prestato nei termini richiesti dall'art. 120 cod. civ., rimanendo così irrilevante, per come dedotto, al fine di giustificare la delibazione della statuizione.
6. Il secondo motivo di ricorso assume, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata a causa della violazione degli art. 24 e 111 Cost., giacché la stessa non ha offerto alcuna motivazione in ordine alla mancata acquisizione delle prove documentali di cui era stata richiesta la produzione, che erano finalizzate a contrastare l'eccezione di esistenza di una convivenza ultratriennale.
7. Il motivo è inammissibile.
Il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass. 16214/2019, Cass. 5654/2017).
Le prove documentali trascurate non avevano simili caratteristiche, perché erano di tenore contrastante con la prova logica che i giudici distrettuali hanno inteso valorizzare in principalità, costituita dalla nascita di due figli in costanza di matrimonio fra il 2001 e il 2006, e risultavano superate dalle altre risultanze documentali apprezzate dalla corte di merito all'interno della decisione impugnata, ove si è fatto richiamo alla motivazione della sentenza ecclesiastica (la quale registrava che una prima separazione di fatto si era verificata nel settembre 2010, a cui era seguita quella legale nell'aprile 2011, e che i due coniugi avevano poi ripreso la convivenza coniugale fino a quando essa si era definitivamente interrotta nel 2014) ed al fatto che la separazione dei coniugi in sede civile era stata pronunciata nel 2018 dal Tribunale di Civitavecchia, a definizione di un giudizio iniziato nel 2014.
8. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.