Per la Cassazione, «è possibile che la difformità dell'atto dal modello legale venga sanata (…) anche prima della emissione del decreto di citazione a giudizio con una integrazione della impugnazione che la riconduca al modello legale con conseguente elisione della causa di inammissibilità».
L'imputato propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello con cui è stato dichiarato inammissibile,
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Brescia ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell'art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. l'appello proposto avverso la sentenza di condanna emessa nei suoi riguardi per non avere depositato con l'atto di impugnazione la dichiarazione o elezione di domicilio, non potendo essere considerata tale la mera indicazione della residenza.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato articolando un unico motivo con cui deduce violazione di legge.
Si assume che nell'atto di impugnazione - depositato a mezzo posta elettronica certificata il 13.9.2023 - era stato testualmente precisato "elettivamente domiciliato presso lo studio del procuratore", e che il successivo 20.9.2023 il difensore trasmise, sempre a mezzo p.e.c., una dichiarazione sottoscritta dall'imputato di conferma della elezione di domicilio contenuta nell'atto di appello.
Sarebbe inoltre errata l'affermazione della Corte di appello secondo cui l'imputato sarebbe stato assente nel giudizio di primo grado, atteso che, invece, fu presente all'udienza del 10.2.2023, quando rese l'esame dibattimentale.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
2. Dagli atti emerge che: a) con l'atto di appello del 19.3.2023 fu precisato che l'imputato era elettivamente domiciliato presso lo studio del suo procuratore, Avv.ta V.B.; b) con successive mail" di posta certificata del 20 settembre 2023 il difensore trasmise dichiarazione del ricorrente, autenticata dal difensore, di conferma della elezione di domicilio in precedenza indicata nell'atto di impugnazione; c) il decreto di citazione per il giudizio di appello fu emesso il 4 ottobre 2023, cioè dopo la mail di conferma.
3. La questione devoluta dall'imputato attiene all'ambito applicativo dell'art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen.
Il quadro normativo di riferimento in cui la questione si colloca è stato in più occasioni delineato dalla Corte di cassazione.
L'art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. stabilisce che con l'atto di impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o la elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.
L'art. 164 cod. proc. pen. prevede che la determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida anche per le notificazioni degli atti di citazione a giudizio, quindi, anche per quella relativa al giudizio di appello, salvo quanto previsto dall'art. 156, comma 1, cod. proc. pen.
L'art. 157- ter cod. proc. pen., chiarisce che le notificazioni degli atti introduttivi del giudizio nei confronti dell'imputato "non detenuto" sono effettuate nel domicilio dichiarato o eletto e - specificamente nel caso dei giudizi di impugnazione - esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell'art. 581, commi 1-ter e 1-quater o, in mancanza di questo, nei luoghi e con le modalità di cui all'art. 157 cod. proc. pen.
4. Non vi è dubbio che le disposizioni di cui all'art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen. creino un collegamento tra atto di impugnazione e citazione in giudizio, e che, richiedendo di depositare con l'atto di impugnazione la dichiarazione o elezione di domicilio, siano funzionali ad agevolare la notificazione della citazione e a rendere più agevole la celebrazione dei processi.
Il tema attiene, tuttavia, alla interpretazione e alla portata di disposizioni processuali, come quella in esame, che impongono oneri di attivazione per le parti e alla cui inosservanza consegue la più grave delle sanzioni processuali, cioè l'inammissibilità dell'atto e, in questo caso, della impugnazione.
La questione attiene alla necessità di scongiurare il rischio di interpretare la norma in esame in modo tale da incrinare la funzionalità del processo e, in particolare, il senso della sequenza ordinata degli atti procedimentali, i diritti dell'imputato e il suo potere di impugnazione, il sistema delle invalidità processuali, la congruità delle sanzioni rispetto alla difformità dell'atto dal modello legale.
Il processo penale ruota intorno ad alcuni principi costitutivi, quali l'obbligatorietà dell'azione, il contraddittorio come metodo, la garanzia del diritto di difesa, la ragionevole durata.
In ragione di tali principi sono fissate regole, alla cui inosservanza conseguono sanzioni.
Il rapporto tra adempimenti di regole funzionali a garantire i principi cardine del processo e le sanzioni conseguenti alla inosservanza di dette regole caratterizza l'andamento del procedimento.
In particolare, si è correttamente fatto osservare, il procedimento è segnato non solo dall'esistenza o dall'assenza di sanzioni ma anche dalla congruenza tra il meccanismo sanzionatorio che consegue alla violazione della regola posta a tutela degli interessi sottostanti al processo e l'effettività della esigenza di tutela degli interessi.
Non vi è "abuso" quando vi è proporzione, congruità, tra meccanismo sanzionatorio e lesione degli interessi sottesi alla regola violata; vi potrà essere oggettivamente "abuso" quando invece vi è uno scollamento, una frattura, tra la violazione della regola e la presenza o l'assenza di una sanzione, ovvero la sua congruità.
Dunque, è possibile che vi siano sanzioni processuali senza lesione in tutti i casi in cui alla violazione della regola, cioè alla difformità dell'atto dal modello legale, consegua
una sanzione asimmetrica rispetto alla tutela degli interessi sottostanti la regol,a violata; è possibile però anche che vi siano lesioni senza sanzione, cioè violazione\ di regole
strumentali alla tutela dei principi fondanti del processo a cui non consegue una sanzione.
Detta esigenza di congruità e di proporzione fra sanzione processuale e violazione
della regola è fortemente avvertita anche dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
Si coglie infatti una chiara tendenza a creare un nesso obiettivo tra l'applicazione da parte delle Corti nazionali di formalità ingiustificate o irragionevoli da osservare per proporre un ricorso (e a maggior ragione un'impugnazione di merito in appello) e il rischio di svuotare di effettività il diritto di accesso alla giustizia nonchè il ruolo centrale da questo assolto nel sistema complessivo dell'equo processo e dell'art. 6 CEDU.
Tale rischio si concretizza quando una interpretazione eccessivamente formalistica della legge ordinaria impedisce di fatto l'esame nel merito del ricorso proposto dall'interessato (Corte EDU, 12 luglio 2016, Reichman c. Francia; Corte EDU 5 novembre 2015, Henrioud c. Francia; Corte EDU, 12 novembre 2002, Beles e altri c. Repubblica Ceca; Golder c. Regno Unito del 21 febbraio 1975).
Secondo la Corte europea limitazioni al diritto all'accesso alla giustizia possono consentirsi solo se giustificate da un fine legittimo e, soprattutto, se proporzionate (Corte EDU, Grande Camera, Zubac c. Croazia del 5 aprile 2018 (v. soprattutto parr. 76-82); Succi c. Italia del 28 ottobre 2021 e Willems e Gorjon c. Belgio del 21 settembre 2021).
Se, sotto il primo profilo, possono essere consentiti in astratto "sistemi di filtro" alle impugnazioni, anche attraverso la previsione di cause di inammissibilità, la questione si pone in modo più evidente quanto al rapporto tra strumento di filtro, sanzione processuale e principio di proporzionalità.
La Corte di cassazione ha già evidenziato in modo condivisibile come, proprio con riguardo al tema della proporzionalità, la giurisprudenza di Strasburgo sia rigorosa nell'evidenziare la necessità di una stringente valutazione in concreto della ragionevolezza della restrizione al diritto di accesso; una valutazione che deve essere compiuta in considerazione di alcuni parametri essenziali come: la prevedibilità della restrizione; la responsabilità della parte nei cui confronti viene dichiarata l'inammissibilità per gli eventuali errori procedurali che abbiano impedito l'accesso alla giurisdizione superiore; l'assenza di indici di "formalismo eccessivo" nell'applicazione della regola processuale restrittiva, cui segua l'inammissibilità (sul tema, lucidamente, Sez. 5, n. 6993 del 13/11/2023, dep. 2024, Gambino, Rv. 286975).
Il tema della proporzionalità della sanzione rispetto alla violazione di norme di filtro del diritto di accesso alla giustizia e limitative del diritto di impugnazione appare peraltro ancora più stringente se riferito al giudizio di appello, che, tendenzialmente, rimane un giudizio di seconda istanza "piena" per le parti processuali.
G. Il principio di proporzione, certamente ancorato alla disciplina delle cautele personali nel procedimento penale ed alla tutela dei diritti inviolabili, ha nel sistema una portata più ampia: esso travalica il perimetro della libertà individuale per divenire termine necessario di raffronto tra la compressione dei diritti quesiti e la giustificazione della loro limitazione.
In ambito sovranazionale, il principio, come è noto, è ormai affermato tanto dalle fonti dell'Unione (cfr. par. 3 e 4 dell'art. 5 TUE, art. 49 par. 3 e art. 52 par. 1 della Carta dei diritti fondamenta0 che dal sistema della CEDU.
La Corte costituzionale ha a sua volta chiarito in più occasioni come il generale controllo di ragionevolezza, a sua volta effettuato attraverso il bilanciamento tra gli interessi in conflitto, comprenda il canone modale della proporzionalità (Corte cost., sentenza n. 85 del 2013, ma anche n. 20 del 2017).
Non diversamente, è condivisibile quanto ritenuto in dottrina, e cioè che il rango conferito dall'ordinamento interno alle fonti sovranazionali consente di affermare che, qualunque sia la natura con cui sono costruite - sostanziale o processuale - le tutele dei diritti, si deve tenere conto del cd. test di proporzionalità.
Il principio in esame è capace cioè di fungere da guida per lo sviluppo futuro della materia dei diritti fondamentali, oggetto primario delle disposizioni normative processuali penali.
Si può dunque affermare che, anche là dove non entri espressamente in gioco il tema dei diritti fondamentali, il principio di proporzionalità rappresenti un utile termine di paragone per lo sviluppo di soluzioni ermeneutiche e, ancor prima, di nuovi modelli di ragionamento giuridico; in tal senso, si sostiene acutamente, il principio di proporzionalità assolve ad una generale funzione strumentale per un'adeguata tutela dei diritti individuali in ambito processuale penale, ed ad una funzione finalistica, cioè come parametro per verificare la correttezza della soluzione presa nel caso concreto.
In tale accezione, il canone della proporzione e della adeguatezza si rivolge certamente al legislatore, nel momento in cui traccia le norme ordinarie, ed alla Corte costituzionale nel vaglio di legittimità delle stesse, ma an he al giudice comune, allorquando è chiamato in concreto a valutare I orme e d1 atti l1m1tativi delle istanze
fondamentali.
Il principio di proporzionalità segna il limite entro il quale la compressione di un'istanza fondamentale per fini processuali risulta legittima.
7. Dunque, anche rispetto all'art. 581, comma 1- ter cod. proc. pen., si impone la necessità di una interpretazione che scongiuri il rischio di sanzioni senza lesione, che tenga conto del principio di proporzione, che tenda a conciliare l'esigenza di filtro sottesa alla "regola" - con il fondamentale canone del diritto di accesso alla giustizia, che rifugga da eccessi formalistici capaci di frustrare, svuotandone di contenuto, diritti fondamentali e garanzie soggettive.
Solo ciò scongiura i dubbi di legittimità costituzionale della norma che, non casualmente, da più parti sono stati prospettati.
Si tratta di una norma che, lungi dal limitarsi ad imporre un mero "leggero" onere collaborativo ad una parte, incide in realtà fortemente sul diritto di impugnazione e sul diritto di accesso alla giustizia attraverso una sanzione - quella di inammissibilità - che è giustificata solo se congrua e proporzionata.
Ciò impone cautela nella interpretazione e la necessità di evitare eccessi formalistici.
La celerità del processo deve coniugarsi con l'esigenza primaria di tutela dei diritti.
8. Ciò spiega il senso e la portata di alcune pronunce della Corte di cassazione e spiega il principio secondo cui:
a) nel caso in cui l'imputato sia detenuto al momento della proposizione del gravame, non opera, nei suoi confronti, la previsione dell'art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., posto che tale adempimento risulterebbe privo di concreto effetto ed utilità in ragione proprio della vigenza dell'obbligo di procedere alla notificazione a mani proprie dell'imputato detenuto; diversamente, una interpretazione eccessivamente formale comporterebbe la violazione del diritto all'accesso effettivo alla giustizia sancito dall'art. 6 CEDU (Sez. 2, n. 51273 del 10/11/2023, Savoia, Rv. 285546; Sez. 2, n. 33355 del 28/06/2023, Quattrocchi, Rv. 285021; Sez. 2, n. 38442 del 20/09/2023, Toure, Rv. 285029; Sez.2, n.44026 del 12/10/2023, Toure Ismaila, n.m.; Sez.6, n.47172 del 31/10/2023, Alletto, n.m.; Sez.6, n.47174 del 07/11/2023, Chirico, n.m.);
- la norma in esame non trova applicazione anche nei riguardi dell'imputato detenuto per altra causa (Sez. 6, n. 21940 del 07/02/2024, Janashia);
- la norma in questione non trova applicazione nei confronti della parte civile, del responsabile civile e del soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria la previsione di cui all'art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., novellato dall'art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. (Sez. 5, n. 6993 del 13/11/2023, dep. 2024, Gambino, cit., in cui in motivazione la Corte ha affermato che tale adempimento risulterebbe inutile ed eccessivamente formalistico, in ragione dello statuto processuale di tali parti, rinvenibile negli artt. 100, commi 1 e 5, e 154, comma 4, cod. proc. pen.);
- per cui la causa di inammissibilità, pur formalmente configurabile ove si faccia riferimento al contenuto dell'atto di impugnazione, non deve essere dichiarata ove l'atto di citazione per il giudizio in appello sia stato emesso e comunicato regolarmente all'imputato al suo indirizzo di residenza (Sez. 5, n. 21005 del 08/03/2024).
Si tratta di pronunce che inducono a riflettere.
È possibile che con l'atto di impugnazione il difensore, assumendosene la responsabilità, alleghi una precedente dichiarazione o elezione di domicilio, così attualizzando anche per la fase della impugnazione ciò che era già presente agli atti, ciò che era stato già depositato; anche in questo caso una sanzione di inammissibilità, soprattutto se dichiarata senza contraddittorio, sarebbe obiettivamente formale e del tutto slegata dal principio di proporzionalità.
È possibile che la difformità dell'atto dal modello legale venga sanata, come nel caso di specie, anche prima della emissione del decreto di citazione a giudizio con una integrazione della impugnazione che la riconduca al modello legale con conseguente elisione della causa di inammissibilità.
La causa di inammissibilità deve essere accertata con cautela e con criteri di interpretazione non formalistici.
Nel dubbio alla Corte di appello non è certo preclusa la possibilità di emettere il decreto di citazione a giudizio, atteso che l'instaurazione del giudizio non esclude il diritto/dovere di dichiarare successivamente l'inammissibilità originaria della impugnazione.
- Nel caso di specie, come detto, pur volendo ritenere che l'atto di impugnazione fosse difforme rispetto al modello legale per non avere depositato la parte alcunchè, non possono esserci dubbi tuttavia che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, attraverso l'integrazione di cui si è detto, l'atto raggiunse il suo scopo, quello, cioè, di collegare l'atto di impugnazione e la citazione in giudizio al fine di agevolare la notificazione della citazione e rendere più agevole la celebrazione dei processi.
1, - Una sentenza, quella impugnata, viziata che, dunque, deve essere annullata senza rinvio con conseguente trasmissione degli atti alla Corte di appello di Brescia per il giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata disponendo la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Brescia per il giudizio.