Se ne occupa la Cassazione con la sentenza in commento.
L'imputato ricorre per l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello che ha confermato la condanna per il reato
Svolgimento del processo
1.II sig. F.F. ricorre per l'annullamento della sentenza del 21 aprile 2023 della Corte di appello di Potenza che, in riforma della sentenza del 16 febbraio 2021 del Tribunale di Matera, pronunciata all'esito di giudizio ordinario e da lui impugnata, lo ha assolto dal reato di cui all'art. 10 bis d.lgs. n. 74 del 2000, ha confermato, nel resto, la condanna per il reato di cui all'art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 e ha rideterminato la pena nella misura di otto mesi di reclusione.
1.1. Con il primo motivo lamenta l'omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mediante l'audizione, in particolare, del funzionario dell'Agenzia delle Entrate di Matera (richiesta formulata con l'atto di appello ma non accolta), e la conseguente violazione degli artt. 507 e 603 cod. proc. pen.
1.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ribadita condanna per il reato di cui all'art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, norma della quale lamenta anche l'erronea applicazione.
Motivi della decisione
2. Il ricorso è infondato.
3. II ricorrente risponde del (residuo) reato a lui ascritto perché, quale liquidatore della società cooperativa La Rinascita, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, aveva indicato nelle dichiarazioni annuali relative all'anno 2014 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo e elementi passivi inesistenti così evadendo l'imposta sul reddito in misura pari a euro 323.897 e l'imposta sul valore aggiunto per l'importo di euro 257.400.
3.1. Dalla lettura delle sentenze di merito risulta che elementi attivi corrispondevano a ricavi non dichiarati per un importo pari ad euro 1.222.169,16 oltre ad euro 430.000 relativi ad altre fatture attive non registrate.
3.2. La questione inerente l'omessa rinnovazione dibattimentale riguarda le modalità di calcolo dell'imposta evasa con riferimento, in particolare, alla determinazione dell'imponibile ai fini dell'imposizione diretta.
3.3. Si potrebbe sin d'ora obiettare che, in realtà, la questione non assume una pratica rilevanza e che, dunque, il ricorrente non ha alcun interesse a proporla visto che: (i) ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 è sufficiente l'evasione anche della sola imposta sul valore aggiunto; (ii) al ricorrente è stato applicato il minimo della pena edittale, ulteriormente ridotto per l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche; (iii) egli non ha impugnato il capo relativo alla confisca né nell'an né nel quantum.
3.4. Va in ogni caso aggiunto che il malgoverno delle norme in materia di agevolazione fiscale delle cooperative non può essere dedotto lamentando la mancata assunzione di una prova dichiarativa relativa al regime di tassazione dei redditi delle cooperative di produzione e lavoro poiché le questioni di diritto non possono essere oggetto di prova (testimoniale o documentale che sia), potendo essere oggetto di prova i fatti dai quali dipenda l'applicazione della norma.
3.5. Nel caso di specie, vengono in rilievo le agevolazioni tributarie riconosciute alle cooperative di produzione e lavoro dagli artt. 11 e segg. d.P.R. n. 601 del 1973.
3.6. L'art. 11, in particolare, prevede che i redditi conseguiti dalle cooperative di produzione e lavoro sono esenti dall'imposta sul reddito se ricorrono le seguenti condizioni: (i) le retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci devono essere almeno pari al cinquanta per cento dell'ammontare complessivo di tutti gli altri costi, fatta eccezione per quelli relativi alle materie prime e sussidiarie; (ii) i soci devono prestare la loro opera con carattere di continuità e devono possedere i requisiti previsti dall'art. 23 d.lgs. del Capo provvisorio dello Stato n. 1577 del 1947; in particolare: devono essere lavoratori ed esercitare l'arte o il mestiere corrispondenti alla specialità delle cooperative di cui fanno parte o affini e non possono esercitare in proprio imprese identiche o affini a quella della cooperativa.
3.7. Se l'ammontare delle retribuzioni è inferiore al cinquanta per cento ma non al venticinque per cento di tutti i costi, l'imposta sul reddito è ridotta della metà.
3.8. L'art. 14 detta le condizioni per l'applicazione delle agevolazioni a tutte le cooperative che siano disciplinate dai principi di mutualità previsti dalle leggi dello Stato e iscritte nei registi prefettizi. Tali requisiti si ritengono sussistenti se:
(i) negli statuti sono espressamente e inderogabilmente previste le condizioni indicate dall'art. 26 d.lgs. del Capo provvisorio dello Stato n. 1577 del 1947 (divieto di distribuzione dei dividendi superiori alla ragione dell'interesse legale ragguagliato al capitale effettivamente versato; divieto di distribuzione delle riserve tra i soci durante la vita sociale; devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell'intero patrimonio sociale - dedotto soltanto il capitale versato e i dividendi eventualmente maturati - a scopi di pubblica utilità conformi allo spirito mutualistico); (ii) tali condizioni siano state effettivamente osservate nel periodo di imposta e nei cinque precedenti (o nel minor periodo di tempo trascorso dalla approvazione dello statuto).
3.9. Ulteriori norme sono intervenute, nel tempo, a estendere (e poi a ridurre) le agevolazioni fiscali delle cooperative, prima fra tutte quella di cui all'art. 12, legge n. 904 del 1977, secondo il quale non concorrono a formare il reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi le somme destinate alle riserve indivisibili, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell'ente che all'atto del suo scioglimento. L'applicazione di tale agevolazione è stata oggetto di ulteriori modifiche volte più che altro a limitarne e precisarne l'ambito applicativo essendosi affermata in ogni modo la tassabilità di una percentuale minima degli utili conseguiti dalla cooperativa.
3.10. II legislatore però non ha mai affermato che l'imponibile delle cooperative di produzione e sviluppo è corrispondente al 43% dell'utile netto, bensì che tale imponibile non può mai essere inferiore ad una determinata percentuale di tale utile (art. 1, commi 460-466, legge n. 311 del 2004 ).
3.11. Orbene, il ricorrente non ha dedotto la sussistenza delle condizioni specifiche che consentono alle cooperative di beneficiare delle agevolazioni fiscali sopra indicate.
3.12. Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che: (i) il ricorrente, negli anni 2011-2015, era stato l'unico socio lavoratore, sicché non è dato comprendere (il ricorrente non lo ha mai dedotto) se le retribuzioni a lui corrisposte superassero quantomeno del venticinque per cento gli altri costi, fatta eccezione per quelli relativi alle materie prime e sussidiarie; (ii) negli anni 2012-2013 erano stati effettuati ristorni ingiustificati a favore dei soci e mai spiegati in sede di merito, con conseguente violazione del divieto di distribuzione degli utili nel quinquennio precedente l'anno di imposta di riferimento; (iii) non risultano, nel 2014, deliberazioni volte alla destinazione degli utili alle riserve indivisibili (ché, anzi, fatture per un importo complessivo di 430.000 euro non erano state nemmeno registrate in contabilità); (iv) la cooperativa non aveva nemmeno presentato i bilanci relativi agli esercizi 2012-2013; (v) nella dichiarazione annuale relativa all'anno di imposta 2014 i ricavi erano stati dichiarati nella misura di euro "O"; vi) negli anni 2012-2015, la cooperativa non aveva mai versato alcunché a titolo di imposte dirette e sul valore aggiunto.
3.13. A fronte di tali evidenti anomalie, alcune delle quali idonee a far perdere la qualifica di cooperativa (quantomeno) per l'anno di imposta 2014, appare evidente che l'argomento di prova non poteva limitarsi al calcolo dell'imponibile e dell'imposta dovuta, risultando al riguardo anche generiche le deduzioni difensive che avevano liquidato come irrilevanti tali anomalie.
3.14. In conclusione, in costanza di regime fiscale agevolato e in presenza di anomalie apparentemente tali da escluderne l'applicazione è onere specifico del contribuente/imputato dedurre e provare (ove ciò non risulti già dal compendio probatorio) i fatti che legittimano l'applicazione di tali condizioni.
3.15. I Giudici di merito hanno ritenuto il dolo specifico osservando che: a) il ricorrente, in quanto già socio della cooperativa, era ben a conoscenza delle modalità di gestione dell'ente avendo altresì fruito dei ristorni del 2012 e del 2013; b) le dichiarazioni erano state compilare con valore "O" in corrispondenza dei ricavi; c) non erano stati effettuati versamenti successivi delle imposte, nemmeno parzialmente, tantomeno il ricorrente aveva esperito tentativi di definizione concordata con l'Amministrazione.
3.16. II ricorrente se ne duole ma le sue obiezioni non intaccano la logicità del ragionamento accusatorio.
3.17. La deduzione che le fatture non registrate fossero state emesse per operazioni inesistenti, oltre ad aggravare il complesso di anomalie gestionali già sopra evidenziate, costituisce affermazione labiale non dimostrabile dal sol fatto che tali fatture recassero una numerazione "bis".
3.18. II fatto che anche le altre poste riportassero saldi pari a "O" costituisce argomento che non prova alcunché; quand'anche si volesse con ciò affermare che la presentazione della dichiarazione in costanza di verifica fiscale (ed in attesa della sua definizione) era finalizzata a evitare l'imputazione di omessa presentazione della dichiarazione, la scelta di presentarla obbligava il ricorrente a rappresentarvi il vero e comunque tale scelta avrebbe comportato la logica conseguenza di una successiva dichiarazione integrativa o comunque del pagamento successivo dell'imposta effettivamente dovuta. In buona sostanza, ove la presentazione della dichiarazione infedele fosse stata accompagnata dall'intima convinzione di non voler evadere le imposte, tale volontà avrebbe dovuto trovare sfogo in comportamenti coerenti con l'intenzione.
3.19. In questo senso, il mancato pagamento delle imposte (non effettuato nemmeno negli importi che secondo il ricorrente erano effettivamente dovuti) costituisce comportamento post factum legittimamente valutabile ai fini dell'accertamento del dolo (nel senso che la prova del dolo che caratterizza una determinata fattispecie può essere desunta dal comportamento tenuto dal colpevole in un momento successivo all'epoca delittuosa, perché il principio del libero convincimento del giudice non soffre distinzioni fra natura materiale e psicologica dei fatti emersi dal processo e oggetto di valutazione ai fini del convincimento stesso, Sez. 2, n. 1818 del 17/11/1967, dep. 1968, Di Salvio, Rv. 106993 - 01; Sez. 2, n. 1491 del 25/10/1965, dep. 1966, Volante, Rv. 100253 - 01; Sez. 3, n. 42235 del 14/09/2023, Gargano, non mass. sul punto; Sez. 3, n. 6202 del 18/12/2014, dep. 2015, Bennardo, non mass.).
3.20. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.