- esercitare i diritti e le facoltà inerenti la carica di soci ed amministratori nell'interesse dell'attore, attenendosi alle sue disposizioni;
- ritrasferire le quote o rimborsarne il valore all'attore a sua semplice richiesta.
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
L. G. P. ha evocato in giudizio i figli M. e M., nonché la società A. srl, esponendo di essere un imprenditore, operante nel settore del tessile e dell’abbigliamento, e di avere, nel 1980, costituito la ditta individuale S., della quale era titolare e, successivamente, la società P. P. srl.
Ha precisato che le aziende operavano presso uno stabilimento in (omissis) (BL), di proprietà della società C. spa, della quale egli era legale rappresentante, dichiarata fallita nel 1995.
Ha dato atto che, nel 2000, entrambe le aziende erano state concesse in affitto alla società I. srl e che, a seguito di insorte difficoltà economiche, nel 2001 sia la ditta individuale S. che le società P. P. srl erano state dichiarate fallite.
Ha poi rappresentato di avere sostanzialmente continuato la gestione delle imprese fallite, avendo acquistato, tramite un prestanome, il 100% delle partecipazioni di I. srl e avendo acquistato all’asta dal Fallimento C., sempre tramite altro prestanome, il capannone industriale sito a (omissis) dove veniva esercitata l’attività sociale.
Premesso quanto sopra, l’attore ha rappresentato di avere maturato l’intenzione di costituire, sempre nel 2001, una nuova società, che avrebbe dovuto avere lo scopo di proseguire l’attività delle società suddette ma che, stante la propria qualità di soggetto fallito, non poteva intestare a se stesso.
Ha quindi esposto che, per tale ragione, aveva sottoscritto con i figli un negozio fiduciario, in forza del quale i figli stessi (giovani , inesperti e privi delle risorse economiche necessarie a far fronte agli impegni societari) sarebbero risultati solo formalmente intestatari delle partecipazioni della neo costituita società A. srl, e si sarebbero obbligati a trasferire al padre le partecipazioni della società stessa a sua semplice richiesta, ovvero a pagarne il relativo valore.
Indici dell’esistenza del negozio fiduciario sarebbero stati:
- il conferimento, in suo favore, di una procura generale al fine di compiere tutti gli atti di ordinaria e straordinaria gestione della società;
- il fatto di avere assunto in proprio l’amministrazione concreta della società: in particolare, P. L. sosteneva di avere gestito in autonomia le strategie operative, di avere condotto i rapporti con gli istituti Bancari e di avere trattato per la concessione del mutuo ipotecario che sarebbe servito ad acquistare l’immobile di (omissis), ossia summenzionato il capannone già adibito a sede sociale delle società fallite, che, A. aveva detenuto in forza di comodato gratuito sino alla data dell’acquisto;
- la registrazione, da parte di A., di alcuni marchi che erano stati da sempre utilizzati da parte di S. e P. P. srl.
P. L. G. ha dunque allegato di avere chiesto ai figli, P. nel 2005-2006 e, successivamente, nel 2014, il trasferimento delle partecipazioni in suo favore, avendo tuttavia ottenuto un riscontro negativo.
Ha quindi dato atto di avere avviato, senza successo, una domanda di mediazione presso la (omissis).
Ha quindi proposto le seguenti domande:
- accertamento dell’inadempimento del negozio fiduciario e conseguente pronuncia ex art. 2932 cc che disponesse il trasferimento, in favore di parte attrice, delle partecipazioni di A., ovvero che obbligasse i convenuti a conguagliarne il valore, quantificato in euro 1.205.000,00;
- condanna dei convenuti al risarcimento dei danni causati dall’attore per effetto dell’attività di mala gestio di A. srl, quantificati in euro 500.000,00;
- in via preliminare, ordine ai convenuti dall’astenersi dal compimento di qualsivoglia atto di gestione con contestuale nomina di un amministratore terzo delegato fino alla definizione del giudizio.
I convenuti, nel costituirsi in giudizio, hanno eccepito la nullità della domanda ex art. 164 cpc, sostenendo che le conclusioni prospettate in via alternativa non erano determinate, ed adducendo che non erano stati indicati fatti costitutivi della domanda preliminare e della domanda risarcitoria fondata sulla mala gestio ex art. 2476 cc.
Sempre in via preliminare, i convenuti hanno eccepito il difetto di legittimazione passiva di A.. Hanno poi contestato la domanda nel merito, assumendo di avere costituito A. srl allo scopo di continuare in P. persona l’attività originariamente gestita dal padre, che peraltro aveva dato prova di non essere in grado di poter gestire in modo proficuo le aziende di famiglia, visti i plurimi fallimenti delle società a lui riconducibili.
Hanno dunque negato l’esistenza di alcun patto fiduciario, eccependone in ogni caso la nullità, poiché, alla luce della stessa prospettazione attorea, si sarebbe trattato di un contratto in frode alla legge, poiché sottoscritto allo scopo di eludere le norme imperative che impedivano al soggetto fallito di operare.
Hanno quindi chiesto il rigetto delle domande, eccepito la prescrizione quinquennale della domanda risarcitoria e, in via subordinata, hanno proposto domanda riconvenzionale di condanna al pagamento, in loro favore, degli emolumenti loro dovuti per avere gestito la società dalla sua costituzione sino all’attualità.
La causa è stata trattenuta in decisione senza svolgimento di attività istruttoria dopo lo scambio delle memorie ex art. 183, VI comma, cpc.
In via preliminare, va rilevato che parte attrice ha ottemperato solo in parte all’invito del Giudice ad integrare la domanda ex art. 164, V comma, cpc.
Segnatamente, nel termine assegnato, parte attrice ha rinunciato espressamente alla domanda proposta in via preliminare, che deve pertanto ritenersi abbandonata, ed ha meglio precisato le conclusioni originariamente proposte in via alternativa, proponendo, in via principale, la domanda ex art 2932 cc e, in via subordinata, la domanda di condanna al pagamento del valore delle partecipazioni.
Ritiene tuttavia il Collegio che parte attrice non abbia utilmente integrato la domanda risarcitoria fondata sulla responsabilità gestoria dei convenuti: P. si è limitato ad chiedere il risarcimento dei danni causati per l’effetto dell’attività di mala gestio, riservandosi di provarla documentalmente e testimonialmente in corso di causa, ma non ha allegato alcuna condotta volta ad integrare gli addebiti contestati, di talché permane l’assoluta incertezza sui fatti costitutivi di tale domanda.
Da ciò consegue che, non avendo parte attrice provveduto, entro il termine perentorio assegnatole dal Giudice, ad integrare la citazione, e tenuto conto che la domanda di mala gestio può considerarsi autonoma e scindibile rispetto alle altre domande proposte, ai sensi del combinato disposto dell’art. 164, V comma e dell’art. 307, terzo comma, cpc, va dichiarata l’estinzione del giudizio relativamente alla domanda risarcitoria fondata sulla responsabilità per mala gestio dei convenuti.
Sempre in via preliminare, va poi rilevato che, alla luce della stessa prospettazione attorea, la convenuta A. srl non risulta destinataria di alcuna domanda .
Infatti, i soggetti legittimati dal lato passivo rispetto alla domanda di trasferimento delle partecipazioni societarie ed altresì della domanda subordinata di pagamento del relativo valore sono i convenuti, quali parti del negozio fiduciario, e non la società.
Va poi aggiunto che parte attrice non ha in alcun modo replicato all’eccezione di carenza di legittimazione passiva proposta dalla parte convenuta sin dalla comparsa di costituzione e risposta, non offrendo dunque alcun elemento utile ad individuare le ragioni per le quali A. srl è stata convenuta in giudizio.
Va pertanto dichiarato il difetto di legittimazione passiva di M. Group srl, non essendo la stessa, nemmeno in prospettazione, titolare dal lato passivo del rapporto controverso.
Venendo al merito, la domanda è infondata, per le ragioni che si vanno ad esporre.
Parte attrice fonda la propria domanda sull’esistenza di un negozio fiduciario, assumendo di avere raggiunto un accordo con i figli, in forza del quale le partecipazioni della società sarebbero state loro intestate solo formalmente, essendone titolare effettivo il padre, ed essendosi dunque i figli obbligati a ritrasferire le partecipazioni in suo favore a semplice richiesta.
L'intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie, come noto, è un contratto che determina un'interposizione reale di persona, in cui il trasferimento della proprietà, pur effettivo e reale, è strumentale al perseguimento degli interessi del fiduciante, essendo l'attività del fiduciario svolta nell'interesse del fiduciante.
In tema di prova del negozio fiduciario, la Suprema Corte ha recentemente chiarito che “la forma del negozio fiduciario su partecipazioni sociali è libera: il patto fiduciario, al pari dei negozi traslativi delle azioni o quote che lo realizzano, è sempre a forma libera, non rilevando affatto se la società abbia, nel suo patrimonio, beni immobili; alcuna concreta prova che tra le parti sia stato stipulato un negozio fiduciario” (Cass. Civ. n. 17151/2023).
La prova dell’intestazione fiduciaria di partecipazioni può dunque essere offerta anche per testimoni o per presunzioni, ossia mediante l’introduzione in giudizio di fatti gravi, precisi e concordanti che inducano a desumere che il trasferimento delle partecipazioni fosse funzionale al perseguimento degli interessi del fiduciante e che i diritti connessi alla titolarità delle partecipazioni siano stati esercitati solo formalmente dai fiducianti, i quali abbiano agito su direttiva o per conto del fiduciante.
L’orientamento più recente, avallato anche dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, ha poi chiarito che la prova testimoniale è ammessa persino allorquando il negozio fiduciario abbia ad oggetto diretto beni immobili, avendo chiarito che anche in relazione al patto fiduciario con oggetto immobiliare non è richiesta la forma scritta "ad substantiam", trattandosi di atto meramente interno tra fiduciante e fiduciario che dà luogo ad un assetto di interessi che si esplica esclusivamente sul piano obbligatorio; ne consegue che tale accordo, una volta provato in giudizio, è idoneo a giustificare l'accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di ritrasferimento gravante sul fiduciario ( Cass. Civ. n. 6459/2020). Nel presente caso oggetto diretto del preteso negozio non sono beni immobili, ma quote di una società, sia pure proprietaria di beni immobili
Premesso quanto sopra, va tuttavia rilevato che la prova testimoniale deve avere ad oggetto fatti concreti specifici, determinati nel loro contesto spazio temporale, utili a contestualizzare le modalità di conclusione del negozio fiduciario, il contesto nel quale è avvenuto, le parti presenti, il contenuto specifico delle clausole convenute tra le parti.
In altre parole, la richiesta di provare per testimoni un fatto esige non solo che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma anche che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova ed alla controparte la preparazione di un'adeguata difesa (Cfr. ex multis, Cass. civ. n. 1808/2015), non essendo possibile demandare al teste di provare l’esistenza di un negozio fiduciario mediante una generica dichiarazione, che lo inviti semplicemente a confermare l’esistenza di un patto fiduciario in quanto tale, senza offrire alcun elemento utile a ricostruire la vicenda storica che avrebbe dato origine al patto stesso .
Ebbene, ritiene il Tribunale che, nel caso in esame, tale onere probatorio non sia stato assolto.
I capitoli di prova offerti da parte attrice al fine di provare l’esistenza del negozio fiduciario ( capitoli da 10 a 17 , 19 ) correttamente non sono stati ammessi dal giudice istruttore, in parte perché formulati in modo assai generico, non avendo descritto il fatto nemmeno nei suoi elementi essenziali utili a contestualizzarlo dal punto di vista spazio temporale, in parte perché congegnati modo tale da demandare al teste non tanto di provare fatti concreti, quanto piuttosto di offrire delle inammissibili valutazioni giuridiche.
Non sono poi convincenti le deduzioni di parte attrice circa gli elementi presuntivi dai quali si dovrebbe inferire che la titolarità formale delle partecipazioni doveva ritenersi in capo a P..
In primo luogo, la asserita esperienza e professionalità di L. P. nel settore, e la pregressa gestione in proprio o per interposta persona, da parte di P., di altre società aventi il medesimo oggetto sociale, non possono essere valorizzate al fine di ritenere che l’intestazione ai figli delle partecipazioni societarie della neo costituita A. fosse avvenuta in via solo formale, essendo al contrario assai frequente che i figli intendano continuare l’attività sociale di famiglia già iniziata dal padre, con l’aiuto e il supporto di quest’ultimo.
Non vi sono poi ulteriori elementi che inducano a ritenere che l’effettivo proprietario delle partecipazioni fosse P. L.. In particolare:
- la procura generale conferita all’attore per l’ordinaria e straordinaria amministrazione di A. al momento della costituzione della società, è stata revocata dal figlio nel 2003 ( doc. n. 21) e dalla figlia nel 2005 ( doc. n. 22), dal che discende che, successivamente, P. L. non risultava titolare di alcun potere gestorio. Inoltre, se il conferimento di una procura vendere le quote, anche a sé medesimo, avrebbe potuto costituire, anche in base alla giurisprudenza formatasi in materia, un indice particolarmente significativo della titolarità delle quote da parte del procuratore, una procura gestoria, con la quale viene attribuito al procuratore il potere di gestire la società, ma non gli vengono conferiti i diritti amministrativi del socio, di per sé sola, non può essere valorizzata quale elemento presuntivo dell’effettiva titolarità delle partecipazioni;
- non vi è idonea prova che P. abbia continuato, in data successiva alla revoca, ad amministrare e gestire la società: ed invero, la circostanza che egli abbia partecipato direttamente al compimento di alcune attività sociali, quali la realizzazione di un macchinario, non sono sufficienti a dimostrare che il padre fosse in concreto l’amministratore della società;
- non vi è nemmeno prova alcuna che P. abbia gestito i rapporti con gli istituti Bancari: l’unico documento offerto in tal senso è una lettera firmata da P. L. ( doc. n. 17) , nella quale A. trasmetteva alle Banche alcuni documenti finalizzati alla concessione del mutuo.
Si tratta di una lettera inviata in un periodo in cui P. era effettivamente titolare di procura a compiere atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, e pertanto era autorizzato a firmare documenti in nome e per conto della società, ma non vi è alcuna prova che il mutuo sia stato concesso grazie alla sua personale intercessione, trattandosi peraltro di soggetto fallito e che non risulta avere prestato alcuna personale garanzia in favore della Banca; di contro, risulta che i convenuti abbiano assunto garanzie per debiti sociali ( doc. n. 14);
- la registrazione, nel 2011, e quindi ben 10 anni dopo la costituzione di A., di marchi originariamente utilizzati dalle società fallite, nulla prova circa l’esistenza di un mandato fiduciario tra P. L. G. e i figli.
In ragione di tutto quanto sin qui esposto, le domande proposte da L. P. nei confronti di M. e M. P. vanno respinte.
Per l’effetto, possono ritenersi assorbite le ulteriori eccezioni e la domanda riconvenzionale di parte convenuta.
L. G. P., secondo soccombenza, va condannato a rifondere, in favore dei convenuti le spese di lite, liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55/2014.
P.Q.M.
Il Tribunale di Venezia, Sezione specializzata in materia di Impresa, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, ogni diversa domanda od eccezione respinta o disattesa, così provvede:
- dichiara l’estinzione del processo limitatamente alla domanda risarcitoria fondata sulla mala gestio dei convenuti;
- dichiara il difetto di legittimazione di A. srl;
- respinge le domande proposte da L. G. P. nei Confronti di M. P. e di M. P.;
- condanna L. G. P. a rifondere, in favore di A. srl, M. P. e M. P., le spese di lite, che liquida in complessivi euro 10.680,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e accessori come per legge.