La controversia trae origine dalla morte di un paziente che, traferito in un altro ospedale in quanto, quello dove l'intervento era stato effettuato, non era dotato di un'unita di monitoraggio e al trattamento dei casi critici. Si instaurava, così, un procedimento penale a carico anche dei medici della clinica conclusosi con l'archiviazione, sulla base del fatto che diagnosi e intervento erano stati eseguiti in maniera corretta. Gli eredi del defunto agivano in giudizio e, mentre il Giudice di primo grado escludeva la responsabilità dei medici e della clinica, la Corte d'Appello riformava la decisione. I condannati ricorrevano quindi in Cassazione.
Tra le censure portate nel giudizio di legittimità si esponeva la violazione dell'
Gli Ermellini evidenziano come l'osservanza di una cautela specifica, nel caso ottenere l'autorizzazione agli interventi chirurgici, non esclude che la colpa possa essere integrata dalla violazione di una cautela generica, ma questa deve essere individuata. Nello specifico, se l'autorizzazione a operare era stata concessa in quanto, in caso in emergenza, il paziente potesse essere trasferito in un centro più attrezzato, va indicata quale cautela generica è stata violata, ossia per quale motivo l'ospedale si sarebbe dovuto rifiutare di effettuare l'intervento nonostante il nullaosta a farlo. Non può quindi addursi al fatto che l'imprudenza consistesse nella mera circostanza di aver operato nonostante l'assenza della sala di rianimazione, in quanto era stato comunque autorizzato. La Cassazione rimanda quindi la decisione alla Corte d'Appello.
Svolgimento del processo
1.- H.H. è stato ricoverato presso il reparto di cardiologia della casa di cura (Omissis) di R, gestita dalla società DOLOMITI Spa (poi Srl). Nel corso del ricovero è stata diagnosticata la presenza di una neoplasia a livello duodenale, che ha comportato la necessità di un intervento chirurgico effettuato presso la casa di cura medesima dal dottor F.F., quale primo operatore e dal dottor G.G. quale suo assistente: erano comunque presenti in sala operatoria anche i dottori I.I. e J.J..
Durante l'intervento le condizioni del paziente si sono aggravate, tanto che è stato necessario un immediato trasferimento presso l'ospedale di F in quanto la clinica (Omissis) non aveva una unità di rianimazione.
A F il paziente è rimasto in cura per alcuni giorni, fino a che l'aggravamento ulteriore delle sue condizioni ha reso necessario il trasferimento presso l'(Omissis) di R, dove poi è tuttavia deceduto.
2.- Ne è scaturito un procedimento penale a carico anche dei medici della (Omissis), che si è concluso con l'archiviazione, basata sul fatto che sia la diagnosi che l'intervento erano stati eseguiti correttamente.
Tuttavia, la madre del H.H. ed i suoi fratelli hanno agito in giudizio davanti al Tribunale di Roma, dove hanno convenuto la DOLOMITI Spa per la condotta dei medici che, presso quest'ultima, avevano eseguito l'intervento.
La DOLOMITI Spa si è costituita ed ha chiesto il rigetto della domanda nel merito; ha chiamato in giudizio i dottori F.F. e G.G., quali autori dell'intervento chirurgico, ed altresì i dottori J.J. e I.I., quali medici comunque presenti quel giorno in sala operatoria: ad eccezione del dott. F.F., tutti i sanitari citati in giudizio sì sono costituiti per chiedere il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Roma ha disposto consulenza tecnica, la quale ha escluso una qualche responsabilità dei medici della clinica, sia in quanto l'intervento era stato eseguito correttamente, sia in quanto l'assenza in sede di una sala di rianimazione non aveva inciso sull'evento, atteso l'immediato trasferimento presso l'ospedale di Formia, dove poi il trattamento di rianimazione era stato tentato.
3.- Tuttavia, la Corte d'Appello di Roma, adita su impugnazione degli eredi, ha invece riformato la decisione di primo grado, e ritenuta responsabile la clinica per fatto dei suoi medici con conseguente condanna al risarcimento del danno. Ha tuttavia escluso la responsabilità dei dottori J.J. e I.I..
4.- Questa decisione viene qui impugnata dalla DOLOMITI Spa con otto motivi di ricorso, illustrati da memoria.
Nelle more, tuttavia, la stessa DOLOMITI Spa ha rinunciato al ricorso nei confronti degli eredi del H.H. con i quali è intervenuta una transazione, ed ha mantenuto invece la domanda nei confronti dei medici suoi dipendenti.
Motivi della decisione
5.- Il primo motivo prospetta violazione dell'articolo 101, secondo comma, codice di procedura civile.
Secondo la ricorrente i giudici di appello hanno deciso sulla base di una questione sulla quale non era stato stimolato il contraddittorio tra le parti, e dunque sollevata d'ufficio ed a sorpresa: più precisamente è stata posta a base della decisione la circostanza che la cartella clinica non fosse adeguatamente compilata, nel senso che non era descritto a sufficienza l'intervento effettuato: di tale questione, ossia del rilievo che aveva l'incompletezza della cartella clinica, non si era mai discusso nelle due fasi di giudizio, con la conseguenza che aver posto quella questione a base della decisione, senza prima invitare le parti a contraddire, ha costituito una violazione dell'articolo 101 del codice di procedura civile.
Il motivo è infondato.
È principio di diritto che "L'obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.c., ha lo scopo di evitare le decisioni c.d. "a sorpresa" o "della terza via"; tale obbligo, pertanto, vale solo per le questioni che il giudice rilevi effettivamente d'ufficio per non essere state dedotte dalle parti" (Cass. 29098/2017).
Non può però considerarsi decisione a sorpresa quella che valorizza elementi emersi comunque durante l'istruttoria e su cui le parti avevano conseguentemente la possibilità di contraddire, e non lo hanno fatto.
E ciò senza prescindere dal fatto che una eventuale violazione del contraddittorio presuppone che la parte indichi quale sarebbe stato l'esito se invece la questione fosse stata discussa (Cass. 21314/2023; Cass. 11440/2021; Cass. 3432/2016). Nella fattispecie, la ricorrente non dà alcuna indicazione circa la rilevanza, o meglio, la decisività della questione asseritamente rilevata d'ufficio dal giudice di appello, la quale, peraltro, come emerge dalla motivazione, non è stata affatto decisiva, ma si è posta soltanto come uno degli argomenti che hanno supportato la decisione.
6.- Con il secondo motivo si prospetta violazione degli articoli 115 e 132 c.p.c.
La tesi della ricorrente è che i giudici di appello si sono discostati dalla CTU senza però motivarne le ragioni.
Dalla CTU espletata in primo grado era chiaramente emerso che non vi era stata colpa alcuna dei sanitari nel trattamento chirurgico, né della clinica nel fatto di non avere una sala di rianimazione, atteso l'immediato trasferimento in un ospedale che ne era invece dotato.
Anche i consulenti del PM nel procedimento penale avevano concluso nello stesso senso.
Per contro, i giudici di merito hanno sostituito alle conclusioni dei CTU delle proprie valutazioni personali, ma senza confrontarsi con le ragioni dei consulenti.
Il motivo è fondato.
Vero è che i giudici di merito motivano le loro ragioni, ossia danno conto del perché hanno ritenuto colpevole la condotta dei medici chirurghi, ma, come evidenziato dalla ricorrente, non si sono confrontati con l'opposta valutazione del consulente tecnico: l'onere del giudice di motivare in caso di dissenso rispetto al CTU impone di tenere in considerazione gli argomenti da quest'ultimo utilizzati e contraddirli specificamente.
I giudici di appello hanno prospettato una loro ricostruzione, ma senza tenere in conto, e dunque senza confutare, quella dei consulenti tecnici.
Né vale come confutazione il mero richiamo di un dato statistico contenuto nelle CTU (p. 16 della sentenza), che è utilizzato solo come dato di fatto, peraltro non contraddetto.
Va altresì considerato che i CTU avevano escluso la rilevanza causale dell'assenza di una sala di rianimazione presso la clinica, atteso l'immediato e tempestivo trasferimento del paziente all'ospedale di Formia, dove invece la sala c'era. A tale conclusione la sentenza impugnata replica considerando "imprudente" la decisione di eseguire l'intervento presso un luogo non attrezzato a fronteggiare le complicanze post operatorie, il che però non smentisce la tesi dei CTU sulla circostanza che, imprudente o meno che fosse tale scelta, non ha influito, essendovi stato tempestivo trasferimento del paziente presso un ospedale attrezzato.
Queste ragioni acquistano maggiore rilievo per quanto si dirà relativamente al quinto ed al sesto motivo.
7.- Il terzo motivo prospetta una violazione dell'articolo 2697 c.c.
La ricorrente sostiene che, quanto al danno iure proprio, trattandosi di danno da responsabilità extracontrattuale, come ammesso dalla stessa Corte di Appello, la prova degli elementi costitutivi dell'articolo 2043 c.c. competeva a chi agiva, ossia ai danneggiati e non ai convenuti.
Il motivo è inammissibile.
Da un lato, non coglie la ratio: la Corte di appello non ha affatto ritenuto che la prova spettasse ai convenuti anziché agli attori, quanto piuttosto ha ritenuto che proprio gli attori, i danneggiati, l'avessero assolta.
Per il resto, il motivo mira a contestare quest'ultimo assunto, con l'argomento che, per contro, né la colpa né il nesso di causalità risultano provati: ma si tratta di una censura che mira a contestare un accertamento in fatto qui non discutibile.
8.- Il quarto motivo prospetta violazione dell'articolo 2043 c.c.
Si sostiene che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto imprudente il fatto di eseguire l'intervento in sede nonostante l'assenza di una sala di rianimazione.
Si assume che l'individuazione di una colpa in tale condotta contrasta con il fatto che la clinica aveva l'autorizzazione ad operare interventi chirurgici, autorizzazione che teneva conto della assenza di una sala di rianimazione.
Il motivo è fondato.
È vero che l'osservanza di una cautela specifica (ottenere l'autorizzazione agli interventi chirurgici) non toglie che la colpa possa essere integrata dalla violazione di una cautela generica; ma è anche vero che la cautela generica violata deve essere individuata.
Meglio: se l'autorizzazione ad operare è stata concessa anche in ragione del fatto che, in caso di emergenza, il paziente può essere trasferito in un centro più attrezzato, allora occorre indicare quale cautela generica (cioè non prevista da "leggi, regolamenti, ordini o discipline", art. 43 c.p.) è stata violata, ossia cosa imponeva alla clinica di non effettuare l'intervento nonostante avesse l'autorizzazione, generale, a farlo; non potendo ovviamente l'imprudenza consistere nella mera circostanza di avere effettuato l'intervento pur sapendo che non vi era sala di rianimazione, e ciò in quanto tale intervento era, per l'appunto, autorizzato.
9.- Il quinto motivo prospetta un omesso esame.
La ricorrente assume che era emerso dagli atti (in particolare dall'interrogatorio del chirurgo, oltre che dalle difese svolte) che il paziente era consapevole che nella clinica non vi era sala di rianimazione: egli era un dipendente di quella clinica, ed aveva chiesto espressamente di essere operato lì e proprio del dott. F.F.
Il fatto è stato sottoposto all'esame del giudicante, a significare che il paziente era avvisato che in caso di complicanze avrebbe dovuto essere trasferito.
Il motivo è fondato.
Il fatto allegato era in un certo senso decisivo, poiché indicativo di una condotta del paziente di accettazione del rischio, e comunque incidente sulla valutazione della colpa, nei termini di imprudenza, della clinica o dei suoi medici, di effettuare in sede l'intervento. I giudici di merito non ne hanno tenuto conto.
10.- Il sesto motivo prospetta violazione degli articoli 2043 c.c. e 40 e 41 c.p.
La ricorrente censura la decisione impugnata per non avere dato alcun rilievo alla condotta successiva a quella dei propri medici, tenuta nell'ospedale di Formia, dove, immediatamente dopo l'intervento, era stato ricoverato il paziente.
Dalla CTU era emerso che, presso quell'ospedale il paziente non era stato sufficientemente seguito, anche se sin dai primi giorni si era manifestata una situazione di setticemia. Solo dopo diversi giorni è stata effettuata una TAC: il ctu, dunque, aveva giudicato colpevole l'inerzia dei sanitari di Formia.
Allo stesso modo avevano concluso i consulenti del PM, i quali avevano chiaramente ritenuto negligente la condotta dei sanitari di F (p. 28 del ricorso, dove sono riportati stralci della suddetta consulenza).
E tale condotta, che era invece causalmente rilevante, non è stata tenuta in alcun conto dai giudici di merito.
Il motivo è fondato.
Qui va richiamato quanto detto relativamente al secondo motivo.
I giudici di merito, nel discostarsi dalla CTU, non hanno confutato gli argomenti che i consulenti hanno addotto, non si sono confrontati con le conclusioni e con le ragioni dei detti ausiliari del giudice, ma hanno adottato una loro autonoma e personale soluzione.
La censura contenuta in questo motivo ne dà conferma: era emerso dalle consulenze che la condotta dei sanitari dell'ospedale di F era stata negligente in maniera rilevante, e questa indicazione dei CTU rilevava sul piano dell'accertamento del nesso di causa. I giudici di merito non se ne fanno carico.
11.- Il settimo motivo prospetta violazione dell'articolo 372 c.c.: non vi sarebbe stato alcun accertamento circa il ruolo di concausa delle condotte successive, ed in particolare di quelle consumatesi a Formia, neanche sotto il profilo, per l'appunto, di condotte capaci di far sorgere una responsabilità solidale.
Piuttosto, i giudici hanno liquidato il danno tenendo conto che era intervenuta una transazione con la ASL di Latina, con cui quest'ultima, per la sua parte di responsabilità solidale (50%) ha riconosciuto 13.883,07 Euro.
Secondo la ricorrente si tratterebbe di un accertamento del ruolo di responsabilità solidale compiuto in modo illegittimo, in quanto si limita a prendere atto della transazione, che oltretutto è atto che non può vincolare chi, come la ricorrente, non ne è stata parte: in sostanza poiché nella transazione la ASL ha pagato il suo 50%, ne è derivato che la clinica doveva essere ritenuta responsabile del restante 50%.
Ma, così facendo, si è compiuto un accertamento della responsabilità solidale (rectius, della ripartizione del debito) partendo da una transazione anziché da quanto in realtà accaduto.
Il motivo è infondato.
Esso postula che la Corte di merito abbia effettuato un accertamento delle rispettive colpe, e dunque del ruolo dei due coobbligati nella determinazione dell'evento, e che lo avrebbe fatto prendendo atto della transazione, ossia basandosi su quanto dalle stesse parti ammesso o dichiarato in transazione: in realtà la Corte di merito ha solo statuito circa la ripartizione del risarcimento, non già circa la ripartizione delle colpe.
È principio di diritto che, in caso di responsabilità solidale, il giudice deve pronunciare sulla graduazione delle colpe solo se uno dei coobbligati esercita l'azione di regresso e dunque chiede che venga accertato il ruolo di ciascuno nella determinazione dell'evento (Cass. 16939/2006). Nella fattispecie ciò non è accaduto: piuttosto la Corte, stabilito un dato ammontare del danno, ha soltanto posto la metà di esso a carico della ricorrente, atteso che l'altra metà era stata già corrisposta, con la transazione, dall'obbligato in solido.
In sostanza, la Corte ha deciso sulla ripartizione dell'ammontare del danno, senza accertare quale sia stato il ruolo causale, il contributo causale di ciascuno degli obbligati in solido.
12.- L'ottavo motivo prospetta omessa pronuncia.
La Corte di merito non avrebbe deciso sulla domanda di regresso fatta dalla ricorrente verso i medici F.F. e G.G., che avevano effettuato l'intervento.
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello si è pronunciata, ed ha rigettato la domanda di regresso con l'argomento che tale domanda era stata formulata dalla ricorrente per il solo caso di dolo o colpa grave, mentre la condotta dei medici doveva ritenersi connotata da sola colpa lieve.
Il motivo non può quindi ritenersi assorbito dall'accoglimento degli altri, in quanto la ricorrente, stante la pronuncia sulla domanda di regresso e stante il rigetto, avrebbe dovuto impugnarla nel merito, e non può più riproporla nel giudizio di rinvio, come potrebbe invece in caso di dichiarato assorbimento.
13.- Vanno dunque accolti il secondo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo, rigettati gli altri e la decisione va cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Ferma restando la dichiarazione di estinzione per rinuncia nei confronti D.D., E.E., B.B., A.A. e C.C.
14.- Va disposto che, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi del paziente e dei suoi congiunti.
P.Q.M.
La Corte dichiara estinto il giudizio quanto ad D.D., E.E., B.B., A.A. e C.C., per intervenuta rinuncia al ricorso nei loro confronti, con compensazione delle spese. Accoglie secondo, terzo, quarto e sesto motivo, nei termini di cui in motivazione, rigetta gli altri. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.