
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Torino rigettava il ricorso proposto da S.K., cittadino albanese, avverso il provvedimento della Questura di Asti di diniego del permesso di soggiorno ex art. 3, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 30/2007, richiesto dal cittadino straniero in quanto familiare a carico di cittadino italiano.
2. La Corte di Appello di Torino, con sentenza n.996/2022 pubblicata il 20-9-2022, ha respinto l’appello proposto dall’odierno ricorrente, ritenendo non dimostrati né il requisito della convivenza, né quello della “vivenza a carico”, sulla scorta della durata ed entità delle rimesse di denaro documentate; inoltre, rigettava sia le istanze istruttorie dell’appellante, sia la richiesta di rimessione della causa alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE.
3. Avverso questa sentenza S.K. ha presentato ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. L’amministrazione intimata si è costituita tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
4. Con ordinanza interlocutoria n.28874/2023 pubblicata il 18-10- 2023 è stata disposta la trattazione del ricorso in pubblica udienza in considerazione della particolare complessità ed importanza delle questioni poste con i motivi di ricorso, da valutarsi alla luce anche del diritto unionale. La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo rigettarsi il ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Alla pubblica udienza del 27-9-2024 la Procura Generale ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso, previa rettifica della motivazione della sentenza impugnata e affermazione del principio di diritto esposto nella requisitoria. L’Avvocato S.R., per il ricorrente, ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorrente denuncia: i) con il primo motivo la violazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c., per aver la Corte d’appello pronunciato oltre i limiti della domanda, nello specifico argomentando sull’inesistenza del requisito della vivenza a carico, mentre detta circostanza era stata ritenuta dimostrata dalla Questura di Asti con il provvedimento di diniego del rilascio del permesso di soggiorno; ii) con il secondo motivo la violazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 3, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 30/2007 e/o all’art. 3, comma 2, lett. a), Dir. 2004/38/CE e/o all’art. 10, comma 3, d.lgs. n. 30/2007 e/o all’art. 10 § 2 Dir. 2004/38/CE e/o al Considerando 14 Dir. 2004/38 /CE, per avere la Corte d’appello ritenuto necessario, per la tipologia di carta di soggiorno richiesta, il requisito della convivenza tra il cittadino straniero ed il familiare comunitario, rimarcando che la convivenza – la quale peraltro a norma di legge dovrebbe sussistere, quale criterio alternativo, nel paese di origine o provenienza (nel caso l’Albania) – non rileva, ove si verta, come nella specie, in ipotesi di vivenza a carico; iii) con il terzo motivo la violazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. in relazione agli artt. 115, comma 1, 116, 132, comma 1, n. 4, 359 c.p.c. e/o in relazione all’art. 702 quater c.p.c. e/o all’art. 2727 e/o 2729, comma 1, c.c. e/o all’art. 3, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 30/2007 e/o all’art. 3, comma 2, lett. a), Dir.2004/38/CE e/o al Considerando 14 Dir. 2004/38/CE, per avere la Corte d’appello errato nel respingere l’ammissione di una prova decisiva per la controversia; iv) con il quarto motivo la violazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 24 e/o 111 Cost. e/o all’art. 115, comma 1, 116, 132, comma 1, n. 4; 359 c.p.c. e/o in relazione all’art.702 quater c.p.c. e/o all’art. 2727 e/o 2729 comma 1, c.c. e/o all’art. 3, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 30/2007 e/o all’art. 3, comma 2, lett. a), Dir. 2004/38/CE e/o al Considerando 14 Dir. 2004/38/CE, per avere la Corte d’appello errato in relazione alla mancata ammissione di una prova decisiva per la controversia; il ricorrente precisa che il quarto motivo è proposto in alternativa al terzo e inoltre ripropone l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art.267 TFUE sulla seguente questione: “Premesso che l’art. 23 D. Lgs. nr. 30/2007 estende l’applicazione della normativa di derivazione comunitaria anche ai familiari dei cittadini italiani, dica la Corte di Giustizia dell’Unione Europea se, ai fini del rilascio della carta di soggiorno quale familiare a carico di cittadino dell’Unione ex art. 3 comma 2 lett. a) D. Lgs. n. 30/2007 ed art. 3 §2 lett. a) Dir. 2004/38/CE, avuto riguardo ai requisiti specificamente richiesti dall’art. 10 D. Lgs. nr. 30/2007, letto in uno con l’art. 10 della Direttiva 2004/38/CE, avuto riguardo sia allo spirito della Direttiva siccome interpretato dalla Giurisprudenza dell’Unione (CGUE [Grande Sezione], 05/09/2012, C-83/11), sia ai “considerando 5,6,14,19” della stessa Direttiva, sia infine alla necessità di un’interpretazione estensiva della normativa inerente il diritto al soggiorno dei familiari dei cittadini dell’Unione (CGUE, Sez. IV, 16/01/2014, C-423/12, Flora May Reyes vs Migrationsverket, § 23; CGUE, sentenza 09/01/2007, C-1/05, Jia, §36; CGUE, sentenza 18/06/1987, C-316/85, Lebon, § 23; CGUE, sentenza 03/06/1986, C-139/85, Kempf, Race, pagg. 1741 e 1746) con obbligo di “concessione di vantaggi a loro favore” (per CGUE [Grande Sezione], 05/09/2012, C-83/11, Secretary of State for the Home Department Vs Muhammad Sazzadur Rahman, Fazly Rabby Islam, Mohibullah Rahman, § 18), nonché ai requisiti soggettivi per l’accertamento dello status di “familiare a carico di un cittadino dell’Unione” (CGUE, Sez. IV, 16/01/2014, C-423/12, Flora May Reyes vs Migrationsverket, § 21; CGUE, sentenza 09/01/2007, Jia (C-1/05, Racc. pag. I-1), §§ 35 e 41; CGUE, C215/03, Oulane, §53), possa essere interpretata nel senso di imporre il requisito della coabitazione tra il cittadino dell’Unione (nella specie italiano) ed il familiare a carico extracomunitario, come requisito per il rilascio della carta di soggiorno”; deduce la rilevanza della questione nel caso concreto, in considerazione della portata restrittiva ed incompatibile con lo spirito della Direttiva dell’interpretazione fornita dalla Corte di merito (richiama anche CGUE, 07/09/2016, C-228/15, Snezhana Velikova).
2. I motivi primo e secondo, da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati.
2.1. L'art. 3, comma 2, lett. a) d.lgs.n.30/2007 così stabilisce: «1. Il presente decreto legislativo si applica a qualsiasi cittadino dell'Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera b), che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo. 2. Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell'interessato, lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l'ingresso e il soggiorno delle seguenti persone:
a) ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all'articolo 2, comma 1, lettera b) , se è a carico o convive, nel Paese di provenienza, con il cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell'Unione lo assista personalmente; b) il partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata con documentazione ufficiale. 3. Lo Stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l'eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno». Questa Corte ha precisato (Cass.22864/2020 non massimata) che «la norma - come peraltro fa palese il Considerando 6) della direttiva 2004/38/CE (di cui, come detto, è attuazione il d.lgs. n. 30/2007) - è volta a "preservare l'unità della famiglia in senso più ampio senza discriminazione in base alla nazionalità", per cui "la situazione delle persone che non rientrano nella definizione di familiari ai sensi della presente direttiva, e che pertanto non godono di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante, dovrebbe essere esaminata dallo Stato membro ospitante sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l'ingresso e il soggiorno possano essere concessi a tali persone, tenendo conto della loro relazione con il cittadino dell'Unione o di qualsiasi altra circostanza, quali la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell'Unione". Nella "Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio concernente gli orientamenti per un migliore recepimento e una migliore applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri (Testo rilevante ai fini del SEE)", si afferma che "Per stabilire se un familiare è a carico, occorre valutare nella singola fattispecie se l'interessato, alla luce delle sue condizioni finanziarie e sociali, necessita di sostegno materiale per sopperire ai suoi bisogni essenziali nello Stato d'origine o nello Stato di provenienza al momento in cui chiede di raggiungere il cittadino comunitario (quindi non nello Stato membro ospitante in cui soggiorna il cittadino UE)". Un tale orientamento (con il richiamo espresso della citata Comunicazione) è stato ribadito anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 21108 del 16 settembre 2013, per cui la vivenza a carico o la convivenza ai fini del ricongiungimento ai sensi dell'art. 3, comma 2, lett. b), del d.lgs. n. 30/2007, è da valutarsi in riferimento al "paese di provenienza del cittadino extracomunitario"». Con la citata pronuncia n.22864/2020 è stato altresì chiarito, nella parte in cui è svolta la disamina del caso concreto, che i requisiti della vivenza a carico e della convivenza non sono da considerarsi cumulativi, ma alternativi, come invero, nella specie, affermato anche dalla Corte di merito, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso.
L’alternatività dei requisiti della “vivenza a carico” e della convivenza, anche quest’ultima da riferirsi al paese di provenienza per quanto di seguito meglio si spiegherà, si desume univocamente dal tenore letterale dell’art.3, comma 2 lett. a) d.lgs. 30/2007, e in particolare dall’utilizzo, da parte del legislatore nazionale, della congiunzione disgiuntiva “o” nella locuzione esplicativa degli aventi diritto (…se è a carico o convive, nel paese di provenienza,…). La norma, come si è detto, costituisce attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, sicché l’interpretazione deve orientarsi in senso coerente e conforme alla ratio ispiratrice della direttiva, come delineata nella ricostruzione della giurisprudenza di matrice europeistica. La direttiva prevede peculiari guarentigie per i familiari dei cittadini dell’Unione che, nel loro Paese, siano a carico del cittadino dell’Unione stesso, con lo scopo di "preservare l'unità della famiglia in senso più ampio senza discriminazione in base alla nazionalità" (cfr. Considerando 6). In quest’ottica, è stata operata un’ulteriore estensione in favore delle persone che non rientrano nella definizione di familiari ai sensi della direttiva citata e che pertanto non godono di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante. Per dette persone è prevista, infatti, come si è visto, la possibilità di un esame fondato sulla legislazione nazionale “tenendo conto della loro relazione con il cittadino dell’Unione o di qualsiasi altra circostanza, quali la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell’Unione”.
2.2. Ciò posto, il ricorrente sostiene, con il primo motivo, che il requisito della “vivenza a carico” fosse già stato accertato dalla Questura, dato che il permesso di soggiorno era stato negato solo per l’insussistenza del requisito della convivenza, che la motivazione del provvedimento della Questura fosse vincolante per delimitare l’oggetto della cognizione in sede giudiziale e che la Corte di merito, nello svolgere l’indagine fattuale anche sulla sussistenza del requisito della “vivenza a carico”, avesse esorbitato dal thema decidendum. Di conseguenza, il ricorrente afferma, con il secondo motivo, che, stante l’alternatività dei requisiti, “una volta accertata la sussistenza del requisito della vivenza a carico (come ha di fatto operato la Questura) – non sussiste(va) più la necessità di accertare una convivenza (la quale – peraltro – era richiesta nel paese di origine o provenienza, e non certo in Italia)” (così pag.14 ricorso).
2.3. Le censure non colgono nel segno.
Sotto un primo profilo, si osserva che, come rimarcato anche dalla Procura Generale, il giudizio di cui trattasi non ha carattere strettamente impugnatorio, in quanto è finalizzato ad accertare l’esistenza del diritto del richiedente in base alla norma dallo stesso invocata. La Corte di merito, a fronte della contestazione del Ministero circa la ricorrenza in concreto del requisito della “vivenza a carico”, non ha esorbitato dai propri poteri decisionali, ma ha scrutinato la sussistenza in concreto di ciascuno dei requisiti indicati dall’art. 3, comma 2, lett. a) del d.lgs. n. 30 del 2007, dopo aver stabilito, correttamente, che il thema decidendum era, per l’appunto, l’accertamento dei requisiti di applicabilità del citato art. 3, ritenendo, all’esito della valutazione del compendio istruttorio, che nessuno dei due requisiti alternativi fosse stato sufficientemente dimostrato.
Sotto ulteriore e complementare profilo, deve escludersi, nella specie, la valenza, nel senso invocato in ricorso, dell’accertamento della “vivenza a carico” desumibile dalla motivazione del provvedimento di diniego del Questore. E’ ben vero che, secondo i principi affermati da questa Corte (Cass.10925/2019 e Cass.5378/2020) e condivisi dal Collegio, la motivazione del provvedimento amministrativo delimita, ex art. 112 c.p.c., il thema decidendum, ma “unitamente ai motivi di impugnazione”, come pure chiaramente è stato esplicitato nelle citate pronunce.
Nella fattispecie, come risulta dall’esame degli atti del fascicolo consentito a questa Corte data la natura processuale del vizio denunciato (primo motivo), con l’atto di appello l’odierno ricorrente non si era doluto specificamente, ex art.342 c.p.c., della cumulatività dei requisiti affermata dal Tribunale. Infatti il Giudice di primo grado, pur dando per accertata la “vivenza a carico” in base alla motivazione del provvedimento questorile e pur richiamando il disposto dell’art.3, comma 2 lett. a), del d.lgs.n.30/2007, aveva nondimeno ritenuto necessario l’accertamento anche dell’altro requisito (convivenza) e, dopo avere escluso, in base alle risultanze di causa, che quest’ultimo fosse stato dimostrato, ha rigettato la domanda.
Ora, l’appello proposto dall’odierno ricorrente era fondato su due motivi e in nessuno di essi si rinviene la doglianza relativa all’erroneità della statuizione del Tribunale sulla cumulatività dei requisiti previsti dal citato art. 3 comma 2 lett. a) del d.lgs.n.30/2007 (il primo motivo era rubricato “violazione di legge in relazione all’art.10 d.lgs.n.30/2007 e 10 dir.2004/38/CE con riferimento all’assunta necessità di una convivenza con il familiare cittadino italiano” e l’illustrazione era mirata a sostenere che “né nella normativa interna, né in quella comunitaria di riferimento si fa menzione dell’obbligo di coabitazione, né del richiamo all’art.28 o 29 T.U.I., dovendosi ritenere che il Tribunale abbia errato nel ritenere applicabile un requisito espressamente escluso dalla normativa interna e da quella eurocomunitaria”- pag. 5 appello; il secondo motivo era rubricato “Erronea e/o omessa valutazione dei fatti e delle prove con riferimento al requisito della convivenza dell’appellante con il familiare italiano” e l’illustrazione era diretta a sostenere che il Tribunale avrebbe dovuto ammettere la prova testimoniale volta a dimostrare la convivenza in Italia; in subordine l’appellante formulava richiesta di rinvio pregiudiziale negli stessi termini in cui è riproposta in sede di legittimità- errata imposizione del requisito della coabitazione-).
Dalle suesposte considerazioni discende che, stante l’assenza di impugnazione, da parte dell’odierno ricorrente, della sentenza del Tribunale sullo specifico profilo della cumulatività dei requisiti previsti dal citato art. 3 e stante, quindi, l’intervenuto giudicato interno sul punto, nel giudizio d’appello il thema decidendum è stato correttamente individuato dalla Corte di merito come comprendente l’accertamento di tutti i requisiti di applicabilità del suddetto art.3.
2.4. Si è già detto che la Corte territoriale ha ritenuto, con motivazione idonea, non sufficientemente dimostrata la vivenza a carico, all’esito della disamina dei riscontri probatori acquisiti, così esprimendo una valutazione meritale non sindacabile in questa sede.
La Corte d’appello ha altresì ritenuto non sufficientemente dimostrata la convivenza dell’odierno ricorrente con la zia, né nel paese di provenienza (ed invero nel ricorso neppure si deduce che nei giudizi di merito era stata allegata la convivenza in Albania), né in Italia.
A tale ultimo riguardo, ossia circa la necessità del requisito della convivenza effettiva in Italia, va corretta, ex art. 384, ultimo comma, c.p.c., la motivazione della sentenza impugnata, poiché, come adduce il ricorrente e rimarca anche la Procura Generale, il requisito alternativo della convivenza previsto dall’art.3, comma 2 lett. a), deve valutarsi solo in riferimento al paese di provenienza del richiedente, e non in riferimento allo Stato membro ospitante in cui soggiorna il cittadino UE, secondo quanto già precisato, seppure in obiter, da questa Corte e indirettamente dalle Sezioni Unite (sent.21108/2013).
Si è visto che l’art. 3, comma 2, d.lgs. n.30/2007 prevede, tra i soggetti aventi diritto, alla lett. a) “ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all'articolo 2, comma 1, lettera b), se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale”.
Ora, in coerenza con quanto si è detto sull’alternatività dei requisiti (cfr. §2.1.), l’interpretazione della norma, anche in punto di individuazione delle precise connotazioni della convivenza, deve essere aderente al suo contenuto letterale (…convive, nel paese di provenienza,…), sulla premessa, altrettanto esplicita nella parte iniziale del comma 2, che lo Stato membro ospitante agevola l’“ingresso” e, di seguito, il soggiorno degli aventi diritto.
Soprattutto, poi, l’interpretazione deve porsi in linea con la normativa di favore introdotta dalla Direttiva 2004/38/CE, della quale l’art.3 citato è disposizione di recepimento, come più volte rimarcato. La Corte di Giustizia ha chiarito che l’articolo 3, paragrafo 2 della direttiva “impone agli Stati membri un obbligo di concedere un determinato vantaggio, rispetto alle domande di ingresso e di soggiorno di altri cittadini di Stati terzi, alle domande inoltrate da persone che presentano un rapporto di dipendenza particolare nei confronti di un cittadino dell’Unione” (CGUE 5-9- 2012, C-83/11; CGUE 16-1-2014, C-423/12). Inoltre “Al fine di ottemperare a tale obbligo, gli Stati membri, conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2004/38, devono prevedere la possibilità, per le persone indicate al paragrafo 2, primo comma, del medesimo articolo, di ottenere una decisione sulla loro domanda che sia fondata su un esame approfondito della loro situazione personale e che sia motivata in caso di rifiuto. Nell’ambito di tale esame della situazione personale del richiedente, come emerge dal considerando 6 della direttiva 2004/38, l’autorità competente deve tenere conto dei vari fattori che possono risultare pertinenti a seconda dei casi, quali il grado di dipendenza economica o fisica e il grado di parentela tra il familiare e il cittadino dell’Unione che egli desidera accompagnare o raggiungere …. In ogni caso, lo Stato membro ospitante deve assicurarsi che la propria legislazione preveda criteri che siano conformi al significato comune del termine «agevola» nonché dei termini relativi alla dipendenza utilizzati al suddetto art. 3, paragrafo 2, e che non privino tale disposizione del suo effetto utile” (CGUE 5-9-2012, C-83/11 citata).
Dunque, secondo la ricostruzione della Corte di Giustizia, la direttiva riconosce ad ogni Stato membro un ampio potere discrezionale degli elementi da prendere in considerazione, purché venga rispettata la finalità “agevolativa” che la ispira, e in quest’ottica non può ritenersi corretta un’interpretazione che introduca un requisito non espressamente previsto dal legislatore nazionale e che non si ponga in linea coerente con la ratio ispiratrice della direttiva di cui si è appena detto.
3. Le considerazioni che precedono determinano l’assorbimento dei motivi terzo e quarto, con cui il ricorrente si duole della mancata ammissione di prove che assume essere decisive in quanto afferenti al luogo di sua convivenza con la zia in Italia, ossia afferenti ad un requisito di nessun rilievo, per quanto si è detto.
4. Per le stesse ragioni va disattesa l’istanza di rinvio pregiudiziale ex art.267 TFUE, prospettata in ricorso a confutazione dell’argomentazione della sentenza impugnata che è stata corretta ex art.384, ultimo comma, c.p.c. nel senso precisato, ribadito che, come prospettato anche dal ricorrente, il requisito alternativo della convivenza previsto dalla norma, da interpretare in base al suo tenore letterale e in senso conforme alla citata direttiva, deve valutarsi in riferimento allo Stato di origine o provenienza.
5. La Corte ritiene di dover enunciare il seguente principio di diritto ex art.384 cod. proc. civ.:
«In tema di permesso di ingresso e soggiorno a favore di “ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza,” del cittadino dell’Unione europea, disciplinato dall’art.3, comma 2 lett. a), del d. lgs. n.30/2007, i requisiti della “vivenza a carico” e della convivenza sono alternativi, e non cumulativi, e anche la convivenza deve valutarsi con riferimento al paese di provenienza dell’avente diritto, poiché la norma, che rientra tra le disposizioni di recepimento della direttiva 2004/38/CE, deve interpretarsi in base al suo contenuto testuale e in senso coerente e conforme alla “ratio” ispiratrice della suddetta direttiva, ossia alla finalità “agevolativa” che la caratterizza, secondo la ricostruzione della giurisprudenza euro-unitaria».
6. In conclusione, il ricorso va rigettato, senza condanna alle spese in difetto di rituale costituzione dell’Amministrazione, tardivamente effettuata con un atto denominato «atto di costituzione», non qualificabile come controricorso, in difetto di esposizione dei motivi di diritto su cui si fonda, che ne costituiscono requisito essenziale (cfr. tra le tante Cass. nn. 17030/2021; 10813/2019).
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.